L'arte di apparire e il calcio degli interessi di parte

31 Marzo 2020

In questo periodo, che comincia ad essere piuttosto lungo, di quarantena ci sono alcuni aspetti che stanno risaltando nella drammaticità del momento. A colpire è il grado di compiacimento con il quale  sindaci e amministratori a vari livelli si concedano alle dirette Facebook. Un modo di comunicare diretto e improvviso mirato a veicolare un messaggio alla popolazione. Un modo di comunicare, per l’appunto. L’informazione è un’altra cosa. Perché un sindaco o un amministratore dice, ma, spesso inconsapevolmente, omette anche di dire. A questo provvede l’informazione, ora più che mai fondamentale pilastro della democrazia.

Ognuno racconta la propria verità, poi, però, c’è bisogno di chi fa informazione. Buona e completa informazione. A tal punto che vengono rivalutati i giornali dati per morti, ma che defunti non sono, perché giocano un ruolo importante nei momenti duri. E così l’emergenza coronavirus ci regala nuovi personaggi.

Ad esempio, l’assessore regionale della Lombardia Giulio Gallera (Forza Italia), l’uomo-immagine scelto in un momento drammatico della vita pubblica. Ha un bel eloquio e buca lo schermo. Risulta gradito alla gente, indipendentemente da quello che dice e dal fatto che andrebbe giudicato per il suo operato da amministratore pubblico e non per come comunica. La sensazione è che sarebbe incisivo anche se fosse chiamato a parlare di altro.

Poi, ovviamente, il "giocattolino" ha preso la mano a tutti. E a ogni livello si registra la diretta Facebook di questo o quel sindaco a ogni ora del giorno. Una tribuna dalla quale catturare l’attenzione del popolo. Non c’è pudore di sorta. C’è anche tanta voglia di apparire. Ma così va al tempo del coronavirus. Un tempo in cui ci si appella all’unità nazionale, ma appena capita l’occasione si torna a tifare per questa o per quella fazione politica.

I tuttologi di professione non si fermano. Anzi, ora sono legittimati dal fatto di essere costretti a stare a casa. Hanno tempo per dibattere, più che in passato. E i social amplificano tutto. Processano e assolvono all’insegna dei like. Ci sta tutto, non approfittare del dramma per fare propaganda. Questo no. E’ sciacallaggio, ovvero approfittare della difficoltà per continuare a proteggere i propri interessi alla faccia del bene comune.

Lo sport riflette lo stato sociale, è risaputo. In queste settimane, specialmente il calcio ha continuato a discutere di un qualcosa avulso dal contesto della vita di tutti i giorni. Giocare o non giocare, se e quando riprendere l’attività agonistica: un dibattito inutile, a volte inconsapevolmente fuori dalla realtà. Patetico. Anche in questo caso ogni tanto esce fuori qualcuno con qualche proposta che, guarda caso, fa il paio con i propri interessi di bottega, classifica alla mano. Tutti hanno la ricetta buona per ripartire che, guarda caso, si abbina al proprio tornaconto. C’è chi vuole giocare, perché intravede un obiettivo all’orizzonte e chi dice che non ha più senso in modo tale da annientare gli effetti di una stagione negativa. Praticamente, ognuno tira l’acqua al proprio mulino inconsapevole del fatto che tutti dovremo rinunciare a qualcosa dopo questa pandemia.

Il calcio come la politica. Anche in un momento eccezionale e particolarmente difficile. Che nei libri di storia meriterà un capitolo a parte. Così come quei personaggi che hanno bisogno di mostrarsi e distinguersi per inseguire il proprio ego a discapito della collettività. Anche questo è Italia. Per fortuna, però, c’è altro.