L’arte perduta di scrivere senza retorica
Se n’è andato Vittorio Zucconi lasciandoci un’idea antica del mestiere che è stato il suo per tutta la vita, fino alla fine, sabato scorso, nella sua casa di Washington a 74 anni. Il mestiere di Zucconi era quello di scrivere sui giornali. Lo aveva imparato alla dura scuola della cronaca nera in un quotidiano, La Notte, rude ma efficace. L’attenzione per il dettaglio e per le vite degli altri investite dalla curiosità popolare se l’era portata appresso anche quando aveva abbandonato quell’impegnativa palestra per compiti di inviato e di corrispondente in giro per il mondo. L’ultima fermata era stata a Washington, dove è vissuto per una quarantina d’anni, scrivendo per Repubblica. Lo sguardo di Zucconi sul mondo era concreto. Non amava i grandi proclami che alla sua bonomia emiliana dovevano apparire come esercizi non richiesti di retorica. Non corrispondeva all’identikit abusato del cronista che domina oggi l’immaginario dei giovani che aspirano a fare questo mestiere: il giornalista dalla schiena dritta. C’era nel suo modo di raccontare la realtà sempre il senso del ridicolo ad agire da freno a ogni tentazione di enfasi. Fino alla fine obbedì a un comandamento in disuso del mestiere, non prendersi troppo sul serio, descrivendosi così su un suo profilo social: «Scrivo articoli per passare il tempo e per pagare le rate del mutuo».
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