Una sola provincia tra Teramo e Ascoli
Dall’idea al matrimonio
Un matrimonio di comune interesse. Realizzare una sola Provincia tra Teramo ed Ascoli Piceno. Un’idea controcorrente, ma coerente. Le cronache degli anni Ottanta, in Abruzzo come nel resto del Paese, ci hanno raccontato di città che aspiravano a diventare Province. Solo da noi almeno tre: Avezzano, Lanciano e Sulmona, in rigoroso ordine alfabetico, lo hanno chiesto con forza, e non ottenuto.
Dietro quelle ambizioni separatiste, c’era l’idea che la nascita di una Provincia era sinonimo di volano per lo sviluppo. Nell’Italia della crescita economica basata sul debito pubblico, ci poteva anche stare un ragionamento del tipo, «con una nuova Provincia più posti di lavoro (pubblici) e servizi più vicini al cittadino». Quell’Italia non c’è più.
Travolta dal peso del debito pubblico e dall’affermarsi di un modello di economia, fondato su nuovi mezzi di comunicazione, Internet prima di tutti. La globalizzazione non solo ha reso più piccolo il mondo. Ma ha finito per ribaltare un concetto, che aveva reso ricche le province italiane. L’economia che si reggeva sull’idea del “piccolo è bello” ne è uscita con le ossa rotte dal confronto con i mercati internazionali.
Oggi alle imprese piccole e medie non basta puntare sulla qualità per reggere il confronto globale. Si è fatto largo così il concetto di “sistema” che si coniuga con la riduzione di costi e sprechi. E’ figlia di questa consapevolezza la scelta delle amministrazioni comunali e provinciali di Teramo e Ascoli Piceno. Che hanno fatto una piccola rivoluzione culturale sostituendo nel lessico delle ambizioni dei territori il termine “fusione” a quello di”separazione”.
E’ tutta qui la differenza tra gli anni Ottanta e quelli che viviamo ora. La nuova Provincia è vista come un’ambizione ad unire le forze, per essere forti come territorio. Razionalizzare i costi della politica, puntando a gestire insieme servizi pubblici, infrastrutture e risorse pubbliche. Giovedì all’Aquila il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, esprimendo la sua preoccupazione per lo stato delle istituzioni locali, ha auspicato una processo di semplificazione di enti e strutture pubbliche.
Teramo ed Ascoli Piceno quella strada hanno deciso di imboccarla. Faranno da battistrada di quell un’Italia che riprende a scommettere sul proprio futuro, accettando la sfida della competizione? Le intenzioni ci sono. Vedremo se dal fidanzamento si arriverà al matrimonio.
Dietro quelle ambizioni separatiste, c’era l’idea che la nascita di una Provincia era sinonimo di volano per lo sviluppo. Nell’Italia della crescita economica basata sul debito pubblico, ci poteva anche stare un ragionamento del tipo, «con una nuova Provincia più posti di lavoro (pubblici) e servizi più vicini al cittadino». Quell’Italia non c’è più.
Travolta dal peso del debito pubblico e dall’affermarsi di un modello di economia, fondato su nuovi mezzi di comunicazione, Internet prima di tutti. La globalizzazione non solo ha reso più piccolo il mondo. Ma ha finito per ribaltare un concetto, che aveva reso ricche le province italiane. L’economia che si reggeva sull’idea del “piccolo è bello” ne è uscita con le ossa rotte dal confronto con i mercati internazionali.
Oggi alle imprese piccole e medie non basta puntare sulla qualità per reggere il confronto globale. Si è fatto largo così il concetto di “sistema” che si coniuga con la riduzione di costi e sprechi. E’ figlia di questa consapevolezza la scelta delle amministrazioni comunali e provinciali di Teramo e Ascoli Piceno. Che hanno fatto una piccola rivoluzione culturale sostituendo nel lessico delle ambizioni dei territori il termine “fusione” a quello di”separazione”.
E’ tutta qui la differenza tra gli anni Ottanta e quelli che viviamo ora. La nuova Provincia è vista come un’ambizione ad unire le forze, per essere forti come territorio. Razionalizzare i costi della politica, puntando a gestire insieme servizi pubblici, infrastrutture e risorse pubbliche. Giovedì all’Aquila il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, esprimendo la sua preoccupazione per lo stato delle istituzioni locali, ha auspicato una processo di semplificazione di enti e strutture pubbliche.
Teramo ed Ascoli Piceno quella strada hanno deciso di imboccarla. Faranno da battistrada di quell un’Italia che riprende a scommettere sul proprio futuro, accettando la sfida della competizione? Le intenzioni ci sono. Vedremo se dal fidanzamento si arriverà al matrimonio.