Biennale, la luce della materia
Omaggio all’abruzzese Cascella nella 53ª edizione della mostra.
Nel buio della prima sala dell’Arsenale i fili d’oro della scomparsa artista neoconcretista Lygia Pape sembrano i raggi di tanti soli. Per Daniel Birnbaum, direttore di «Fare mondi», la 53ª Esposizione internazionale d’arte della Biennale di Venezia, è importante illuminare l’oggi indicando i maestri che hanno influenzato le generazioni più giovani.
La 53ª edizione della Biennale d’arte di Venezia coincide con un cambiamento nella storia dell’istituzione.
Lo ha detto, ieri, il presidente della Biennale, Paolo Baratta, alla conferenza stampa di inaugurazione dell’esposizione che si concluderà il 22 novembre. «Ricerca e permanente», ha detto Baratta, «sono parole nel Dna della Biennale».
Un filo diretto collega le sperimentazioni di Pape alle panoramiche di un boreale paesaggio urbano visto da distante della padovana Grazia Toderi, classe 1963. Ma, anche, alla spaesante installazione di elettrodomestici dormienti, con le loro luci pulsanti in notturno, del cinese Chu Yun, classe 1977.
«Nel recuperare espressioni dal recente passato», ha detto Birnaum, «“Fare mondi”, con 90 artisti da tutto il mondo, non è animata da motivi nostalgici, ma dall’intento di trovare strumenti per il futuro e rendere possibili nuovi inizi».
In Buddha’s hands, Huang Yong Ping, cinese che lavora a Parigi, rappresenta le mani di Buddha: due immense corolle di cedro dalle virtù terapeutiche e sacrali: una sospesa nel vuoto, l’altra stringe una collana di perle che sembrano sul punto di accendersi.
La spagnola Sara Ramo, d’altra parte, invita lo spettatore a completare i suoi frammenti di racconto: sullo schermo, una sfera bianca rotola mossa dal vento.
Un altro spagnolo, Jorge Otero-Pailos, espone in semitrasparenza, di latex i segni lasciati dalla storia su un muro del Palazzo Ducale di Venezia.
Gioca a «Fare mondi» l’olandese Madelon Vrisendorp con i suoi giocattoli giganti: invita il visitatore ad assemblarli per portare alla luce il proprio inconscio.
Non è un caso che, in fondo al percorso delle Corderie, sia stata ingigantita a tutta parete l’immagine proiettata di un luminoso bonsai sul quale si proietta l’ombra più piccola dello spettatore che si avvicina.
Neon, poi, per l’illusionistico pozzo senza fondo del cileno Ivan Navarro Threshold, autore anche di una serie di porte di tutti i colori dell’arcobaleno, apribili su mondi possibili. Prelude alla porta aperta nel Giardino delle Vergini che da ieri, con nuovo ponte, collega l’Arsenale ai Giardini.
«Dopo le inaugurazioni dei nuovi spazi di Ca’ Giustinian, sede della Biennale, ai Giardini è pronto tra l’altro il nuovo Palazzo delle Esposizioni che si candida», ha promesso il presidente Baratta, «alle future attività permanenti dell’istituzione veneziana».
Agli invitati, poi, è offerta la possibilità di dare un contributo tangibile per la biblioteca dell’Asac (Archivio Storico delle Arti Contemporanee).
Un modo tangibile forse di fare nel campo dell’arte e della cultura che vuole avere in Venezia un punto costante di riferimento. Quello che è certo, intanto, è che tutta la città, in questi giorni, è costellata di esperienze, di esposizioni, di performance, che hanno nel contemporaneo dell’arte la loro essenza.
Se nel Futurismo la luce era lampo e azione, per gli artisti italiani di «Collaudi. Omaggio a Marinetti» che espongono al Padiglione italia nell’ambito della Biennale, la luce è soprattutto spiritualità. Il Padiglione italiano ospita anche un Omaggio a Pietro Cascella, lo scultore pescarese morto l’anno scorso.
Un Unicorno composto da migliaia di brillanti luminosi, dal corpo tenero d’asino e il collo elegante di antilope, trionfa nell’«Orpheus’s Dream» di Nicola Bolla. «La mia», ha detto l’artista che, dieci anni fa a New York, ha realizzato un teschio tempestato di diamanti riproposto poco tempo fa da altri, «è scultura di luce: Orfeo si gira, ma Euridice non muore, quello che Orfeo vede è uno stupendo unicorno».
Per Daniele Galliano, invece, la spiritualità è una montagna dalla vetta illuminata: nel suo dipinto «L’Era dell’Acquario» un valligiano indossa inaspettatamente una chiara a forma di pesce.
«Un’epoca sta finendo», ha detto Galliano, «stiamo per entrare in una dimensione diversa che vedrà l’umanità tornare al livello di coscienza dei bambini che sanno giocare con la Terra».
Il poster di un uomo che cammina nella neve verso una montagna è parte integrante del progetto espositivo di Roberto Floreani, i cui quadri, astratti, sono composti da una trentina di strati di materia dalla quale emerge il simbolo del cerchio concentrico. «Credo nell’arte come messaggio spirituale, nella montagna come luogo di elevazione», ha affermato Floreani, «quanto al cerchio, sta a chi guarda interpretarlo, di mio posso dire che riflette il mio percorso».
Nella grande sala del Padiglione Italia, campeggia a tutta parete la grande tela di un piramide controluce, opera con installazione sonora di Silvio Wolf. In uno spazio attiguo adibito a cappella, «La morte di James Dean» di Nicola Verlato in forma di pala manieristico-barocca, con l’attore che precipita assieme a un toro dal burrone.
Sul lato opposto alla piramide, la videoinstallazione animata di Valerio Berruti con il disegno di un bimba che si muove irrequieta su una sedia: «La Figlia di Isacco», che, non c’è dubbio, lei si salverà.
Tra le opere, rigorosa, la «Battaglia di Lepanto» rivisitata con superfetazioni di plastica da Luca Pignatelli. In un’altra nicchia il dipinto «L’Immacolata Concezione», inseminazione mistica di Marco Cingolani. Per l’Omaggio a Marinetti, un affresco di Manfredi Beninati.
L’esposizione, curata da Beatrice Buscaroli e Luca Beatrice, è realizzata dal ministero per i Bene e le attività culturali con la Parc-Direzione generale per la qualità e la tutela del paesaggio, l’architettura e le arti contemporanee assieme alla Fondazione La Biennale di Venezia.
La 53ª edizione della Biennale d’arte di Venezia coincide con un cambiamento nella storia dell’istituzione.
Lo ha detto, ieri, il presidente della Biennale, Paolo Baratta, alla conferenza stampa di inaugurazione dell’esposizione che si concluderà il 22 novembre. «Ricerca e permanente», ha detto Baratta, «sono parole nel Dna della Biennale».
Un filo diretto collega le sperimentazioni di Pape alle panoramiche di un boreale paesaggio urbano visto da distante della padovana Grazia Toderi, classe 1963. Ma, anche, alla spaesante installazione di elettrodomestici dormienti, con le loro luci pulsanti in notturno, del cinese Chu Yun, classe 1977.
«Nel recuperare espressioni dal recente passato», ha detto Birnaum, «“Fare mondi”, con 90 artisti da tutto il mondo, non è animata da motivi nostalgici, ma dall’intento di trovare strumenti per il futuro e rendere possibili nuovi inizi».
In Buddha’s hands, Huang Yong Ping, cinese che lavora a Parigi, rappresenta le mani di Buddha: due immense corolle di cedro dalle virtù terapeutiche e sacrali: una sospesa nel vuoto, l’altra stringe una collana di perle che sembrano sul punto di accendersi.
La spagnola Sara Ramo, d’altra parte, invita lo spettatore a completare i suoi frammenti di racconto: sullo schermo, una sfera bianca rotola mossa dal vento.
Un altro spagnolo, Jorge Otero-Pailos, espone in semitrasparenza, di latex i segni lasciati dalla storia su un muro del Palazzo Ducale di Venezia.
Gioca a «Fare mondi» l’olandese Madelon Vrisendorp con i suoi giocattoli giganti: invita il visitatore ad assemblarli per portare alla luce il proprio inconscio.
Non è un caso che, in fondo al percorso delle Corderie, sia stata ingigantita a tutta parete l’immagine proiettata di un luminoso bonsai sul quale si proietta l’ombra più piccola dello spettatore che si avvicina.
Neon, poi, per l’illusionistico pozzo senza fondo del cileno Ivan Navarro Threshold, autore anche di una serie di porte di tutti i colori dell’arcobaleno, apribili su mondi possibili. Prelude alla porta aperta nel Giardino delle Vergini che da ieri, con nuovo ponte, collega l’Arsenale ai Giardini.
«Dopo le inaugurazioni dei nuovi spazi di Ca’ Giustinian, sede della Biennale, ai Giardini è pronto tra l’altro il nuovo Palazzo delle Esposizioni che si candida», ha promesso il presidente Baratta, «alle future attività permanenti dell’istituzione veneziana».
Agli invitati, poi, è offerta la possibilità di dare un contributo tangibile per la biblioteca dell’Asac (Archivio Storico delle Arti Contemporanee).
Un modo tangibile forse di fare nel campo dell’arte e della cultura che vuole avere in Venezia un punto costante di riferimento. Quello che è certo, intanto, è che tutta la città, in questi giorni, è costellata di esperienze, di esposizioni, di performance, che hanno nel contemporaneo dell’arte la loro essenza.
Se nel Futurismo la luce era lampo e azione, per gli artisti italiani di «Collaudi. Omaggio a Marinetti» che espongono al Padiglione italia nell’ambito della Biennale, la luce è soprattutto spiritualità. Il Padiglione italiano ospita anche un Omaggio a Pietro Cascella, lo scultore pescarese morto l’anno scorso.
Un Unicorno composto da migliaia di brillanti luminosi, dal corpo tenero d’asino e il collo elegante di antilope, trionfa nell’«Orpheus’s Dream» di Nicola Bolla. «La mia», ha detto l’artista che, dieci anni fa a New York, ha realizzato un teschio tempestato di diamanti riproposto poco tempo fa da altri, «è scultura di luce: Orfeo si gira, ma Euridice non muore, quello che Orfeo vede è uno stupendo unicorno».
Per Daniele Galliano, invece, la spiritualità è una montagna dalla vetta illuminata: nel suo dipinto «L’Era dell’Acquario» un valligiano indossa inaspettatamente una chiara a forma di pesce.
«Un’epoca sta finendo», ha detto Galliano, «stiamo per entrare in una dimensione diversa che vedrà l’umanità tornare al livello di coscienza dei bambini che sanno giocare con la Terra».
Il poster di un uomo che cammina nella neve verso una montagna è parte integrante del progetto espositivo di Roberto Floreani, i cui quadri, astratti, sono composti da una trentina di strati di materia dalla quale emerge il simbolo del cerchio concentrico. «Credo nell’arte come messaggio spirituale, nella montagna come luogo di elevazione», ha affermato Floreani, «quanto al cerchio, sta a chi guarda interpretarlo, di mio posso dire che riflette il mio percorso».
Nella grande sala del Padiglione Italia, campeggia a tutta parete la grande tela di un piramide controluce, opera con installazione sonora di Silvio Wolf. In uno spazio attiguo adibito a cappella, «La morte di James Dean» di Nicola Verlato in forma di pala manieristico-barocca, con l’attore che precipita assieme a un toro dal burrone.
Sul lato opposto alla piramide, la videoinstallazione animata di Valerio Berruti con il disegno di un bimba che si muove irrequieta su una sedia: «La Figlia di Isacco», che, non c’è dubbio, lei si salverà.
Tra le opere, rigorosa, la «Battaglia di Lepanto» rivisitata con superfetazioni di plastica da Luca Pignatelli. In un’altra nicchia il dipinto «L’Immacolata Concezione», inseminazione mistica di Marco Cingolani. Per l’Omaggio a Marinetti, un affresco di Manfredi Beninati.
L’esposizione, curata da Beatrice Buscaroli e Luca Beatrice, è realizzata dal ministero per i Bene e le attività culturali con la Parc-Direzione generale per la qualità e la tutela del paesaggio, l’architettura e le arti contemporanee assieme alla Fondazione La Biennale di Venezia.