La superprovincia? Prima o poi ci si arriverà
Chiodi: ormai solo le aree vaste sono competitive, finiamola con il frazionamento
TERAMO. Un’unica provincia teramano-ascolana?
Non è uno scherzo, anzi vi dico che prima o poi ci si arriverà.
Il giorno dopo la proposta “estrema” lanciata durante il convegno sulla cooperazione Teramo-Ascoli all’università, e non raccolta dai presidenti delle due Province né dal primo cittadino ascolano, il sindaco di Teramo Gianni Chiodi insiste.
La sua tesi è che un’operazione del genere, sia pure a lungo termine, va nella direzione della modernità e della competitività. Peraltro, come leggete nell’altro pezzo, Confindustria (di entrambe le province) dice sì.
«La strada è lunga e difficile», ammette Chiodi, «ci sono resistenze da parte delle due Province, ma intanto la conclusione di questo percorso non riguarderà nessuno dei sindaci e dei presidenti ora in carica, e poi ritengo che prima o poi ci si arriverà, sarà necessario per stare al passo con i tempi.
Certo, bisogna recuperare il tempo perduto, e spero di poter cominciare io questo percorso. Se non si comincia, non ci si arriverà mai».
Ma da dove nasce la sua proposta, Chiodi? E dove vuole arrivare?
«Va nel senso della ristrutturazione dell’architettura istituzionale di cui parla il presidente Napolitano. Non hanno più senso province di 300mila abitanti, come quelle di Teramo e Ascoli, o regioni come il Molise. Ormai si può essere competitivi solo su area vasta».
In realtà, in Italia, si assiste a un proliferare di nuove province.
«Infatti la mia idea va in controtendenza con la frammentazione che dilaga, ma vi chiedo: questa frammentazione a che serve? Anzi: le Province, a che servono? Se si facesse un referendum per abolirle, vincerebbe alla grande. Qui bisogna razionalizzare, bisogna ridurre i costi della politica, ma non tanto e non solo nel senso degli sprechi, quanto del costo che comporta l’incapacità di decidere. Un esempio vissuto di persona: ho avviato un’interlocuzione tra enti per arrivare a un piano strategico della vallata del Tordino, ma i sindaci di Roseto e Bellante si mettono di traverso perché, per ragioni politiche, vorrebbero fosse la Provincia a guidare questo percorso. Questo è il costo della politica: non scegliere perché i centri decisionali sono troppo frammentati».
Ma la presenza ingombrante dei Comuni ci sarebbe anche con la nuova provincia Teramo-Ascoli.
«Infatti non si può andare avanti così. Apriamo anche questo dibattito. Il 75 per cento dei Comuni in Italia ha meno di 5mila abitanti, è un’eredità che ci arriva da fasi storiche superate. Ci si metta mano. I sistemi di “governance” moderni oggi comprendono territori di area vasta».
Altro problema, che potrebbe scatenare i campanili: dove la mettiamo la nuova provincia, nelle Marche o in Abruzzo?
«Compito della politica è spiegare e prospettare i vantaggi di certe scelte. Se poi i cittadini non vogliono, il politico non può farci nulla».
C’è già qualcuno che le viene dietro?
«Certo, soprattutto ad Ascoli. Lì questa cosa la sentono molto. In ogni caso, le ragioni per unire questi territori sono tante: ogni giorno c’è una mobilità di 10mila persone, nel turismo siamo le province più forti delle rispettive regioni, nell’industria si può fare un polo forte e attrattivo. E pensate a come potremmo razionalizzare la sanità».
Adesso cosa c’è da fare?
«Avviare un percorso politico. Che, peraltro, darebbe a noi e ad Ascoli maggior autorevolezza di fronte alle rispettive Regioni, rispetto alle quali oggi siamo entrambi considerati territori marginali».
Non è uno scherzo, anzi vi dico che prima o poi ci si arriverà.
Il giorno dopo la proposta “estrema” lanciata durante il convegno sulla cooperazione Teramo-Ascoli all’università, e non raccolta dai presidenti delle due Province né dal primo cittadino ascolano, il sindaco di Teramo Gianni Chiodi insiste.
La sua tesi è che un’operazione del genere, sia pure a lungo termine, va nella direzione della modernità e della competitività. Peraltro, come leggete nell’altro pezzo, Confindustria (di entrambe le province) dice sì.
«La strada è lunga e difficile», ammette Chiodi, «ci sono resistenze da parte delle due Province, ma intanto la conclusione di questo percorso non riguarderà nessuno dei sindaci e dei presidenti ora in carica, e poi ritengo che prima o poi ci si arriverà, sarà necessario per stare al passo con i tempi.
Certo, bisogna recuperare il tempo perduto, e spero di poter cominciare io questo percorso. Se non si comincia, non ci si arriverà mai».
Ma da dove nasce la sua proposta, Chiodi? E dove vuole arrivare?
«Va nel senso della ristrutturazione dell’architettura istituzionale di cui parla il presidente Napolitano. Non hanno più senso province di 300mila abitanti, come quelle di Teramo e Ascoli, o regioni come il Molise. Ormai si può essere competitivi solo su area vasta».
In realtà, in Italia, si assiste a un proliferare di nuove province.
«Infatti la mia idea va in controtendenza con la frammentazione che dilaga, ma vi chiedo: questa frammentazione a che serve? Anzi: le Province, a che servono? Se si facesse un referendum per abolirle, vincerebbe alla grande. Qui bisogna razionalizzare, bisogna ridurre i costi della politica, ma non tanto e non solo nel senso degli sprechi, quanto del costo che comporta l’incapacità di decidere. Un esempio vissuto di persona: ho avviato un’interlocuzione tra enti per arrivare a un piano strategico della vallata del Tordino, ma i sindaci di Roseto e Bellante si mettono di traverso perché, per ragioni politiche, vorrebbero fosse la Provincia a guidare questo percorso. Questo è il costo della politica: non scegliere perché i centri decisionali sono troppo frammentati».
Ma la presenza ingombrante dei Comuni ci sarebbe anche con la nuova provincia Teramo-Ascoli.
«Infatti non si può andare avanti così. Apriamo anche questo dibattito. Il 75 per cento dei Comuni in Italia ha meno di 5mila abitanti, è un’eredità che ci arriva da fasi storiche superate. Ci si metta mano. I sistemi di “governance” moderni oggi comprendono territori di area vasta».
Altro problema, che potrebbe scatenare i campanili: dove la mettiamo la nuova provincia, nelle Marche o in Abruzzo?
«Compito della politica è spiegare e prospettare i vantaggi di certe scelte. Se poi i cittadini non vogliono, il politico non può farci nulla».
C’è già qualcuno che le viene dietro?
«Certo, soprattutto ad Ascoli. Lì questa cosa la sentono molto. In ogni caso, le ragioni per unire questi territori sono tante: ogni giorno c’è una mobilità di 10mila persone, nel turismo siamo le province più forti delle rispettive regioni, nell’industria si può fare un polo forte e attrattivo. E pensate a come potremmo razionalizzare la sanità».
Adesso cosa c’è da fare?
«Avviare un percorso politico. Che, peraltro, darebbe a noi e ad Ascoli maggior autorevolezza di fronte alle rispettive Regioni, rispetto alle quali oggi siamo entrambi considerati territori marginali».