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Femminicidio, il vicino di casa ha cercato di salvarla

«Mamma, mamma, mi sta uccidendo»: queste le ultime parole strazianti urlate da Jennifer Sterlecchini, uccisa a coltellate dal compagno, Davide Troilo, di 32 anni, mentre la mamma di lei chiedeva disperatamente aiuto davanti alla porta di casa. L'intervento di Mirko Bellotti e la scoperta della tragedia. Il corpo della ragazza coperto da ecchimosi e ferite da lama

PESCARA. «Mamma, mamma, mi sta uccidendo». Sono le ultime parole strazianti urlate da Jennifer Sterlecchini, 26 anni, uccisa a coltellate dal compagno, Davide Troilo, di 32, mentre la mamma di lei, Fabiola Bacci, era a pochi metri di distanza. La donna non ha potuto fare nulla per salvarla dall’uomo che le ha portato via la figlia per sempre, dimostrando così tutti i limiti del suo amore malato. La madre l’aveva accompagnata a casa del fidanzato per aiutarla a riprendere le sue cose, perché Jennifer aveva deciso di lasciarlo e di interrompere la convivenza. Ha sentito distintamente le grida della figlia, ma è stata costretta a rimanere fuori: Troilo aveva chiuso la porta dell’appartamento proprio perché voleva restare solo con Jennifer.

Femminicidio a Pescara, il sopralluogo dei carabinieri
I carabinieri del nucleo investigativo, coordinati dal maggiore Massimiliano Di Pietro, eseguono il sopralluogo nell'abitazione all'angolo fra via Acquatorbida e via Vicenza in cui Davide Troilo, 32 anni, ha ucciso la compagna Jennifer Sterlecchini, 26 anni (video di Giampiero Lattanzio)

Si è consumato così, intorno a mezzogiorno, tra la mattanza di una giovane donna in preda al suo carnefice e la tragedia di una madre, l’ennesimo femminicidio in Italia. Solo pochi giorni fa, il 25 novembre, è stata celebrata la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Una miriade di iniziative per combattere un fenomeno senza più freni e che, solo quest’anno, fa registrare 116 casi in tutto il Paese. A questi, si aggiunge il nome di Jennifer. Tra tutti, l’omicidio di Sara, 22 anni, bruciata viva dal suo ex in una strada alla periferia di Roma, e di Elizabeth, 29, strangolata in casa a Seveso, vicino a Monza, dal suo convivente, davanti ai due figli. Il rapporto tra Jennifer e Davide andava avanti da tre anni, tra alti e bassi. Quattro giorni fa, la ragazza aveva deciso di chiudere un rapporto che giudicava ormai finito. Possessivo e opprimente, come lo definiscono anche gli altri conoscenti, Davide Troilo stava rendendo impossibile la vita alla ragazza che aveva deciso di andare via da quella casa che condividevano, in via Acquatorbida, al primo piano del civico 31.

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Ieri mattina, accompagnata dalla madre e da un’amica che aveva a disposizione un furgone, la giovane laureata in lingue, barista e commessa, raggiunge l’appartamento per recuperare ciò che ha lasciato lì, in modo da farla finita per sempre. Inizialmente sembra tutto sotto controllo, almeno stando a una prima ricostruzione dei carabinieri del Nucleo investigativo, coordinati dal maggiore Massimiliano Di Pietro, che si stanno occupando delle indagini. Poi, però, Troilo si chiude la porta alle spalle, per impedire a chiunque di entrare. Da quel momento in poi un’escalation di violenza, una discussione feroce tra ex amanti feriti. I due si prendono, si stringono in una rabbiosa colluttazione. Lui perde le staffe e agguanta un coltello, la ferisce al collo. Lei cade a terra, in un lago di sangue. Anche Davide resta ferito. Questo spiega perché, inizialmente, si è ipotizzato che lui abbia tentato di uccidersi dopo essersi reso conto che Jennifer era morta. Si accerterà più tardi che il giovane ha riportato lesioni lievi, guaribili in 15 giorni.

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È la madre di Jennifer a dare l’allarme, nel momento stesso in cui si accorge che non può varcare la porta di ingresso della casa e aiutare sua figlia. Sottrarla alla furia omicida. Un vicino di casa telefona alle forze dell’ordine e in via Acquatorbida arrivano i carabinieri e due ambulanze del 118, ma nessuno può più aiutare la giovane. Jennifer è morta. Davide, che giace al suo fianco, viene bloccato e accompagnato in ospedale. Nel primo pomeriggio viene ascoltato dal sostituto procuratore Silvia Santoro.  Appare scosso, piange, chiede informazioni su Jennifer, dice di volerle bene, vuole sapere delle sue condizioni di salute e con le mani ferite e sporche di sangue racconta la sua versione dei fatti, alla presenza dell’avvocato Davide Antonioli, che lo difende. Spiega che negli ultimi giorni, dopo la rottura, si sono sentiti solo attraverso dei messaggi, nessuna telefonata, e che ieri la discussione è nata per un computer e un tablet che avevano in comune e che avrebbero dovuto restituirsi a vicenda, ma la verità è che entrambi erano insoddisfatti delle rispettive vite, aggiunge il 32enne.

Troilo, di professione ascensorista, già sposato e separato, figlio di un carabiniere morto molti anni fa durante un intervento, dice di essere stato spinto da Jennifer e di essere scivolato a terra perché il pavimento era bagnato. Ed è stata la ragazza, dice sempre lui di fronte alla Santoro, a infliggersi una coltellata al collo, perché non ne poteva più della sua esistenza, dopodiché i due si sferrano dei colpi a vicenda, sempre in base alla sua ricostruzione. Il 32enne non nega i fendenti inflitti al collo della donna ma dice di averne ricevuti altri da lei, all’addome. Poi, però, i suoi ricordi si interrompono. Per chiarire come sono andate le cose saranno fondamentali gli esiti dei rilievi, affidati ai carabinieri e andati avanti tutto il giorno nell’appartamento di via Acquatorbida, sequestrato insieme ai vestiti e al telefonino di Troilo e al coltello, trovato tra le gambe di Jennifer. Ma già la prima ricognizione cadaverica effettuata dal dottor Ildo Polidoro mostra uno scenario molto differente: il corpo della ragazza è pieno di ecchimosi e segni di percosse, e i colpi inferti con il coltello sono almeno una decina. L’autopsia fissata per martedì prossimo chiarirà ancora meglio i dettagli sulla morte di una ragazza solare, dalla battuta sempre pronta e che ha sognato a lungo di trasferirsi in Spagna. L’uomo che diceva di amarla è accusato di omicidio volontario. Essendo ricoverato in ospedale con una prognosi di 15 giorni, è piantonato da un carabiniere.

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Jennifer aveva riflettuto sulla violenza di genere. Lo ha fatto il 25 novembre, quando ha scritto su Facebook che «la violenza contro le donne è il virus del non uomo» e se l’è presa con «questi» che usano le maniere forti e sono «incapaci di rapportarsi con una donna, di accettare la relazione e le problematiche della coppia. Sono ignoranti», scriveva ancora su Facebook, perché non hanno «parole» né «argomentazioni» e quando mancano questi elementi, l’uomo «è costretto all’azione, alla minaccia, allo schiaffo, alla violenza». La stessa che l’ha uccisa.

«È la mancanza di virilità che rende l’uomo un bambino disperato, impotente e violento», si legge ancora oggi sulla bacheca di Facebook della giovane, «ma è anche grazie all’aggressione e alla violenza che diventa momentaneamente grande e soddisfatto di se stesso, con il suo momento irriducibile di gloria». Sembra una profezia, quella di Jennifer. Sapeva, perché è già accaduto troppe volte, che «il prezzo è la distruzione della donna, quella donna che vive per lui, che lo ama, inerme ed esterrefatta soffre sotto i colpi dell’amato, tumefatta. L’uomo violento crede che le proprie sofferenze siano derivate dall’altro ed è per questo che l’altro deve essere punito. L’uomo dimentica di essere uomo e diventa animale». Per la vittima dell’ultimo femminicidio «la violenza è una malattia. E come tale va curata».

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