Affreschi e codici a Teramo
Nella Madonna delle Grazie reliquie e documenti di San Giacomo
Un affresco, un santo francescano, un antifonario miniato: sono i punti dell’itinerario nel XV secolo al centro del 3º Evento culturale, manifestazione organizzata dalla comunità francescana di Teramo e legata ai festeggiamenti della Madonna delle Grazie, compatrona della città. Il ritorno, dopo un trentennio, nel santuario della Madonna delle Grazie dell’affresco del Quattrocento attribuito da Ferdinando Bologna a Pietro Alamanno, è al centro della mostra «Sulle tracce dell’Osservanza a Teramo-Pietro Alamanno e San Giacomo della Marca», ambientata nel luogo di culto, tra la cappella feriale, il chiostro, il refettorio, e aperta sino a domani. La mostra teramana si può visitare oggi e domani dalle ore 18 alle ore 22.30. L’ingresso all’esposizione è libero.
L’iniziativa dei frati minori è stata ispirata proprio dallo studio, restauro, e ritorno dell’affresco nel santuario teramano. La cappella feriale è la nuova collocazione dell’opera, molto rovinata, che ripropone lo schema della sacra conversazione, con la Madonna delle Grazie in trono con il Bambino, e ai lati un vescovo, probabilmente San Berardo, patrono di Teramo, e una santa, identificata dagli studiosi nella bizantina Santa Parasceve. I danni subiti dall’affresco risalgono soprattutto al momento del distacco, quando fu rinvenuto nel 1892, durante i lavori di ricostruzione del santuario. Lo storico Francesco Savini lo attribuì addirittura a Carlo Crivelli, l’artista veneto tardo gotico operante nella vicina Ascoli Piceno. Negli anni Sessanta il critico d’arte Ferdinando Bologna ne indicò invece la paternità in Pietro Alamanno, epigono di Crivelli, anche lui espressione di uno stile capace di coniugare il raffinato decorativismo gotico e la spazialità rinascimentale.
Tuttavia, nel corso della conferenza che ha aperto la mostra, Stefano Papetti, direttore della pinacoteca civica di Ascoli Piceno (dove sono conservate opere di Crivelli e Alamanno) e docente di Storia dell’arte moderna nell’università di Macerata, ha suggerito più cautela nell’individuazione dell’autore. Finora, infatti, non è stato possibile studiare l’opera, «sequestrata, più che conservata» ha osservato lo studioso”nella Galleria nazionale d’Abruzzo». Negli anni Settanta l’opera fu infatti inviata all’Aquila per il restauro, e solo lo scorso 11 maggio è ritornata al santuario, «dopo una lunga lotta con la Sovrintendenza» ha precisato padre Claudio Narcisi. L’affresco fu realizzato nella seconda metà del XV secolo, dopo che i frati minori Osservanti si insediarono a Teramo per volontà di fra Giacomo della Marca, che predicò in città nei primi anni del regno di Alfonso I d’Aragona, in un momento in cui la città era percorsa da aspre lotte tra famiglie.
A Giacomo si deve la pacificazione della città e la nascita del santuario dedicato alla Vergine: il 20 settembre 1448 il vescovo di Penne si pronunciò a favore dell’edificazione di un convento per i frati minori Osservanti con annessa chiesa, intitolati a Santa Maria delle Grazie. Sentenza poi approvata nel febbraio 1449 da papa Niccolò V. Tra il 1470 e il 1476 fu, inoltre, collocata nel tempio la statua lignea della Madonna delle Grazie, realizzata da Silvestro dell’Aquila su commissione di fra Giacomo come dono alla città, che tuttora la venera nella ricorrenza del 2 luglio. Probabilmente furono gli albanesi presenti in città i committenti dell’affresco, per non essere da meno; all’epoca, come ha ricordato Adelmo Marino, docente di Storia moderna nell’ateneo teramano, esisteva infatti tra Ascoli e Teramo una folta colonia di facoltose famiglie mercantili albanesi. Al frate santo ascolano, così legato alla città e al santuario, è dedicata la sezione della mostra ambientata nel refettorio.
Un’esposizione resa possibile dai prestiti provenienti da Monteprandone, luogo di nascita nel 1393 di Giacomo, che fu una delle tre figure principali dell’Osservanza insieme a Bernardino da Siena (fondatore all’Aquila della basilica) e San Giovanni da Capestrano. Dal museo civico e dal museo del convento di Santa Maria delle Grazie di Monteprandone sono arrivate reliquie (come il bastone da viaggio, il sacchetto con le erbe medicinali, il sigillo) e documenti, tra i quali spiccano quattro codici miniati, una piccola bibbia da viaggio, i volumi con i manoscritti delle prediche. In uno di essi è scritto il sermone «De Sancto Bernardino», pronunciato all’Aquila nell’ottobre 1444, pochi mesi dopo la morte del maestro. Esposta anche la lettera scritta nel 1455 a San Giovanni da Capestrano, che in quel momento si trovava in Ungheria per organizzare i cristiani contro i Turchi; in essa Giacomo confida all’amico le disavventure della vertenza con i Conventuali. Sempre nel refettorio si può ammirare un prezioso testo appartenuto ai frati di Teramo.
Si tratta di un grandioso antifonario del Quattrocento miniato con foglia d’oro, composto da due parti, un salterio liturgico e un innario. La mirabile opera, di grandi dimensioni, pervenuta allo Stato dopo la soppressione degli ordini religiosi nel 1866 e prestata alla mostra dalla biblioteca provinciale Melchiorre Dèlfico, si offre allo sguardo su una delle pagine più belle, con il capolettera B(eatus vir) decorato da un prezioso fregio. Infine, si possono ammirare riproduzioni fotografiche delle decorazioni del volume sono esposte in un’altra sezione della mostra, ospitata nel chiostro: grazie all’allestimento ideato da Raffaella Devangelio le pagine dell’antifonario, sospese su sottili cavi, si lasciano muovere dal vento che filtra tra le mura della corte.
L’iniziativa dei frati minori è stata ispirata proprio dallo studio, restauro, e ritorno dell’affresco nel santuario teramano. La cappella feriale è la nuova collocazione dell’opera, molto rovinata, che ripropone lo schema della sacra conversazione, con la Madonna delle Grazie in trono con il Bambino, e ai lati un vescovo, probabilmente San Berardo, patrono di Teramo, e una santa, identificata dagli studiosi nella bizantina Santa Parasceve. I danni subiti dall’affresco risalgono soprattutto al momento del distacco, quando fu rinvenuto nel 1892, durante i lavori di ricostruzione del santuario. Lo storico Francesco Savini lo attribuì addirittura a Carlo Crivelli, l’artista veneto tardo gotico operante nella vicina Ascoli Piceno. Negli anni Sessanta il critico d’arte Ferdinando Bologna ne indicò invece la paternità in Pietro Alamanno, epigono di Crivelli, anche lui espressione di uno stile capace di coniugare il raffinato decorativismo gotico e la spazialità rinascimentale.
Tuttavia, nel corso della conferenza che ha aperto la mostra, Stefano Papetti, direttore della pinacoteca civica di Ascoli Piceno (dove sono conservate opere di Crivelli e Alamanno) e docente di Storia dell’arte moderna nell’università di Macerata, ha suggerito più cautela nell’individuazione dell’autore. Finora, infatti, non è stato possibile studiare l’opera, «sequestrata, più che conservata» ha osservato lo studioso”nella Galleria nazionale d’Abruzzo». Negli anni Settanta l’opera fu infatti inviata all’Aquila per il restauro, e solo lo scorso 11 maggio è ritornata al santuario, «dopo una lunga lotta con la Sovrintendenza» ha precisato padre Claudio Narcisi. L’affresco fu realizzato nella seconda metà del XV secolo, dopo che i frati minori Osservanti si insediarono a Teramo per volontà di fra Giacomo della Marca, che predicò in città nei primi anni del regno di Alfonso I d’Aragona, in un momento in cui la città era percorsa da aspre lotte tra famiglie.
A Giacomo si deve la pacificazione della città e la nascita del santuario dedicato alla Vergine: il 20 settembre 1448 il vescovo di Penne si pronunciò a favore dell’edificazione di un convento per i frati minori Osservanti con annessa chiesa, intitolati a Santa Maria delle Grazie. Sentenza poi approvata nel febbraio 1449 da papa Niccolò V. Tra il 1470 e il 1476 fu, inoltre, collocata nel tempio la statua lignea della Madonna delle Grazie, realizzata da Silvestro dell’Aquila su commissione di fra Giacomo come dono alla città, che tuttora la venera nella ricorrenza del 2 luglio. Probabilmente furono gli albanesi presenti in città i committenti dell’affresco, per non essere da meno; all’epoca, come ha ricordato Adelmo Marino, docente di Storia moderna nell’ateneo teramano, esisteva infatti tra Ascoli e Teramo una folta colonia di facoltose famiglie mercantili albanesi. Al frate santo ascolano, così legato alla città e al santuario, è dedicata la sezione della mostra ambientata nel refettorio.
Un’esposizione resa possibile dai prestiti provenienti da Monteprandone, luogo di nascita nel 1393 di Giacomo, che fu una delle tre figure principali dell’Osservanza insieme a Bernardino da Siena (fondatore all’Aquila della basilica) e San Giovanni da Capestrano. Dal museo civico e dal museo del convento di Santa Maria delle Grazie di Monteprandone sono arrivate reliquie (come il bastone da viaggio, il sacchetto con le erbe medicinali, il sigillo) e documenti, tra i quali spiccano quattro codici miniati, una piccola bibbia da viaggio, i volumi con i manoscritti delle prediche. In uno di essi è scritto il sermone «De Sancto Bernardino», pronunciato all’Aquila nell’ottobre 1444, pochi mesi dopo la morte del maestro. Esposta anche la lettera scritta nel 1455 a San Giovanni da Capestrano, che in quel momento si trovava in Ungheria per organizzare i cristiani contro i Turchi; in essa Giacomo confida all’amico le disavventure della vertenza con i Conventuali. Sempre nel refettorio si può ammirare un prezioso testo appartenuto ai frati di Teramo.
Si tratta di un grandioso antifonario del Quattrocento miniato con foglia d’oro, composto da due parti, un salterio liturgico e un innario. La mirabile opera, di grandi dimensioni, pervenuta allo Stato dopo la soppressione degli ordini religiosi nel 1866 e prestata alla mostra dalla biblioteca provinciale Melchiorre Dèlfico, si offre allo sguardo su una delle pagine più belle, con il capolettera B(eatus vir) decorato da un prezioso fregio. Infine, si possono ammirare riproduzioni fotografiche delle decorazioni del volume sono esposte in un’altra sezione della mostra, ospitata nel chiostro: grazie all’allestimento ideato da Raffaella Devangelio le pagine dell’antifonario, sospese su sottili cavi, si lasciano muovere dal vento che filtra tra le mura della corte.