Sindaco di Pescara insultato su Facebook, la polizia convoca i cittadini

Coda giudiziaria per le polemiche esplose nell’estate 2015 per il mare inquinato, le ingiurie via social rischiano di costare condanne fino a 3 anni di reclusione

PESCARA. Inizia la resa dei conti tra il sindaco Marco Alessandrini e quanti, nell’estate 2015, lo insultarono pesantemente sui social per la vicenda del mare inquinato e, soprattutto, per il mancato divieto di balneazione. Dopo gli insulti e le offese personali accumulate in quei giorni, infatti, il sindaco indagato per omissione (in relazione a quella ordinanza) aveva denunciato per diffamazione poco meno di una trentina di pescaresi.

«Mi hanno detto delle cose orrende», spiegò il 23 gennaio 2016 al Centro, «firmare quegli esposti contro persone che neanche conosco mi ha provocato un disagio incredibile, ma c’è un limite all’espressione del proprio dissenso». E di quei limiti ampiamente superati dovranno dare conto i cittadini che in questi giorni sono stati convocati dalla Polizia postale che gli ha notificato la denuncia per diffamazione, invitandoli a nominare un avvocato.

Tra i primi a essere stati convocati dagli investigatori, c’è un piccolo commerciante pescarese di 26 anni, Mattia Falone, che nell’estate del 2015 aveva una bambina di tre anni e un altro figlio in arrivo.

«È vero, ho insultato il sindaco», ammette il ragazzo, «ma non sono riuscito a trattenermi leggendo quello che andava dichiarando. Fu un mio amico a indicarmi le sue dichiarazioni sulla pagina Facebook del Centro. E lì sotto, come molti altri, lasciai il mio commento, sfogando la mia frustrazione. Il sindaco diceva che non c’erano problemi, che non c’erano gastroenteriti provocate dal mare inquinato dai liquami dello sversamento. Ma io proprio in quei giorni avevo mia figlia con una gastroenterite fortissima da due settimane, la pediatra stessa ci aveva detto che la causa poteva essere stata proprio l’acqua del mare. Ero infuriato. Io pure mi ero preso un’infezione al colon, ero finito perfino in ospedale».

«Insomma», prosegue il giovane commerciante, «quando ho letto quello che diceva il sindaco non ci ho visto più. Sicuramente ho esagerato, ma mi sembra davvero assurdo ritrovarmi adesso a dover pagare un avvocato ed eventualmente anche il relativo risarcimento. E per che cosa? Per lo sfogo di un padre preoccupato e frustrato da una situazione per cui lo stesso sindaco è finito sotto inchiesta e per cui ci deve essere ancora il processo? Certo, sicuramente questa cosa servirà di lezione a tutti, perché è vero che oggi sui social si scrive di tutto. Ma allora ci si dovrebbe querelare ogni giorno. Perché davvero non credo che un piccolo commerciante come me possa aver leso con le sue parole l’immagine di un sindaco. Non sono mica un personaggio così importante».

Non è questione di personaggi, ma di sensibilità per il sindaco Alessandrini che, oggi come un anno fa, ribadisce: «Ho la pretesa di difendere il mio onore e la mia reputazione. Non faccio querele in capo ai giornali, ma in capo ai signori che pensano che si possa insultare con espressioni orrende il sindaco. In questo momento mi aspetto solo che la giustizia faccia il suo corso. Il problema dei soldi e dell’eventuale risarcimento non me lo sono neanche posto».

Ma quanto rischiano, adesso, i pescaresi denunciati per quegli insulti virtuali?

Tenuto conto che la diffamazione su Facebook scatta se riferita a una persona ben individuata o individuabile con certezza (non sempre è necessario fare nome e cognome); che va inserita in uno degli spazi virtuali aperti al pubblico o comunicata ad almeno due persone; la pena che si applica al presunto diffamatore è quella prevista dall’articolo 595 del codice penale: reclusione da 6 mesi a 3 anni o, in alternativa, una multa non inferiore a 516 euro.

Nel caso in cui la parte offesa si sia costituita parte civile nel processo, il giudice penale condannerà poi il colpevole a pagare una somma di danaro in favore della vittima a titolo di risarcimento del danno morale.

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