Legnini: chi si candida non torni a fare il giudice
Il netto richiamo del vicepresidente Csm a Firenze: i magistrati esternino con imparzialità
FIRENZE. Chi si candida non torni a fare il giudice. O dentro, o fuori. O magistrati a tempo pieno, o magistrati, futuri ex, che decidono di immergersi nel mare della politica. «Se un giudice decide di candidarsi, se decide di accettare una carica pubblica, un incarico politico, un incarico di governo, è bene che non torni a fare il magistrato»: un richiamo netto e chiaro del vicepresidente del Csm, l'abruzzese Giovanni Legnini, alla festa del Foglio di Firenze. Un'indicazione forte. Una sveglia che riporta ai fondamentali della vita democratica, alla separazione dei poteri: chi fa il giudice, faccia questo, e non mescoli il suo ruolo con altri ambiti istituzionali. Il dato è sotto tiro al Csm, specie in vista delle prossime elezioni politiche attese per la primavera del 2018. Potrà succedere - è fisiologico - che qualche toga "scenda in campo". E allora Giovanni Legnini marca il suo pensiero, orientato a sensibilizzare i giudici affinché siano consapevoli dell'irreversibilità della scelta di entrare formalmente in politica. Il numero due a Palazzo dei Marescialli, senza entrare in dettagli, si dice comunque fiducioso sul tema: «Sono ottimista sul fatto che nella magistratura il rapporto dell'accesso a cariche pubbliche e elettive sia indirizzato verso una soluzione», chiosa. A Firenze Legnini ha dato anche altre indicazioni che vanno sempre nella stessa difesa della terzietà dei giudici, condizione che loro stessi, per primi, devono curare. Come sulla questione delle dichiarazioni rese dai magistrati ai mass media, tv comprese. «Penso - ha spiegato - che non possa essere messo in discussione il diritto, peraltro costituzionalmente garantito per tutti, dei giudici e dei pubblici ministeri, di esprimere le loro opinioni anche sui mezzi di informazione». Ma «ciò che occorre sottolineare è che i giudici e i pubblici ministeri, allorquando esternano, lo devono fare avendo sempre ben presente la necessità di essere e apparire terzi e imparziali e di essere percepiti come tali dai cittadini». Semmai Legnini, di fronte a eventuali violazioni, si rammarica perché, sottolinea, di fatto sul piano disciplinare il Csm ha le armi spuntate contro esternazioni pubbliche fuori luogo dei magistrati. Il vicepresidente del Csm sa comunque che la magistratura non è dentro una torre d'avorio, i confini con la politica sono valicabili in molte forme. È così quando, sollecitato sul correntismo giudiziario, non lo nega e spegne subito, con praticità consapevole, il senso di scandalo elevato dagli interlocutori che gli parlano di nomine del Csm «decise dalle correnti». «Le correnti hanno un peso? - ha replicato Legnini - Certo che hanno un peso, eccome. Le correnti nella magistratura esistono, ci sono sempre state, l'associazionismo nella magistratura è fenomeno antico, le correnti concorrono a eleggere due terzi del plenum del Csm, e gli eletti votano, incidono, è così». Ma «cosa c'è quindi che non va? Non va la degenerazione correntizia», si è domandato e risposto lui stesso. E sugli sconfinamenti nel terreno della politica individua un ruolo alle correnti, e dà l'idea di spalleggiarle pure. «Non ci trovo nulla di improprio se la magistratura associata sollecita il Parlamento a disciplinare materie che non hanno disciplina», ha detto Legnini. «È vero o no che i giudici sono sempre più chiamati a intervenire su diritti fondamentali che non trovano compimento nella legge? Perché il Parlamento non può o non vuole. Dunque se la magistratura associata dice che 'non ci potete accusare di supplenza e poi non fate le leggì secondo me non dice qualcosa di inappropriato».