L’intervista a Gabriele Cirilli: “Abruzzo mio facciamo squadra e riempiremo i teatri”
Il mattatore sulmonese dopo 4 anni sul palco di Pescara: «Con Carlo Conti abbiamo “vivisezionato” tutte le famiglie». Proietti mi ha insegnato a “rubare”, non a copiare, quello che lui aveva. Mi ha voluto come spalla, forse vedeva qualcosa che non aveva visto negli altri
«Se il mondo intero operasse come una grande famiglia allora sì che potremmo lasciare un futuro migliore ai nostri nipoti. Riusciremmo a fare il miracolo se tutti si rendessero responsabili non solo della propria felicità, ma anche di quella degli altri». È il pensiero alla base del nuovo spettacolo di Gabriele Cirilli, una riflessione col sorriso sulla famiglia in tutte le sue declinazioni.
“Cirilli & Family”, questoil titolo, nato dalla collaborazione con MaGaMat, prodotto e distribuito da Ventidieci, sarà di scena a Pescara sabato 11 gennaio alle 21 al teatro Massimo (biglietti in vendita su TicketOne).
Il lavoro è stato scritto da Gabriele Cirilli con Maria De Luca, Mattia Cirilli, Daniele Ceva, Mario Scaletta, Chiara Garbiero, Luca De Paoli, con la supervisione artistica di Carlo Conti, al quale il brillante autore-attore abruzzese, allievo di un grande maestro quale Gigi Proietti e della sua Bottega, è legato dall’amicizia nata in due decenni di successi televisivi, su tutti “Tale e Quale Show”.
«Lo spettacolo si riferisce a tutti i tipi di famiglia» ha detto al Centro il 57enne mattatore sulmonese della risata. «Sono convinto che il team, la squadra, la famiglia siano vincenti. A teatro tutti si rivedono in quello che racconto, nei difetti e nei pregi. Parto dai vizi, tic e divertimenti della mia famiglia per allargare lo sguardo al condominio, alla famiglia allargata, a quella che va in vacanza, che litiga, che compra casa. Ci sono pure temi sociali. È un comedy show importante, con balletti, monologhi, scenografie, con la regia mia e di Valter Lupo, le canzoni originali e la musica del tenore Gianluca Terranova»
Nell’ideazione ha coinvolto Carlo Conti. Qual è stato il suo apporto?
«Un apporto molto importante nella scrittura del testo. Carlo mi ha aiutato a selezionare i pezzi, a fare una scaletta per arrivare alla stesura ottimale. Non era facile mettere insieme pezzi comici, ballati, riflessivi, monologhi. Anche il titolo è suo, ispirato al fatto che da 40 anni sto con la stessa donna».
In scena anche gli attori della sua scuola aquilana di teatro La Factory.
«Hanno un ruolo importante, interpretano varie parti, mia moglie, figli, nipoti, il social manager, tutti i personaggi che mi affiancano. C’è perfino un attore che mi fa da personal trainer, perché ne ho bisogno a questa età (ride). È una grande emozione averli con me in palcoscenico»
È lo spettacolo della maturità?
«Non ancora, è una fase di passaggio, il mio sogno è tornare a fare prosa. Gigi Proietti a scuola ci ha insegnato che bisogna essere riconoscenti al teatro. La mia maturità la vedo in teatro, anche se questo è indubbiamente uno spettacolo maturo»
L’insegnamento più significativo da parte di Proietti?
«Mi ha insegnato a “rubare”, non a copiare, tutto quello che lui aveva. Come lui stesso aveva fatto con Petrolini. Oltre a essere stato suo allievo sono stato anche il primo a essere utilizzato da Gigi come spalla, forse aveva visto in me qualcosa che non aveva visto negli altri. Marco Giallini mi ha recentemente svelato che in una pausa di un film fatto con Gigi lui gli confidò che io ero l’attore con cui si era trovato meglio. Una rivelazione per me emozionante e motivo di orgoglio».
Ha lavorato con grandi attori e attrici e con registi di nome, come il mitologico Sandro Bolchi, principe dello sceneggiato tv. Chi le è rimasto nel cuore?
«Di Bolchi, che venne a vedermi a teatro in “Madre Coraggio” di Brecht con Piera Degli Esposti, quando mi prese a Milano per la miniserie “Assunta Spina” mi colpì il fatto che lui faceva un teatro-tv. Girava in un attimo, con leggerezza, lo sceneggiato, perché prima delle riprese curava molto il lavoro con l’attore e nel girare era poi tutto molto più semplice. Oggi non si cura più l’attore sul set, si aggiusta tutto al taglio e montaggio mentre all’epoca si rifaceva la scena. E poi il mitico regista Enrico Oldoini, che ha scoperto Lino Banfi come attore drammatico, e grandissimi come Ugo Gregoretti e Antonio Calenda, regista del teatro vero. Oggi il teatro viene affittato agli influencer, che riempiono, fanno bei numeri, ma non è più magia teatrale»
“Tale e Quale Show” dà l’impressione di essere un gran divertimento innanzitutto per voi interpreti. Il personaggio più difficile e quello più divertente da impersonare?
«Premetto che non sono né imitatore né cantante, ma avendo l’impostazione proiettiana, cioè saper fare tutto, recitare, cantare, ballare, sono uno showman e ho dato questa impostazione a tutti i personaggi».
I più impegnativi?
«Luciano Pavarotti, Claudio Villa, Johnny Dorelli, che mi fece i complimenti in diretta. Mi ha molto divertito fare il cantante coreano Psy e naturalmente la grande Orietta Berti».
Ha interpretato Villa anche nella serie tv “Volare” di Riccardo Milani su Modugno.
«Sì, lui sapeva che avevo impersonato il Reuccio in modo strepitoso e mi chiamò. È stato emozionante interpretare un mito»
C’è emozione nel tornare in Abruzzo con uno spettacolo?
«Non c’è solo emozione ma attesa. Dovevo tornare con un nuovo spettacolo a Pescara nel 2018, ma per la morte di mia madre dovetti annullare. Poi c’è stato il Covid e si è fermato tutto. C’è l’emozione di portare uno spettacolo importante, più completo. A Civitavecchia abbiamo debuttato il 22 dicembre con un grande successo, il pubblico si è alzato in una standing ovation. Con Pescara ho un rapporto speciale, vi ho passato l’adolescenza prima di andare a 19 anni a Roma ed entrare a 20 anni alla scuola di Proietti. Ma non ho mai dimenticato l’Abruzzo, ho ripreso la casa di mio padre Mario e mia madre Augusta a Sulmona e appena posso torno»
C’è una dote, una caratteristica abruzzese che le è tornata utile nel suo mestiere?
«La testardaggine. Se non fossi stato tenace e abruzzese nell’animo non sarei riuscito a fare questo lavoro, che è fatto di tante componenti e difficoltà che ti ostacolano e scoraggiano. Poi l’estro, che mi è arrivato da mia madre che era emiliana. Una mamma importante, che mi ha insegnato quello che sono, così come ha fatto mio padre, una bella persona»
Tatiana e Kruska che fine hanno fatto?
«Sono nel mio cuore. Sono personaggi inventati all’epoca per fare un po’ di satira sociale, per raccontare la dura realtà della borgata romana, che ho vissuto. Raccontavo le difficoltà di una ragazza che sognava di sfondare nel mondo dello spettacolo, il messaggio era essere contenti delle proprie difficoltà e limiti, perché “nessuno è perfetto”, come dice il miliardario Osgood a Daphne/Jack Lemmon che gli rivela di essere una donna nel finale del film “A qualcuno piace caldo”»
Anche nei suoi spettacoli come nelle sue performance televisive c’è quell’ironia camp.
«Adoro essere al limite, andare sul bordo ma non uscire mai, anche con determinati personaggi o temi, senza mai scadere, senza volgarità, tant’è che i miei spettacoli sono per tutti, dal bambino al nonno».
Come chiudiamo questa conversazione?
«Vorrei dire all’Abruzzo che bisogna essere un po’ più squadra. Vorrei vedere il teatro pieno. Come quest’estate, millequattrocento persone sulla scalinata di San Bernardino a L’Aquila – Cantieri dell’Immaginario, un’emozione incredibile, con gente rimasta fuori perché c’era il tutto esaurito. Vorrei vedere il teatro Massimo pieno per poter essere orgoglioso dello spettacolo e del mio pubblico e poter dire: l’Abruzzo mi ha amato. Anche perché c’è una gara tra me e Carlo Conti, che ogni volta ci tiene a dire: “noi toscani siamo uniti, ci vogliamo bene, hai visto che abbiamo riempito il teatro? Che t’avevo detto?”. Ecco vorrei che anche in Abruzzo fosse così».
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