Ora serve un ottimo cuoco

13 Febbraio 2011

Questo articolo l'ho scritto a fine ottobre 2010 per una rivista aquilana che non è ancora uscita.

La prima questione da porre , a mio parere, per iniziare un ragionamento sul futuro dell'Aquila è il seguente: ricostruire o rifondare? L'impressione che ho dal bombardamento di notizie, dichiarazioni ma anche iniziative concrete (se pur caotiche) è che si stia andando nella direzione di una ricostruzione tal quale in cui ognuno guarda al suo orticello e non si preoccupa se in quello dell'altro le carote marciscono.

L'Aquila, alla mezzanotte del 5 aprile del 2009 era una città in affanno, potremo dire in decadenza. Le scelte strategiche dal punto di vista infrastrutturale degli ultimi 20 anni sono state: il megaparcheggio di Collemaggio che poi ha mostrato tutti i suoi limiti dal punto di vista del miglioramento dell'accesso al centro storico, l'allargamento del tratto stradale sulla piana di Navelli che ha accorciato di 5 minuti (al massimo) il tempo per arrivare a Pescara, la metropolitana di superficie abortita prima di partire. Per decenni pochi amministratori volenterosi hanno tentato di ridisegnare l'assetto urbanistico dell'Aquila ma si sono sempre scontrati con le lobby , i conservatorismi, il “tiriamo a campare” di una città sempre più chiusa dentro le sue mura storiche in cui in tanti hanno lucrato rendite di posizione senza costruire nulla di nuovo. Ne è venuto fuori un luogo indistinto, con quartieri dormitorio come Pettino in cui gli edifici sono sorti come funghi su una pericolosissima faglia (che tra l'altro non è quella che si è mossa il sei aprile del 2009 altrimenti avremmo assistito a un dramma ben peggiore). Le eccellenze della città non sono state mai prese in seria considerazione dai vari timonieri che si sono avvicendati alla guida degli enti locali. L'Università è cresciuta nell'indifferenza generale. Molti se ne sono accorti solo per i remunerativi contratti d'affitto agli studenti (altra posizione di rendita) o per il chiasso dei giovani nelle notti aquilane che in tanti oggi rimpiangono. Le sedi sono state sparse dappertutto: da Roio a Coppito fin dentro il centro storico creando problemi per trasporti, servizi bibliotecari, ma anche spazi ricreativi. L'ospedale che poteva diventare attrazione per pazienti da tutta Italia ha visto man mano fuggire le menti migliori e oggi, dopo il sisma, sento ancora parlare di personale da ridurre, costi da limare e quant'altro: come dire accontentiamoci di quel poco che abbiamo se no ce lo tolgono pure. Il laboratorio di fisica nucleare sotto il Gran Sasso pur con gli sforzi dei direttori degli anni più recenti non ha mai avuto un “colloquio” vero con la città ed è rimasto confinato sotto le migliaia di metri di roccia della montagna più alta dell'appennino. Per non parlare del turismo : un Comune circondato di fatto da tre parchi, Gran Sasso-Laga, d'Abruzzo Lazio e Molise, Velino Sirente, non è mai riuscito a dare priorità a infrastrutture e ricettività che fossero in grado di incanalare verso L'Aquila quel turismo di qualità in grado di alimentare in ogni periodo dell'anno una rete di piccole e medie aziende. Per non dire dei luoghi dello Spirito che potrebbero convogliare verso il capoluogo un “turismo religioso” di cui si è sempre tanto parlato ma per il quale poco o nulla si fa se si eccettua la Perdonanza Celestiniana confinata a un breve periodo di fine agosto e durante la quale le manifestazioni legate al richiamo di grandi uomini di fede (San Celestino V o San Bernardino da Siena) sono considerate secondarie se non da contorno ad aspetti canzonettari e a dubbie scenografie storiche rievocative. Non abbiamo citato finora il mondo del lavoro. L'Aquila non si è mai data una strutturazione industriale degna di questo nome ed è rimasta legata (parlo dei grandi numeri) a un assistenzialismo di Stato che ha dato i suoi frutti negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso ma che poi si è sciolto come neve al sole quando il gioco , nel settore dell'alta tecnologia e delle Telecominicazioni , si è fatto duro. Nel senso che sono arrivati sulla scena competitori che hanno sbaragliato aziende statali e parastatali incapaci per formazione mentale e prassi , di rinnovare e rinnovarsi. Il terremoto del sei aprile 2009 ha smantellato anche quell'economia della rendita fatta di seconde case affittate agli studenti e del lucro sul mattone.
Se questa è l'analisi, seppur sommaria e quindi incompleta , vanno individuate le strade della rinascita. Io non ho mai pensato, come spesso ho sentito dire, che il sisma per L'Aquila può rappresentare una opportunità. Il terremoto ha cancellato i sogni di molti (i miei compresi, ma non è questa la sede per parlare delle tante tragedie familiari e personali), ma allo stesso tempo è come se, nel linguaggio informatico, avesse “resettato” le nostre vite. A parte pochi, più fortunati di altri e che forse non si sono nemmeno accorti della scossa, l'alba del sei aprile ha messo tutti di fronte a una realtà inimmaginabile fino a poche ore prima. Quando la luce del giorno ha illuminato la tragedia ognuno si è chiesto: e adesso? La sfida che ci investe è proprio questa: vogliamo rifare quel capoluogo che aveva ancora tratti medioevali o tardo settecenteschi (e non solo nei palazzi) oppure vogliamo guardare a una città moderna, in cui spostarsi e trovare un parcheggio non è un problema, in cui i ragazzi possano studiare (dalla materna all'università) avendo a disposizione strumenti didattici e docenti migliori, in cui potersi curare in un ospedale che sia un centro di eccellenza, in cui il turismo non sia una parola ma diventi una vera risorsa. Presupposto di tutto questo è ricostruire una città sicura: L'Aquila sarà città di spessore europeo se chi ci abita o verrà ad abitarci saprà di essere in “una botte di ferro”. Ho l'impressione che questa “cultura” della sicurezza non sia stata ancora messa al primo posto nella iniziale, timida, fase della ricostruzione. Qui già si parla di prezzi a metro quadro da “scontare”: sono stati proprio quegli atteggiamenti di cui un po' tutti siamo responsabili (in primis la politica) che nella notte del sei aprile ha fatto sì che la città fosse totalmente impreparata alla catastrofe. Io naturalmente non ho ricette precostituite. So però che la nostra è una comunità che può offrire ottimi ingredienti. Il problema adesso è trovare un cuoco che li sappia cucinare. Se il piatto sarà buono ne godremo tutti. Altrimenti potremo anche rischiare di morire di fame.

Giustino Parisse Ottobre 2010