Una pazza crisi, al Senato il rosario ruba la scena

20 Agosto 2019

Il Pd espone cartelli, manifestazioni all'esterno di Palazzo Madama

ROMA. Dalla corona del rosario, baciata e sventolata in aula, ai cartelli, fino alle manifestazioni di piazza: ecco le fotografie più viste dell'approdo parlamentare della prima crisi di Ferragosto della storia repubblicana, in scena in un Senato dall'attività inversamente proporzionale al torpore estivo  che ancora per qualche giorno ammanterà Roma.

LA GUERRA DEI BANCHI. Che a Palazzo Madama l'aria fosse pesante si capisce da un quarto d'ora prima dell'intervento con cui il presidente del Consiglio Giuseppe Conte avrebbe annunciato le proprie dimissioni. Non appena vengono aperte le porte dell'aula tutti i ministri del M5s, Luigi Di Maio in testa, si precipitano dentro e occupano tutti i posti ai banchi del governo. L'intento è chiaro: non far sedere a quei banchi ministri e sottosegretari della Lega. Quando i leghisti arrivano in aula sono colti di sorpresa e si concentrano a confabulare al centro dell'Emiciclo per decidere cosa fare. Solo Lorenzo Fontana riesce ad arrivare in tempo per sedersi al banco del governo mentre per i «tecnici» Giuseppe Tria ed Enzo Moavero Milanesi arrivano due strapuntini. Risoluto il sottosegretario alla Presidenza Giancarlo Giorgetti, il solo leghista cui Giuseppe Conte riserva una calorosa stretta di mano: arriva, si fa largo e si siede dove gli tocca. Quando Matteo Salvini arriva, il ministro Alberto Bonisoli gli cede il posto. Ma il vicepremier resta in piedi. Alle sue spalle, in piedi tutti gli altri ministri della Lega. Tra Salvini e Di Maio, da allora e per tutta la seduta, neanche l'incrocio di uno sguardo.

IL ROSARIO. Non appena Giuseppe Conte, dopo aver salutato tutti i leghisti in piedi, inizia le sue comunicazioni, Matteo Salvini tira fuori dalla tasca il suo rosario di Medjugorie e lo bacia. Lo strumento che serve a recitare la preghiera a Maria - l'ostentata e ripetuta esibizione viene criticata da Conte - torna platealmente in scena durante l'intervento del leader della Lega. Lo sventola il senatore teocon della Lega Simone Pillon: al "Capitano" qualcuno dal Pd urla ironicamente «mostraci le stimmate». Del resto, nel governo Conte l'esibizione di oggetti sacri non è una novità: in tv a Bruno Vespa Conte mostrò l'Immagine di Padre Pio che porta sempre con sé.

FACCE E GESTI. Al banco del governo si assiste a una scena inedita: il premier muove contestazioni dirette al proprio vice; il quale non fa mancare a beneficio delle telecamere visibili facce di dissenso, disappunto, sconcerto. Matteo Salvini scuote la testa più volte, gesticola platealmente, appare molto perplesso mentre il presidente del Consiglio gli snocciola critiche all'atteggiamento assunto dalla Lega, che accusa di opportunismo politico. A un certo punto del discorso del premier, Salvini scuote visibilmente la testa. Lo sguardo dei due si incrocia, e Salvini gli dice: «non va, non va....». Intanto, Luigi Di Maio è immobile come una sfinge: tiene le mani giunte sul banco e scambia ogni tanto una parola con Danilo Toninelli che gli siede accanto. Gli scappa un solo sorriso amaro: quando l'ormai ex alleato si dice disposto a collaborare per fare le riforme.

I CARTELLI. Non sono vistosissimi, ma il Pd li espone. Si va da «Bravo Capitan Findus. Bacioni» a «E anche oggi Salvini si dimette domani», passando a delle allusioni al Papeete ed ai Mojito fino a un categorico «a casa» che spunta non appena Salvini finisce di parlare: non dal banco del governo, come si accingeva a fare, ma dal suo scranno da senatore, attorniato dai colleghi di partito.