Pescaraporto, D’Alfonso intercettato: "Ruffini, vai da Milia"
Il caso giudiziario parte da una telefonata, una minuta e un incontro nello studio del legale-imprenditore. Le decisioni pensate fuori dalle sedi della Regione
PESCARA. Un’intercettazione tra il presidente Pd della Regione Luciano D’Alfonso e il suo braccio destro dell’epoca, Claudio Ruffini, per dirgli di passare dall’avvocato Milia. E parlare dell’affare di Pescaraporto e di come sbloccarlo. Parte da qui e da questa intercettazione l’inchiesta sul cantiere della società del difensore storico di D’Alfonso, Giuliano Milia: una telefonata ascoltata dalla procura dell’Aquila durante l’indagine sull’appalto di Palazzo Centi e poi girata a Pescara. Adesso, per quel progetto di un albergo e uffici lungo la riviera sud di Pescara tra il ponte del Mare e il porto turistico, sono 5 gli indagati, tutti per abuso d’ufficio e falso ideologico: il governatore e l’avvocato imprenditore, Ruffini, Guido Dezio, vice direttore generale del Comune di Pescara, e Vittorio Di Biase, dirigente del Genio civile. Oltre alle intercettazioni, tra gli atti dell’indagine c’è anche l’esposto presentato dalla consigliera comunale di Pescara del M5S Erika Alessandrini.
Riunione da Milia. Tutti gli indagati sono stati già interrogati dalla pm Anna Rita Mantini. E dagli interrogatori sarebbe emerso un retroscena centrale per l’inchiesta: alcuni atti degli enti pubblici sulla Pescaraporto sarebbero stati pianificati fuori dagli uffici istituzionali e decisi anche da personaggi senza competenza in materia. Gli investigatori della squadra mobile di Pescara, guidati dal capo Pierfrancesco Muriana, avrebbero trovato traccia di tre incontri avvenuti a cavallo della “strambata” del Genio civile tra il 18 febbraio 2016 e il 15 marzo dello stesso anno. Con il documento del 18 febbraio, il dirigente del Genio civile Di Biase e l’ingegnere dell’ufficio Tecnico Silvio Iervese (non indagato) sottolineano la «situazione di potenziale pericolo» nell’area dell’intervento edilizio e chiedono al Comune e all’Autorità di bacino «di verificare la regolarità e la compatibilità idraulica delle attività, nonché di accertare la completezza e la validità delle procedure e dei titoli autorizzativi rilasciati anche in ordine alle effettive condizioni di rischio e ai prioritari requisiti di cautela e di tutela della pubblica e privata incolumità»: è un no al progetto della società di Milia e del costruttore teatino Franco Mammarella (non indagato) che ricalca un altro precedente «parere non favorevole» dato dal Genio civile a tutto il Piano particolareggiato 2 (Pp2), l’area che comprende anche il cantiere di Pescaraporto. A distanza di meno di un mese, il 15 marzo, matura il dietrofront del Genio civile.
Spunta la minuta. Ma cosa sarebbe avvenuto tra quel 18 febbraio e il 15 marzo? Un incontro, così ha raccontato uno degli indagati nell’interrogatorio con la pm, risalirebbe all’inizio di marzo proprio nello studio di Milia, nella doppia veste di legale e di socio della Pescaraporto. Gli altri partecipanti sarebbero stati Ruffini e Dezio. Altri due incontri, confermati da Ruffini e Di Biase nei faccia a faccia con gli inquirenti, sarebbero avvenuti negli uffici di presidenza della Regione a Pescara. L’oggetto è sempre lo stesso: i lavori del Waterfront center. Uno degli indagati avrebbe raccontato che a proporre l’idea per blindare l’edificabilità e far cambiare parere al Genio civile sarebbe stato proprio Milia. Secondo il racconto dell’indagato, Milia gli avrebbe consegnato una bozza su cui successivamente lavorare: quasi un atto pubblico di indirizzo che sarebbe arrivato, però, dalla mano privata.
Scontro al Genio civile. Ma secondo gli accertamenti degli inquirenti, al Genio civile si sarebbe aperto uno scontro: se sull’atto negativo del 18 febbraio ci sono sia la firma del dirigente Di Biase che del responsabile dell’ufficio Tecnico Iervese, non è così sul documento che dà il via libera all’intervento il 15 marzo. Sull’ultima lettera in cui il Genio civile afferma di «prendere atto degli specifici accertamenti condotti dalle autorità competenti», è presente solo la firma di Di Biase perché Iervese si sarebbe rifiutato di controfirmare. Di certo, Iervese è stato ascoltato come testimone e avrebbe riferito il perché di quella firma mai messa: il suo no per un iter ritenuto sospetto.
Rebus «accertamenti». Ma la lettera apre anche un altro fronte dell’indagine: nell’atto si parla di «specifici accertamenti» svolti da Comune di Pescara e Autorità di Bacino. Ma questi «accertamenti» sono stati fatti davvero? E come sono stati fatti? È una delle domande al centro dell’indagine. Rispondendo in consiglio comunale a un’interrogazione del M5S, il dirigente comunale Gaetano Silveri (non indagato) parla di «bontà delle argomentazioni svolte e del percorso condotto».
La Mobile ha sequestrato i fascicoli in Comune e al Genio civile e tra queste carte ci sarebbe anche la minuta, una nota di poche righe, che avrebbe dovuto portare Di Biase a cambiare idea rispetto al primo no e a dare un parere positivo all’iniziativa di Pescaraporto. Quella minuta è alla base della lettera di Di Biase. Una lettera fondamentale perché è proprio questa che fa scattare il presunto reato di falso.
Appartamenti negati. Ma quell’atto che, per l’accusa è stato partorito attraverso una falsificazione, non basta a ottenere l’ultimo cambio di destinazione d’uso richiesto dalla società di Milia per costruire non più albergo e uffici ma appartamenti in tre palazzi vista mare: il consiglio comunale il 24 febbraio scorso ha bocciato la proposta.
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