Matteo Renzi: «Nuovo Papa? Gli italiani favoriti perché diplomatici. L’elezione influirà sulla geopolitica»

Nostra intervista al leader di Italia Viva. Critiche alla premier Giorgia Meloni: «Cerca solo spazio nelle foto»
ORTONA. Influencer è il titolo del suo ultimo libro. È dedicato alla Premier Meloni, si sa. Ma non solo, probabilmente. Anche alla società dei social media, al trionfo della forma sulla sostanza, alla prevalenza della rappresentazione delle notizie sui fatti. Alla post-verità, insomma. Una critica alla stampa (mai troppo amata), che non vede lontano. Agli intellettuali, che non vedono l’intero. Ad una società che non riesce -secondo lui- a vedere il dettaglio. Tutti ipovedenti.
Presidente Renzi, cosa non abbiamo visto del papato di Francesco?
«Non so cosa non abbiamo visto. Ma forse non abbiamo capito fino in fondo quello che lui ha cercato di fare, il suo sguardo nel futuro».
Nessuno?
«Giambattista Re, con grande saggezza, ha dato una lettura suggestiva nell’omelia della messa esequiale. Ha cercato di inserire in una cornice squisitamente teologica le mosse di Francesco. Il Papa della pastorale evangelica, quasi missionaria; il Papa della povertà; il Papa che non ha paura di dare messaggi dirompenti e controcorrente. Il cardinale Re è un diplomatico di grande esperienza. Eppure, ha voluto citare non solo il viaggio a Lampedusa, ma anche e soprattutto la messa che Francesco fece al confine tra Usa e Messico. E Trump era lì davanti. E ascoltavano i potenti del mondo, i signori cardinali e il popolo di Dio».
Cosa dimostrerebbe?
«Che gli effetti del papato di Bergoglio sono potenti, ma si potranno valutare solo nei prossimi anni. Dai simboli, come l’aver sostanzialmente chiuso l’appartamento al terzo piano del Palazzo Apostolico a vantaggio di Santa Marta, al punto centrale del suo magistero».
Quale è?
«L'uomo di pace che propizia la pace. Per noi credenti è bello credere che lo Spirito abbia agito, nel giorno del suo funerale, per creare le condizioni per una pace tra Russia e Ucraina. Per chi sia meno sensibile alle suggestioni mistiche, più facile pensare che la Vatican Diplomacy aveva ben preparato le due seggiole».
Seggiole efficaci?
«Straordinariamente e potentemente».
Hanno voluto farsi vedere e mandare un messaggio, questo sì, Urbi et Orbi? Avrebbero potuto parlarsi ovunque, li dietro, mantenendo il segreto.
«Con Trump tutte le letture diplomatiche, protocollari, liturgiche lasciano il tempo che trovano. Trump è capace di improvvisare ed è totalmente imprevedibile. Ma c’è un'altra foto che è altrettanto, o forse anche più, significativa. Ed è l’immagine di Macron e Starmer, che accompagnano Zelensky e Trump a parlarsi. I due leader dei Volenterosi che da settimane stanno lavorando sugli americani per tessere le fila del dialogo e, soprattutto, per disegnare l’ossatura dell’Europa del domani».
La politica estera, però, non è fatta di foto.
«Ha ragione. Chi fa diplomazia sa bene che non basta lo scatto giusto. Ed è per questo che io critico la nostra Presidente del Consiglio, che cerca solo photo-opportunity».
Beh, il funerale di Roma è comunque un successo diplomatico.
«Certo, ma non italiano. Paradossalmente, contrappasso dei contrappassi, Meloni è rimasta fuori dalla foto dell’anno! Proprio lei che ha sempre fatto politica estera per mezzo delle immagini e catturando i momenti enfatici. Il funerale del Papa è stato il momento massimo di disvelamento della rappresentazione teatrale che il Governo ha fatto in questi mesi e che tutta la politica e la stampa, se lo lasci dire, si sono bevute!»
Cioè?
«Ma scusi, la Meloni si era vantata di essere “la pontiera”, il canale di comunicazione privilegiato tra Trump e von der Leyen, la tessitrice degli accordi, eccetera. Il funerale in diretta planetaria, invece, ha mostrato che il presidente degli Stati Uniti e la presidente della Commissione, se si vogliono parlare, lo fanno se, come e quando vogliono. E a propiziare l’incontro che risolverà – spero proprio – la guerra ucraina, ci hanno pensato le cancellerie di Londra e Parigi. Sa che ha fatto Meloni, mentre avveniva tutto questo?» Dica. «Se ne è andata a pranzo con Milei. Si fa quel che si può, diciamo».
Lei è sempre implacabile con Meloni. Eppure, in politica estera Meloni ha mantenuto una posizione coerente ed ha indubbi successi.
«Vede, se l’è trangugiata anche lei. Se Meloni fosse forte nelle cancellerie estere tanto quanto lo è nelle redazioni, saremmo una potenza mondiale. È per questo che la chiamo l’Influencer. Questa fiaba della grande abilità diplomatica di Giorgia Meloni è una storiella che va bene per i fumetti, ma non è vera. Basta pensare ai fatti».
E numeri.
«Prima, la favola narrava che “a noi non metteranno i dazi, perché siamo l'Italia”. Poi è diventata: “Li metteranno anche a noi, ma io convincerò Trump a sospenderli”. Poi si è trasformata in: “Io porterò Trump a parlare con von der Leyen”».
E invece?
«E invece Trump ha fatto da solo. Ha messo i dazi, anche all’Italia. Poi li ha ridotti al 10% e sospeso l’aumento a tutti, perché fa parte della sua strategia. Poi ha deciso di parlare con la presidente della Commissione. Eppure, tutti i giornali a ripetere che la Meloni è una leader mondiale. Ma la politica è da un’altra parte».
Dove?
«Nella guerra commerciale che Trump ha scatenato contro il mondo e che inevitabilmente porterà l'Europa a dover reagire».
Come?
«Sul piano della vicenda della difesa comune europea e dell’Ucraina, sotto la guida di Macron e Starmer. Sul tema dei dazi, non sarà certo l’Italia a condurre i giochi perché la nostra presidente non ha fatto – e non fa – la scelta di campo e di prospettiva che deve essere fatta».
Quale?
«Decidere dove mettere il Paese! Dove posizionarci, banalmente, nella evoluzione storica: cioè che tipo di Europa vogliamo dopo l’incendio che Trump & co. hanno appiccato. O stai con l’Unione Europea, o stai nel limbo delle mezze parole. Parlavamo di foto che hanno fatto la storia. Vuole che le dica quali sono quelle in cui, all’immagine, è seguita una realtà?».
Ovviamente, voglio.
«La prima è la foto di Ventotene. Con François Hollande, Angela Merkel e l’Italia con Renzi».
La seconda?
«Quella del treno per Kiev, con Emmanuel Macron, Olaf Scholz, Mario Draghi. E la terza è la foto di sabato in Vaticano, Macron, Starmer, Trump, Zelensky. L’Italia dell’Influencer, purtroppo, non c’era. Meloni, infinitamente brava a comunicare, non parla né con Parigi, né con Berlino. E la terza gamba portante dell’Ue sta diventando la Polonia di Donald Tusk. Varsavia scaccia Roma e la pontiera sta isolando l’Italia. Che successone diplomatico, eh?».
Questa vacillante e difficile situazione internazionale quanto influirà sul Conclave?
«Zero. Il Conclave ha dinamiche diverse e complesse».
Quali?
«Difficile capire come 135 cardinali che vengono da tutto il mondo potranno indirizzarsi. E accordarsi. Bisognerà vedere, nelle Congregazioni generali che si svolgono in questi giorni, chi sarà capace di fare un discorso come quello che Bergoglio fece quattro giorni prima di essere eletto, infiammando di passione i porporati».
Lei a chi pensa?
«Non è mio compito farlo. Ogni soluzione è aperta, ma non va escluso che prevalga un nome di mediazione, che non dispiaccia ai tanti cardinali creati da Francesco, ma che rassicuri anche i conservatori».
Italiano? Asiatico?
«Lo Spirito soffia dove vuole. Ma ricordo il grande lavoro diplomatico che il Segretario di Stato, Parolin, ha fatto per recuperare il rapporto con la Cina. O Zuppi nel conflitto ucraino-russo, o Pizzaballa a Gerusalemme. Gli italiani hanno svolto intense missioni diplomatiche, non solo azioni pastorali. Anche gli asiatici, certo. A cominciare dall’Arcivescovo di Manila, Tagle. Filippino, ma di madre cinese. O dal coreano You Heung-sik, prefetto per il clero. Oppure, un cardinale che venga dall’altro grande serbatoio di fede, l’Africa. La politica si ferma fuori dalle porte della Sistina. Mentre sono sicuro del contrario».
Cioè?
«Che saranno il Conclave e il suo risultato ad influire sulla direzione geopolitica che il mondo prenderà. Le ricordo un nome: San Giovanni Paolo II. Ha buttato giù il Muro. E ho detto tutto».
Il vecchio continente è in crisi?
«L'Europa quando c'è caos trova energie eccezionali per ripartire. In questo senso, la guerra commerciale che i sovranisti hanno dichiarato all'UE è destinata a dividere il campo tra chi crede nel rilancio dell’Europa e chi le gioca contro. Le incertezze e i tentennamenti di Meloni sono ingiustificabili e fortemente dannosi. Non così per Macron, pur con fortissime difficoltà interne. Né per un nuovo leader come Merz. Né per Starmer. E vedremo cosa accadrà in Polonia con le presidenziali. Una cosa, invece, è certa».
Quale?
«Che l’Italia, purtroppo, sta perdendo il treno della storia. Mentre Meloni magnifica i suoi risultati nella grandeur della propaganda, gli stipendi non aumentano, le pensioni perdono potere di acquisto, le bollette son più care e l’inflazione infiamma il carrello della spesa». Il governo offre, però indicatori economici stabili. «Cresce il debito pubblico e cresce la pressione fiscale. Quello che loro chiamano stabilità, è immobilismo».