Via libera allo sci in zona gialla, incognita sugli spostamenti
Il Comitato tecnico scientifico dà l'ok per il 15 febbraio, deciderà il nuovo governo. Comunque ci saranno le restrizioni: skipass contingentati, capienza di funivie e cabinovie ridotta al 50% per difetto
ROMA. Arriva il via libera alla riapertura degli impianti di sci dal 15 febbraio nelle zone gialle. Ma la possibilità che gli italiani possano tornare a sciare dipenderà da una delle prime scelte alle quali sarà chiamato il nuovo governo di Mario Draghi: revocare, o meno, il divieto di spostamento tra le Regioni. Decisione sulla quale peserà anche l'andamento della curva epidemiologica, con gli esperti che già parlano di «un'inversione di tendenza» e si dicono preoccupati dell'impatto delle varianti del virus, soprattutto in Abruzzo e Umbria. Il divieto scadrà tra una settimana.
L'indicazione data dai tecnici al governo Conte era quella di proseguire con la misura almeno fino al 5 marzo, quando scadranno gli altri provvedimenti contenuti nel Dpcm. Indicazione arrivata sulla base di un ragionamento: si stanno esaurendo gli effetti delle chiusure natalizie e solo nelle prossime settimane si potranno vedere quelli legati al passaggio di quasi tutta l'Italia in zona gialla. In presenza di un esecutivo dimissionario e con un nuovo premier incaricato, sottolineano fonti ministeriali, l'attuale governo si occuperà solo degli affari correnti e non deciderà nulla, tantomeno prenderà iniziative per quanto concerne decisioni che vanno ad incidere sulle libertà personali dei cittadini.
Il 15 febbraio sarà il nuovo governo a stabilire il percorso da seguire; in caso invece non dovesse essersi ancora insediato un esecutivo, il provvedimento decadrà. Il dato certo è che la situazione resta ancora precaria. Nelle prossime ore ci saranno la cabina di regia del ministero della Salute e poi le eventuali ordinanze del ministro Roberto Speranza, se qualche regione dovesse registrare un peggioramento della situazione.
Che secondo la Fondazione Gimbe già c'è: nell'ultima settimana è risalito l'incremento dei nuovi casi in 9 regioni e in 5 si registra un aumento dell'incidenza su 100mila abitanti. Una delle 9 è la Campania e la regione sta valutando un nuovo stop per le lezioni in presenza, che sono riprese solo il 1 febbraio. Rischia anche l'Umbria, che potrebbe diventare rossa: al di là dei numeri (Rt a 1,14, occupazione dei posti letto in terapia intensiva e in area medica sopra la soglia critica e un rischio complessivo alto per 3 o più settimane), a preoccupare sono i casi legati alla variante brasiliana. Ne sarebbero stati individuati già diverse decine, soprattutto nella provincia di Perugia dove c'è un'incidenza di 273,38 casi ogni 100mila abitanti. E preoccupa l'Abruzzo, dove si stima che il 40% dei casi emersi a Pescara negli ultimi giorni siano dovuti alla variante inglese.
Non dovrebbero invece cambiare colore la provincia di Bolzano e il Friuli Venezia Giulia, che nelle mappe dell'Unione europea sono classificate come zone ad alto rischio e posizionate in 'rosso scurò, quelle dove si registra un'incidenza superiore ai 500 casi ogni 100mila abitanti. Almeno sulla base dei primi dati, Bolzano rimarrà in arancione, anche se secondo il Gimbe ha un incremento del 10,1% dei casi, e il Friuli in gialla. In attesa delle decisioni di Draghi, dal Comitato tecnico scientifico è arrivato dunque il via libera alla riapertura degli impianti, anche se gli esperti hanno sottolineato che andrà tenuto conto dell'andamento epidemiologico e dell'impatto delle varianti del virus.
Se il divieto non verrà prorogato e se anche Bolzano tornerà in zona gialla, si potrà sciare in tutto l'arco alpino e sull'Appennino. Ma con una serie di restrizioni: vendita di skipass contingentati, capienza di funivie e cabinovie ridotta al 50% per difetto, seggiovie al 100% solo se non utilizzano le cupole paravento, sistemi per gestire le code agli impianti, regole rigide per l'accesso ai rifugi, mascherina obbligatoria.
Il Cts ha invece bocciato la proposta delle Regioni di riaprire anche in zona arancione con la capienza ridotta al 50% su tutti gli impianti e l'uso obbligatorio delle mascherine Ffp2. Per quanto riguarda i comprensori più grandi, quelli che si estendono oltre i confini provinciali e regionali, infine, gli esperti hanno ribadito che dovranno rimanere chiuse le aree che ricadono in zona arancione.
"Ora però va tolto il divieto di circolazione tra le Regioni, abbiamo bisogno di sapere che si possa venire in montagna - dice il presidente dell'Associazione nazionale impianti funiviari (Anef) Valeria Ghezzi interpretando il punto di vista di centinaia di imprenditori e lavoratori della montagna -. Non voglio pensare che le imprese interrompano la cassa integrazione per i dipendenti e poi venerdì prossimo ci dicano che non tolgono il divieto di spostamento. Abbiamo già subito tantissimi danni e decine di aziende sono in crisi di liquidità". (Ansa)