INCHIESTA SU RIGOPIANO
Telefonata sparita, la rabbia di D’Angelo
Parla il fratello del cameriere che chiese aiuto prima di morire: hanno nascosto troppo, ma non sarà un nuovo caso Cucchi
PESCARA. «La telefonata di mio fratello alla prefettura è durata 230 secondi, quasi quattro minuti. Come fanno i funzionari, che rappresentano lo Stato, a dire che la richiesta di aiuto di un cittadino non è attinente? Non è possibile, è una cosa da non credere. Questa per me è omissione di soccorso. E peggio ancora è scoprire che hanno nascosto tutto: una richiesta di aiuto di quasi quattro minuti. Ma come hanno fatto?».
Francesco D’Angelo, il fratello gemello di Gabriele, tra le 29 vittime dell’hotel Rigopiano è deluso ma soprattutto arrabbiato. Un grido di denuncia e ribellione, il suo, mentre chiede: «Perché questa telefonata esce soltanto adesso? Perché chi ha analizzato prima il telefonino di mio fratello non ha trovato niente? Perché», chiede ancora Francesco, «abbiamo dovuto aspettare ora per scoprire, grazie ai carabinieri forestali che sono andati a rivedere il cellulare di Gabriele, che mio fratello prima di morire ha chiamato la Prefettura; ha parlato di 45 persone prigioniere; ha chiesto che inviassero dei mezzi a liberare la strada, per poi sentirsi rispondere di no, che le direttive erano altre? Com’è stato possibile scoprirlo solo adesso? E com’è stato possibile che questa telefonata di quasi 4 minuti sia sparita dalle carte della Prefettura, dalle segnalazioni di quel 18 gennaio? È chiaro che non ci fidiamo, non ci fidiamo più. La paura della mia famiglia adesso è che si voglia fare com’è stato per il caso Cucchi. Nascondere, nascondere e solo nascondere. Ma noi faremo di tutto perché la voce di Gabriele continui a venir fuori. Vogliamo la verità. Per questo», anticipa il giovane di Penne, «chiederemo una nuova perizia sul suo telefonino. Vogliamo scoprire se ci sono altre telefonate, altre richieste di aiuto di Gabriele rimaste inascoltate».
Intanto, dalle testimonianze dei volontari Croce Rossa di Penne che hanno collaborato con gli investigatori, come sottolinea D’Angelo, per ricostruire le chiamate che Gabriele, volontario anche lui, gli fece quel giorno, e grazie alla testimonianza resa dalla fidanzata di Gabriele, Giuly Damiani, appare chiaro che la telefonata alla Prefettura non è stata l’unica richiesta di aiuto di Gabriele rimasta inascoltata. Prima, c’è la chiamata che poco prima delle 10 fa al Coc di Penne chiedendo l’evacuazione dell’hotel. I carabinieri forestali sono riusciti a risalire all’operatore che prese la chiamata, il cui nome non risultava dal brogliaccio come evidenziato in prima battuta dalla squadra Mobile. È un giovane della Croce Rossa, amico di Gabriele, che agli investigatori rivela: «La mattina del 18 gennaio, credo dopo una scossa di terremoto, Gabriele mi chiamò sul mio numero di cellulare o su quello della Croce rossa. Mi riferì che lui e gli altri ospiti dell’hotel Rigopiano erano spaventati e tutti volevano andare via. Mi chiese se si poteva inviare uno spazzaneve a liberare la strada per permettere a tutti di lasciare la struttura alberghiera. A quel punto come previsto mi recai dal supervisore del Coc di Penne, Antonio Baldacchini e gli riferii del contenuto della chiamata di Gabriele. Lui mi disse di annotare la richiesta di Gabriele sul brogliaccio delle chiamate ma che se ne sarebbe dovuto occupare il Coc di Farindola poiché non era di sua competenza».
Ma nessuno gira la segnalazione di Gabriele al Coc di Farindola. Ci va personalmente la fidanzata intorno alle 15, inviata proprio da Gabriele, ormai esasperato: «Nel corso della mattinata», racconta Giuly come già testimoniato agli inquirenti, «ci eravamo sentiti via whatsapp ma alle 15 Gabriele era teso, molto agitato, non era lui. Mi disse che la situazione era diventata ingestibile, di andare a chiedere aiuto al Coc di Farindola e andai». Quando arriva, il Comune (sede del Coc) è aperto ma deserto. Giuly incrocia il tecnico comunale Enrico Colangeli mentre entra con la moglie nel bar della piazza. «Gli spiegai la situazione e lui mi rispose che all’albergo dovevano stare tranquilli perché i mezzi non c’erano e non sarebbero partiti prima della mattina dopo».
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