Tornatore: «Il rito Picciano»
Il regista, con Morricone, porta «Baarìa» al Museo di Di Silverio.
«Quando esce un mio nuovo film so che verrò a Picciano. Ormai è un rito e so che mi porterà fortuna. Adoro questo luogo, lo riconosco nel modo di pensare, nelle abitudini, il comportamento, il dialetto. Se li ami, i dialetti, li capisci tutti».
Giuseppe Tornatore spiega così il suo affetto per il piccolo paese del Pescarese in cui sabato sera ha presentato il suo nuovo lavoro. Tornatore è stato ospite dell’auditorium Sinopoli del Mutac, il Museo delle arti e tradizioni contadine creato da Franco Di Silverio, l’urologo di fama mondiale con la passione per l’arte e la cultura popolare e, soprattutto, per il suo paese di nascita, Picciano.
Una serata speciale per il Mutac, affollatissimo per la proiezione di «Baarìa» alla presenza del regista, Tornatore, e del compositore Ennio Morricone, autore della colonna sonora del film.
I due premi Oscar si sono ritrovati ancora una volta insieme al Mutac e dal consiglio comunale al completo hanno ricevuto le chiavi del paese, ossia la cittadinanza onoraria.
All’organizzaizone della serata è intervenuta anche la società di produzione, Medusa film, rappresentata dall’amministratore delegato Gianpaolo Letta e dal direttore di produzione, Mario Spedaletti.
«Baarìa è un capolavoro del cinema italiano e mondiale», ha affermato Morricone, «Quello che io e Peppuccio abbiamo fatto rimane tra le più alte espressioni del cinema. Sono molto legato all’Abruzzo, all’Aquila e a Picciano, stasera è un’occasione per ritrovare degli amici. Mi inorgoglisce sempre trovare una città che ti vuole bene, la gente, gli amministratori».
Prima della proiezione i due artisti hanno risposto alle domande del Centro.
Tornatore, «Baarìa» è un omaggio alla Sicilia e al suo paese nativo.
«E’un film sull’appartenenza a una comunità. Più la comunità è piccola, più è forte questa identità. L’unità di luogo, Bagheria, che ho amato chiamare in dialetto, serve proprio a rafforzare il progetto iniziale dell’opera: il tema dell’appartenenza».
Qual è il rischio di mistificazione nella rivalutazione dei dialetti regionali?
«Amo molto il dialetto del mio paese e adoro tutti i dialetti: sono un codice musicale che mi incanta sempre. Benvenga la riscoperta e la conoscenza delle parlate regionali ai fini della loro conservazione. Ma se un’iniziativa, come quella leghista, strumentalizza la causa a fini secessionistici, si va in senso contrario alla rivalutazione delle identità locali ai fini dell’espressione di una identità comunitaria e non regolata da supremazie».
Il sangue del manzo ucciso nel film, ha scandalizzato gli animalisti.
«Mi sembra un attacco eccessivo. Non abbiamo assolutamente preso un animale per ucciderlo premeditatamente. Quella era una sequenza importante e non si poteva realizzare con gli effetti speciali. Siamo andati in un mattatoio dove vengono abbattuti decine di capi ogni giorno e abbiamo ripreso dal vero quello che lì è normale routine. Io ho ridotto al minimo la sequenza. Non abbiamo fatto quello che gli animalisti avanzano nelle loro giuste motivazioni. Girare in Tunisia non è stato un escamotage e noi non abbiamo fatto male a nessuna bestia».
Cosa cambierebbe in «Baarìa»?
«Proprio niente, lo volevo fare così. E’ il punto di forza del film. Spero che questa storia complessa, semplice e popolare aiuti il pubblico a riflettere su quanto accaduto nel nostro Paese negli ultimi 50 anni. In questo lungo viaggio verso una condizione migliore di vita si sono persi valori che sarebbe bello ritrovare. E poi un film non può piacere sempre a tutti, anche se per farlo ha richiesto molto lavoro e molta fatica come in questo caso. Sono contento che il pubblico vero, che va al cinema e non scrive recensioni, si diverte, si commuove, si indigna. “Baarìa” è un film di sentimento e di grande sincerità».
Visto il suo rapporto stretto con Picciano, ha mai pensato di girare un film in Abruzzo?
«Questa è una terra straordinaria, che ha potenzialità per girarci non uno ma cento film. Il fatto è che sono i film, a chiederti dove essere girati. Sono molto legato a un luogo dalle parti di Santo Stefano di Sessanio dove ho girato una sequenza importante di Una pura formalità».
Morricone, lei con Tornatore ha in comune quasi 22 anni di lavoro insieme: un rapporto ideale che travalica le generazioni.
«La collaborazione con Giuseppe si è andata consolidando nel tempo e non ci siamo mai stancati. Lui ha acquisito una grande cultura musicale e a questo aggiunge le intuizioni che ci vogliono, affinché la musica si possa ascoltare nel film. Il mio lavoro è al servizio della sua opera. Per “Baarìa” avevo scritto dei temi prima che fosse girato, gli ho presentato parecchie idee musicali e dopo che lui ha girato e messo la musica sulle immagini, ha visto quale funzionava. Comunque è stata una grande responsabilità. Se il film è bello, resta tale anche se la musica non è bella. E questo è un film straordinario».
Giuseppe Tornatore spiega così il suo affetto per il piccolo paese del Pescarese in cui sabato sera ha presentato il suo nuovo lavoro. Tornatore è stato ospite dell’auditorium Sinopoli del Mutac, il Museo delle arti e tradizioni contadine creato da Franco Di Silverio, l’urologo di fama mondiale con la passione per l’arte e la cultura popolare e, soprattutto, per il suo paese di nascita, Picciano.
Una serata speciale per il Mutac, affollatissimo per la proiezione di «Baarìa» alla presenza del regista, Tornatore, e del compositore Ennio Morricone, autore della colonna sonora del film.
I due premi Oscar si sono ritrovati ancora una volta insieme al Mutac e dal consiglio comunale al completo hanno ricevuto le chiavi del paese, ossia la cittadinanza onoraria.
All’organizzaizone della serata è intervenuta anche la società di produzione, Medusa film, rappresentata dall’amministratore delegato Gianpaolo Letta e dal direttore di produzione, Mario Spedaletti.
«Baarìa è un capolavoro del cinema italiano e mondiale», ha affermato Morricone, «Quello che io e Peppuccio abbiamo fatto rimane tra le più alte espressioni del cinema. Sono molto legato all’Abruzzo, all’Aquila e a Picciano, stasera è un’occasione per ritrovare degli amici. Mi inorgoglisce sempre trovare una città che ti vuole bene, la gente, gli amministratori».
Prima della proiezione i due artisti hanno risposto alle domande del Centro.
Tornatore, «Baarìa» è un omaggio alla Sicilia e al suo paese nativo.
«E’un film sull’appartenenza a una comunità. Più la comunità è piccola, più è forte questa identità. L’unità di luogo, Bagheria, che ho amato chiamare in dialetto, serve proprio a rafforzare il progetto iniziale dell’opera: il tema dell’appartenenza».
Qual è il rischio di mistificazione nella rivalutazione dei dialetti regionali?
«Amo molto il dialetto del mio paese e adoro tutti i dialetti: sono un codice musicale che mi incanta sempre. Benvenga la riscoperta e la conoscenza delle parlate regionali ai fini della loro conservazione. Ma se un’iniziativa, come quella leghista, strumentalizza la causa a fini secessionistici, si va in senso contrario alla rivalutazione delle identità locali ai fini dell’espressione di una identità comunitaria e non regolata da supremazie».
Il sangue del manzo ucciso nel film, ha scandalizzato gli animalisti.
«Mi sembra un attacco eccessivo. Non abbiamo assolutamente preso un animale per ucciderlo premeditatamente. Quella era una sequenza importante e non si poteva realizzare con gli effetti speciali. Siamo andati in un mattatoio dove vengono abbattuti decine di capi ogni giorno e abbiamo ripreso dal vero quello che lì è normale routine. Io ho ridotto al minimo la sequenza. Non abbiamo fatto quello che gli animalisti avanzano nelle loro giuste motivazioni. Girare in Tunisia non è stato un escamotage e noi non abbiamo fatto male a nessuna bestia».
Cosa cambierebbe in «Baarìa»?
«Proprio niente, lo volevo fare così. E’ il punto di forza del film. Spero che questa storia complessa, semplice e popolare aiuti il pubblico a riflettere su quanto accaduto nel nostro Paese negli ultimi 50 anni. In questo lungo viaggio verso una condizione migliore di vita si sono persi valori che sarebbe bello ritrovare. E poi un film non può piacere sempre a tutti, anche se per farlo ha richiesto molto lavoro e molta fatica come in questo caso. Sono contento che il pubblico vero, che va al cinema e non scrive recensioni, si diverte, si commuove, si indigna. “Baarìa” è un film di sentimento e di grande sincerità».
Visto il suo rapporto stretto con Picciano, ha mai pensato di girare un film in Abruzzo?
«Questa è una terra straordinaria, che ha potenzialità per girarci non uno ma cento film. Il fatto è che sono i film, a chiederti dove essere girati. Sono molto legato a un luogo dalle parti di Santo Stefano di Sessanio dove ho girato una sequenza importante di Una pura formalità».
Morricone, lei con Tornatore ha in comune quasi 22 anni di lavoro insieme: un rapporto ideale che travalica le generazioni.
«La collaborazione con Giuseppe si è andata consolidando nel tempo e non ci siamo mai stancati. Lui ha acquisito una grande cultura musicale e a questo aggiunge le intuizioni che ci vogliono, affinché la musica si possa ascoltare nel film. Il mio lavoro è al servizio della sua opera. Per “Baarìa” avevo scritto dei temi prima che fosse girato, gli ho presentato parecchie idee musicali e dopo che lui ha girato e messo la musica sulle immagini, ha visto quale funzionava. Comunque è stata una grande responsabilità. Se il film è bello, resta tale anche se la musica non è bella. E questo è un film straordinario».