Mazzinghi, il nostro toro scatenato

23 Agosto 2020

Certi nomi, certi volti rispuntano dal passato per ricordarci chi erano loro e chi eravamo noi. Il volto e il nome di Sandro Mazzinghi, il grande pugile morto ieri all’età di 81 anni, ci parlano anche di noi, delle nostre radici. Nei servizi dei telegiornali il suo volto in bianco e nero, la voce roca di chi sa, fin da piccolo, che niente gli sarà regalato dalla vita, sono tornati a ricordarci chi è stato questo toscano con le mani grandi come mattoni che, a colpi di pugni, dal 1963 al 1969, si era guadagnato i titoli di campione del mondo dei pesi medi, dando vita a incontri memorabili con Nino Benvenuti che, ieri, lo ha ricordato così: «Sul ring Sandro era un guerriero, ti metteva paura, lo guardavi negli occhi e capivi che per lui c'era solo il volerti sopraffare». Divisi da tifoserie simili a quelle che spaccarono a metà l’Italia fra Coppi e Bartali, Benvenuti e Mazzinghi furono i simboli di un Paese che delegava anche ai loro ganci e montanti il compito di rappresentare lo spettacolo della quotidiana lotta per la sopravvivenza. Il ring su cui Mazzinghi si muoveva era un teatro del mondo. Oggi, sulla soglia dell’addio, lo immaginiamo come il De Niro-LaMotta che, nell’ultima scena del film “Toro scatenato”, davanti allo specchio borbotta a se stesso parole che suonano come un incantesimo: «Fatti sotto, campione. Sono il più forte, il più forte, il più forte».
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