CALCIO
Quando Pescara boccia e gli ex si rifanno altrove
La retrocessione del Delfino fa il paio con il riscatto di alcuni allenatori. Come Baroni che ha conquistato la serie A con il Benevento, Stroppa e Bucchi, “bruciati” dall’ambiente biancazzurro
PESCARA. Accade che di colpo possano crollare tutte le certezze. Quelle dei tifosi o degli opinionisti che parlano, discutono e argomentano di calcio. Nei bar o sotto l’ombrellone le etichette si sprecano. Accade a Pescara e in Abruzzo, così come in Italia e nel mondo. Però, a volte i risultati cancellano i luoghi comuni e rimettono tutto in discussione. È il bello del calcio. Nel pianeta biancazzurro improvvisamente si sono intrecciati la retrocessione traumatica dell’ultima stagione e gli exploit di diversi ex che sono passati per Pescara negli anni scorsi. Quello di Marco Baroni a Benevento è storico. E meritevole di applausi è anche la promozione di Giovanni Stroppa in serie B con il Foggia; e poi Cristian Bucchi che dopo un buon campionato a Perugia, in serie B, si andrà a sedere sulla panchina del Sassuolo, in A, lasciata libera dal pescarese Eusebio Di Francesco che farà la Champions League con la Roma nella prossima stagione. Tutti, o quasi, allenatori discussi nella loro esperienza in biancazzurro.
La rivincita di Baroni. Il tecnico toscano è stato esonerato alle soglie dei play off nel 2015. Una stagione travagliata, ricca di alti e bassi a Pescara. Era arrivato dopo aver sfiorato i play off a Lanciano e dopo aver portato la Virtus per diverse settimane al primo posto in serie B.
Divorzio traumatico a Lanciano, dal momento che la leggenda narra di una rinuncia economica del tecnico fiorentino pur di approdare a Pescara. Prese il posto di Cosmi, ma non ci fu mai feeling con la piazza. Gli veniva rimproverata la qualità del gioco, non aderente a quelle che sono le esigenze della piazza. “Il Pescara gioca male”, la sentenza dopo qualche mese. Poco importa il contorno, vale a dire gli infortuni o la difficoltà di amalgamare una squadra rivoluzionata. Men che meno la partenza a gennaio di Maniero. A seguito di una contestazione, fu fatta esplodere una bomba carta all’interno della villa del presidente Daniele Sebastiani pur di indurlo a cambiare allenatore. A Lanciano, in occasione del derby del 2015, memorabile lo striscione esposto dai tifosi del Pescara in cui, in dialetto, invitavano i colleghi rossoneri a riprendersi il tecnico etichettato in maniera non proprio elegante.
A maggio ecco Oddo al posto di Baroni dopo la sconfitta di Varese alla penultima giornata. Play off entusiasmanti con finale amaro a Bologna. Poi, il Pescara ha vinto i play off l’anno successivo, eliminando in semifinale proprio il Novara di Marco Baroni. Battute e sfottò sull’ex. Che, però, a dispetto dei giudizi sprezzanti i punti li ha sempre fatti: da Lanciano a Pescara. E poi a Novara. Fino al capolavoro di Benevento: una matricola guidata al quinto posto e poi al successo nei play off e alla conseguente prima promozione in serie A. Il tutto condito da un calcio tutt’altro che brutto. E così quello che “Baroni il catenacciaro” oggi è l’artefice di una delle favole più belle del calcio italiano.
Gli altri. Giovanni Stroppa, invece, è durato qualche mese a Pescara, nel 2012, dopo la promozione in serie A e l’addio di Zeman. Tredici giornate e a novembre, dopo la sconfitta di Siena, il divorzio. Anche in questo caso la scintilla tra lui e la piazza non è mai scoccata. Eppure la squadra non era allo sbando. Però, attorno a Stroppa si erano creati una tensione e un alone di pessimismo che l’hanno messo subito sulla graticola. Da Stroppa a Bergodi e poi, in pieno inverno, ecco Cristian Bucchi promosso dalla Primavera per gestire la retrocessione. Risultati disastrosi, ma il tecnico marchigiano non aveva colpe. Gli errori del mercato di gennaio furono talmente devastanti che rovinarono, sul campo e fuori, quanto di buono fatto in precedenza. Ora Stroppa è tornato in B con il Foggia e Bucchi farà la A a Sassuolo. Quelli che erano stati considerati non all’altezza di Pescara si fanno onore altrove. Oggi risalta ancora di più la constatazione, perché la concentrazione di exploit degli ex fa a cazzotti con il clima di delusione e pessimismo che si respira in città dopo la retrocessione dalla A con una sola vittoria sul campo in 38 partite. Che Pescara sia una piazza particolarmente esigente è fuor di dubbio, capace di bruciare fior di allenatori. Basti pensare a Mazzone costretto ad alzare bandiera bianca nel 1990, sacrificato sull’altare del post Galeone. Ma il calcio, si sa, come il tempo è galantuomo. E aiuta a cambiare certe etichette.
@roccocoletti1. ©RIPRODUZIONE RISERVATA