l'inchiesta

La linea di Campitelli: si fidava del ds e lui lo ha tradito

Il presidente crede di poter tirarsi fuori e salvare la B ma deve prima di tutto scaricare Marcello Di Giuseppe

TERAMO. Piegato, ma non ancora spezzato. Conscio che si è messa male, ma convinto di poterla raddrizzare in extremis. Dimagrito di tre chili e insonne, ma disposto a lottare su tutti i fronti, creandosi anche nemici che non ci sono (leggi: la stampa, che accusa di non difenderlo abbastanza). Luciano Campitelli non perde le sue caratteristiche di vitalità ed esuberanza nemmeno nel suo momento più nero. E non è un caso che quello che dice a chi lo incontra, e quello che scrive sui social o nei comunicati stampa, riesca ancora a convincere e trascinare una parte della piazza, che lo difende a spada tratta e di rimbalzo insulta i giornalisti “cattivi” – come se fossero i giornalisti ad aver messo nero su bianco quel po’ po’ di roba che tiene il Teramo appeso a un filo.

Mettendo insieme le confidenze che Campitelli ha fatto in questi giorni, e senza la pretesa di azzeccare completamente la loro interpretazione, si può affermare che il presidente si prepara alla partita più difficile e importante della sua vita (quella che giocherà molto presto nell’aula del tribunale della Figc) organizzando insieme all’avvocato Eduardo Chiacchio una strategia difensiva ben precisa: ribadire la propria estraneità alla combine, o tentata combine (per le norme sull’illecito sportivo fa lo stesso...), e far capire che è stato il diesse Marcello Di Giuseppe, per sciagura amico del “disgraziato” Ercole Di Nicola, a combinare tutto il pasticcio. Che in realtà – così ripete ossessivamente Campitelli – non è una combine consumata, perché a Savona è stata una partita vera: sono solo chiacchiere di gente che millanta di poter fare quello che non può fare, è solo un problema di scommesse e calcio malato. Com’è ovvio, non basterà esporre tale tesi. Il duo Di Giuseppe-Di Nicola dovrà confermarla in toto, il presidente dovrà essere molto bravo a negare la propria presenza (o a ridimensionare il proprio ruolo) in certi incontri e colloqui e, nello scaricare Di Giuseppe e nel ribadire che a Di Nicola non rispondeva mai al telefono, dovrà anche accettare di fare la figura del fesso. Ovvero del patron come minimo ingenuo e poco attento al quale il principale collaboratore la fa – e la fa grossa – sotto il naso. Perché è innegabile che nell’inchiesta dell’antimafia di Catanzaro la figura di Campitelli appaia sullo sfondo di continuo, pur essendoci la sua voce solo nella telefonata a fine partita (assolutamente non significativa). «Ma io per molte cose sono un ingenuo, io mi fido delle persone, se non ero così buono facevo molti più soldi. E in questa storia me l’hanno messa in quel posto», dice il presidente in questi giorni.

Ma allora perché Di Giuseppe è ancora il diesse del Teramo? Perché Campitelli non lo ha ancora buttato fuori, dando all’esterno il segnale di aver preso le distanze? A queste obiezioni il patron risponde che lo farà appena sarà certo che il diesse è colpevole, e che intanto Di Giuseppe non sta facendo nulla per il Teramo ed è lui in persona a portare avanti le trattative di mercato. A proposito: a chi frequenta Campitelli risulta che stia nero con gli “amici” del Pescara, che trattano Lapadula e si sono ripresi Donnarumma. Perché l’industriale di Canzano non pensa solo al processo sportivo, ma spera ancora di fare la B e di schierare i gemelli del gol. La bufera in corso lo ha strapazzato, non l’ha congelato. Campitelli è vivo, è sempre lui: un giocatore che vuole solo vincere. Basterà, stavolta?

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