La raccolta delle prime olive con gli studenti dell’Agrario
Dopo la vendemmia di settembre, 200 ragazzi del Di Poppa-Rozzi svolgono il “compito in classe” Lavorano nelle campagne di Nepezzano fra gli ulivi della scuola fra cui alcuni ultracentenari
TERAMO. Il ritorno alla terra. A quella terra abbandonata durante il boom industriale degli Anni Cinquanta, a quelle tradizioni contadine dimenticate a forza con il boom dei consumi degli Anni Ottanta. E ora il boom è un altro, è quello che sta vivendo il “Di Poppa-Rozzi”, l’istituto professionale di Stato per l’agricoltura e lo sviluppo rurale di Piano d’Accio. Una scuola superiore che adesso è arrivata a superare i 200 studenti. E’ una scuola in cui l’aula si alterna a un vigneto, un uliveto o una serra. In questo periodo, ad esempio, i banchi vengono abbandonati per andare a raccogliere le olive. Settembre è stato invece il tempo della vendemmia.
Il nuovo indirizzo. «La scuola è in forte crescita», esordisce con orgoglio il vicepreside Carlo Matone, «per la prima volta dalla nascita dell’istituto agrario, avvenuta l’8 novembre del 1959, abbiamo istituito quattro prime classi. E’ una conferma del nuovo interesse nei confronti dell’agricoltura. In più l’istituto si sta impegnando facendo nuovi investimenti per stare al passo con i tempi». Il riferimento è ai nuovi laboratori e al progetto di realizzare una cantina e un oleificio. «L’agricoltura in provincia di Teramo è basata sul vino e bisogna far vedere agli alunni i moderni processi di vinificazione», osserva il docente. E i risultati di tanto impegno arrivano: non solo le tante iscrizioni ma anche un nuovo indirizzo, riconosciuto dal ministero e attivato già da quest’anno scolastico. Ora l’Ipsa è anche istituto tecnico agrario, cioè forma periti agrari e non solo agrotecnici. Mentre quest’ultima figura è più orientata alla coltivazione, la prima è una figura di tecnico edilizio, che progetta case rurali, capannoni, traccia confini.
Il lavoro della terra. Ma la parte più affascinante delle attività dell’istituto è tutto quanto attiene al lavoro della terra. Il “Di Poppa Rozzi” ha un patrimonio notevole, costituito da terreni e rustici. Buona parte dei terreni acquistati nelle vicinanze della scuola, sulle splendide colline di Nepezzano, furono il frutto di investimenti della Cassa del Mezzogiorno.
La vendemmia. A settembre si è svolta la vendemmia, quest’anno con qualche giorno di anticipo a causa della siccità che ha fatto maturare prima l’uva. I ragazzi si sono cimentati su un vigneto da un ettaro in cui sono coltivati 18 tipi di vite. «Quest’anno la produzione è stata bassa, circa 60 quintali, ma di qualità molto buona», spiega Matone, «l’andamento è simile a quanto accade in tutta la provincia: c’è stato un 20% in meno di produzione ma di buona qualità». Parte dell’uva è stata venduta, parte è già stata vinificata. Ora è nelle botti di rovere, saranno circa 1.200 le bottiglie targate “Di Poppa Rozzi”.
La raccolta delle olive. Ma il vero compito in classe, adesso si svolge nei terreni di Nepezzano dove sono piantati i circa 350 ulivi. Di questi cento sono dell’uliveto storico, che conta dei tortiglioni centenari. Poco più in là altri esemplari di tortiglione, ma anche leccino e frantoio. E’ in corso una raccolta selettiva, cioè si stanno raccogliendo le olive a seconda dei tempi di maturazione delle piante: prima il leccino, poi il tortiglione e poi il frantoio. Ieri i ragazzi della III B si sono cimentati con i leccini. In media una classe - ogni giorno se ne alterna una diversa - può arrivare a raccogliere anche 7 quintali. Tutto questo sotto la direzione di un docente e di alcuni tecnici. E poi, a metà mattinata, come in ogni scuola che si rispetti, la ricreazione. Solo che per i ragazzi dell’Ipsia si svolge sotto un ulivo, con tanto di tovaglia stesa su un tavolo composto da cassette. Una tavola imbandita con pane e salsiccia, olive in salamoia e bevande.
Ieri a dirigere la raccolta c’era Luigi Passalacqua, docente di tecnica delle produzioni. «Utilizziamo i “pettini” (un’asta con un pettine all’estremità, che viene mosso dall’aria soffiata da un compressore, ndr) che consentono una raccolta agevolata sia per il risparmio di tempo, ogni “pettine” arriva raccogliere anche tre quintali, ma soprattutto per la sicurezza. Non ci si deve più arrampicare come si faceva un tempo, quindi non c’è il rischio di cadute dall’alto». Matone e Passalacqua spiegano le varie fasi: prima si stendono delle reti sotto l’ulivo, poi si fanno muovere i pettini fra le fronde, in modo da far cadere le olive a terra. Poi si ritira la rete e si concentra il raccolto in un punto della stessa rete fino a rovesciarlo nelle piccole cassette. Le olive, con le foglie - che hanno la funzione di “ammortizzatori” per evitare che il frutto si ammacchi - vengono poi portate al frantoio. «Per avere un olio di eccellenza, il prodotto va lavorato entro 24 ore: noi ogni due giorni lo portiamo al frantoio», spiega Matone. Quest’anno la scuola prevede di produrre circa 100 quintali, in parte le olive saranno vendute, in parte sarà prodotto olio che sarà venduto o fornito alla scuola gemellata, l’istituto alberghiero (hanno la stessa preside, Silvia Manetta): con l’olio delle colline di Nepezzano si cucineranno poi le appetitose pietanze-compito in classe nell’altra scuola.
«In effetti quest’anno il raccolto è eccezionale», annuncia il vicepreside, «il gran caldo non ha fatto proliferare la mosca olearia, che quindi non ha prodotto uova e le olive non sono state attaccate dai vermi. Qualche problema di scarsa produzione ce l’hanno invece gli uliveti di montagna a causa della nevicata di febbraio».
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