La gita di Luca

5 Luglio 2010

Un ragazzo Luca Ferella ha scritto questo ricordo del terremoto del sei aprile. Lui era in gita scolastica di terza media. Ci sono stati alcuni ragazzi che si sono salvati proprio perché erano in gita. Il racconto di Luca è anche la scoperta di come si diventa grandi all'improvviso. Ma è grazie a questi ragazzi che L'Aquila rinascerà.

 

IL MIO VIAGGIO PIU’ BELLO

Uno dei miei viaggi più belli é stata la gita di terza media in Francia.            

Partimmo alle quattro del 2 aprile 2009 dalla Fontana Luminosa in autobus. Era ancora notte fonda ed io ero emozionatissimo all’idea di lasciare per così tanto tempo l’ Abruzzo e l’ Italia. Dopo aver salutato affettuosamente i miei genitori, mi accinsi a salire sull’autobus. Poi partimmo, molti dei miei compagni di classe si riaddormentarono, ma io proprio non riuscii a prendere sonno per l’emozione. All’inizio, a causa del buio, non si riusciva a scorgere niente fuori dal finestrino; all’alba eravamo sulla costa adriatica e il sole fece capolino sull’orizzonte del mare. Poi si susseguirono montagne, pianure e colline. Arrivammo al confine tra l’Italia e la Francia: era un momento epocale. Sull’autobus c’era un gran trambusto, una cinquantina di voci si mescolavano dando origine a frasi sconnesse. Chissà perché la frontiera l’ho sempre immaginata come un grande muro sorvegliato da soldati armati notte e giorno, in realtà era come un semplice casello autostradale. Ci dovemmo fermare per presentare i documenti vari. Dopodiché ripartimmo e passammo il confine. Provavo una sensazione strana e indescrivibile; mi sentivo in un luogo estraneo e allo stesso tempo ero felice: un momento memorabile. Osservai con grande attenzione il primo paesaggio francese che mi si presentava davanti agli occhi: una serie di catene montuose grigie ai lati della strada, poi un fiume con una diga; poi ci imbattemmo nella campagna francese: sterminati spazi verdi e di tanto in tanto qualche paesino. A noi le case sembravano molto strane: avevano un’angolazione del tetto completamente diversa dalla nostra. Così ridendo e scherzando visitammo la regione “Champagne” famosa per i suoi vini  e per i suoi omonimi alcolici. La visita fu assai breve, ma molto interessante. Ripartimmo un’ora dopo, verso le dieci di sera arrivammo a Lione, dove avremmo passato la nostra prima notte in Francia; cenammo rapidamente in un piccolo ristorante e poi subito in albergo a dormire: dopo un’intera giornata di viaggio eravamo esausti. Mi sentivo felice e soddisfatto e mi addormentai subito dopo una bella doccia calda. La mattina dopo ripartimmo alle sette dopo un’abbondante colazione e finalmente arrivammo a Parigi! La prima cosa che ci saltò all’occhio fu la Tour Eiffel, che già fuori  si vedeva stagliata contro il cielo come una vecchia vedetta di guardia alla città. La prima sensazione che provai a Parigi fu di “piccolezza”: insomma trovarsi lì in mezzo a quella gigantesca metropoli con enormi grattacieli, imponenti monumenti, centinaia di migliaia di abitanti, ciclopici viali e strade mi facevano sentire a dir poco come una formica e provavo ammirazione per i costruttori di quell’enorme complesso urbano. Non aveva niente a che fare con la nostra amata L’ Aquila. Il primo luogo che visitammo fu la cattedrale di Notre Dame. Così passarono quattro giorni tra i più belli e indimenticabili della mia vita: visitando monumenti, facendo lunghissimi tragitti a piedi a passo di marcia, la sera eravamo troppo stanchi e felici per far baccano. Due dei momenti più intensi di queste quattro giornate furono il pomeriggio intero passato a visitare il Louvre e la sera sulla Tour Eiffel con la città illuminata che si estendeva a perdita d’ occhio intorno alla torre  come se fosse stata il centro di tutto il mondo. A proposito del Louvre rimasi molto colpito da tutti gli enormi dipinti tranne che dalla Monna Lisa di Leonardo Da Vinci: sinceramente con tutta la pubblicità e il film di Brown rimasi molto deluso. Poi la mattina del quinto giorno la catastrofe: alle sei e mezza io e i miei compagni di stanza fummo svegliati da un battere furioso e disperato contro la porta della nostra camera. Sollecitato dai miei coinquilini, andai ad aprire. Appena aperto mi trovai davanti il mio professore di Italiano in pigiama e con delle pantofole rosa, tutto scompigliato e paonazzo in viso che come un uragano piombò nella stanza e disse che a L’ Aquila era accaduto un disastro e che c’ erano molti morti . Lì per lì non realizzammo l’accaduto (essendoci appena svegliati) e neanche il tempo di chiedere spiegazioni, che il professore si era letteralmente dileguato per andate a dare la sventurata notizia nella altre stanze. Rimanemmo per quattro minuti buoni a fissarci tra noi nel silenzio più assoluto, a cercare di capire cosa diavolo fosse successo. Poi iniziammo a chiamare le nostre famiglie, ma le linee telefoniche erano intasate. Mi sentivo morire solo all’idea di aver perso le cose e le persone che più mi erano care al mondo e per le quali sarei disposto a tutto. I miei compagni di stanza erano riusciti a contattare le loro famiglie e mi informarono che c’ era stato un forte terremoto che aveva raso al suolo tutto. Il panico aumentò perché io non riuscivo a contattare i miei genitori. Iniziai a presupporre il peggio ed ero diventato bianco come un cencio. Ci ritrovammo in gruppetti nei corridoi per confortarci e scambiarci notizie. Dovevamo decidere se passare la mattinata al centro commerciale delle gallerie Lafayette oppure ripartire subito, optammo per la seconda opzione dato che ormai avevamo raccolto abbastanza souvenirs. Passai quelle che mi sembrarono le ore più lunghe della mia vita senza ricevere risposte dai miei genitori. Poi finalmente mi chiamarono: stavano tutti bene, per fortuna, e mi sentii enormemente sollevato. Qualche parente dei miei compagni di gita era morto e noi cercavamo di confortare il nostro sventurato amico. In quel momento feci delle riflessioni molto profonde sulla vita e sulla morte. Continuai a mantenere i contatti con la mia famiglia tramite S.M.S. Verso sera giungemmo a Lione, dove passammo la notte e la mattinata dopo ripartimmo e arrivammo in Abruzzo. Si era verificata un’altra forte scossa quindi i professori non se la sentivano di riportarci a L’ Aquila e passammo la notte a Pescara in un albergo. La mattina dopo ci avviammo verso la nostra città. Durante il tragitto vedevamo sopraggiungere le colonne mobili di soccorsi e aiuti, finalmente a mezzogiorno arrivammo alla stazione ferrovia di Paganica. Riabbracciai i miei parenti dopo sette lunghi giorni. Quello fu il momento più bello e intenso della mia vita: solo allora capii veramente quanto voglio bene alla mia famiglia. Ci scambiammo sorrisi e un tacito accordo che tutto sarebbe tornato come prima. Salutai i miei compagni di classe con la promessa di rincontrarci. Proprio qualche mese fa per un errore della S.I.M. del mio cellulare mi si ripresentarono i messaggi che inviai quel 6 Aprile. Solo a rileggerli mi si chiuse lo stomaco e sentii un vuoto al cuore. Tuttavia ho scelto questo viaggio come il mio più bello perché i sentimenti, le emozioni, i pensieri che scambiai in quei momenti con i miei compagni crearono un rapporto solidissimo che tuttora si mantiene. Una delle cose che più mi rimarrà impressa nella mente è stato il sorriso di mio padre quando l’ho rivisto: era un sorriso emblematico che voleva in parte rassicurare e calmare e in parte sdrammatizzare e dare un impulso per andare avanti.

Luca Ferella.