Due tazzine per collegare due mondi

Un giornale come il nostro, che ha l’ambizione e lo scopo di diventare la voce di una comunità, può diventare anche - per un giorno - come la base dei caschi blu che aiutano i contendenti a parlarsi, e a fare la pace.
In fondo è più semplice di quanto non possa sembrare: nel tempo delle barriere, dei muri e degli steccati, a noi piacciono le porte, i valichi d’altura, i ponti, che uniscono le distanze, mettendo a norma e collegando ciò che altrimenti sarebbe diviso. Ieri, quasi per gioco, in questa redazione, nello spazio per noi magico della sala Zatterin (quella che porta il nome del nostro primo direttore) ci siamo ritrovati, per una volta, ad essere noi il ponte che collegava e univa due mondi che da mesi non si parlavano più. Da un lato, c’erano la città e le sue istituzioni primarie, il municipio e il sindaco. Dall’altra, c’era la donna che amministra il premio letterario più importante della città di Pescara. Teste lucide e dure, su entrambe le sponde. In mezzo ai contendenti e agli staff, come degli ammortizzatori o dei caschi blu c’eravamo noi: i redattori de Il Centro.
Il caffè consumato nella nostra redazione, dunque, nel tempo dei muri e degli steccati, è diventato un anello di congiunzione, un piccolo valico di alta quota. Un ponte con cui si poteva tenere insieme e collegare quello che altrimenti sarebbe stato destinato a restare inesorabilmente diviso. A quel punto, per una volta, dopo anni passati a inseguire le notizie, ci siamo ritrovati nostro malgrado ad esserlo noi stessi, una notizia: l’unica buona notizia possibile. Guardate dunque la festosa galleria fotografica che è diventato il corredo di queste pagine: troverete raffigurati i protagonisti di quel caffè.
Ci sono quattro persone, due politici e i due rappresentanti di istituzioni che non si parlavano più, costretti per una volta a dialogare e a parlarsi, in campo neutro. Ieri, le tazzine tintinnanti nella nostra redazione, quasi per scommessa, sono diventate la colonna sonora di uno dei riti più antichi e belli della nostra storia: la democrazia. Tenere insieme ciò che altrimenti resterebbe diverso e diviso, nel tempo dei muri e degli steccati, è il prodotto di questo magico rito di ascolto reciproco. Parlarsi e dialogare, è ciò che ha reso possibile “il patto della tazzina” nel nome di un interesse superiore e comune, quello della città. Perché tutti i convitati ieri, nella sala Zatterin, sapevano bene che i Premi Flaiano, nell’interesse comune, dovevano restare a Pescara.
E tutti sapevano, ugualmente, che questo premio doveva ricevere una dotazione economica degna e adeguata. Siamo rimasti stupiti, ieri, quando abbiamo visto che sul nostro sito la notizia di questo piccolo grande accordo, celebrato in campo neutro nella sala Zatterin, con il tintinnare magico della porcellana candida di due tazzine che si toccano, diventasse una delle più ricercate del giorno. Eravamo stupiti mentre scoprivamo in diretta che i lettori tracciati di questa notizia arrivavano da tutto il mondo. Qualcuno dice che con “la cultura non si mangia”, ma Il premio Flaiano, da mezzo secolo, è molto di più di una kermesse, il sigillo di una identità dell’Abruzzo all’estero: uno specchio, un luogo di incontro, il più importante dei ponti possibili tra le diverse anime di una regione, tra un uomo e una donna dai caratteri difficili, tra la politica e la cultura, e infine tra le sponde apparentemente note della sinistra e della destra.
Ecco perché un giornale come il nostro, che ha l’ambizione e lo scopo di diventare la voce di una comunità, può diventare anche - per un giorno - come la base dei caschi blu che aiutano i contendenti a parlarsi, e a fare la pace. Quelle tazzine e quel dialogo non snaturavano la nostra funzione, ma semmai coronavano il nostro progetto. Un’ultima osservazione: ieri, mentre questo dialogo difficile, ma avvincente andava in scena, io studiavo i volti e le parole dei due protagonisti, la direttrice del festival e il sindaco. Due caratteri opposti, per certi versi così complementari, da avere una naturale predisposizione al conflitto. Diceva con sublime auto ironia, il nostro presidente Sandro Pertini: “Tutti gli uomini di carattere hanno un cattivo carattere, e io, modestamente, ho carattere”. Definizione perfetta, anche ieri. Tuttavia, quando ad un tratto “Carla” e “Carlo”, nel pieno della discussione sono passati a punzecchiarsi amabilmente, dandosi del tu, ho capito come il ponte si era teso tra le due istituzioni. E che l’accordo con cui i Premi Flaiano resteranno dove sono nati, poteva essere celebrato.
Ecco perché l’esercizio della democrazia, il tintinnare delle tazzine e la chiusura del patto erano possibili: in nome di una ragione superiore i contendenti hanno seppellito le asce di guerra, e i due politici che propiziavano l’incontro - Lorenzo Sospiri e Luciano D’Alfonso - sono diventati i propiziatori indispensabili di questo accordo, gli uomini che fanno la sintesi. Nella cronaca minuziosa e attenta del nostro Pietro Lambertini troverete i termini di questo accordo, il racconto della ritrovata alchimia positiva. Ma in questo editoriale, invece, troverete una sintesi più ottimista di quello che questa giornata ci insegna: nel tempo dei muri e degli steccati, i ponti che uniscono le diversità apparentemente inconciliabili sono l’unica infrastruttura che può abbattere le barriere architettoniche apparentemente insuperabili. D’altra parte questa città nasce intorno alle due sponde di un fiume unite dalla cultura e dalla storia. D’altra parte, non è certo un caso che il simbolo architettonico più bello e importante di questa città sia un ponte. Nel tempo dei muri e degli steccati che dividono, il ponte che torna ad unire le due sponde di un premio, di una città, e di una regione é molto più di una bella notizia. Ecco perché ci fa piacere darla noi.