CHIETI / LA SENTENZA
Cocaina per la movida, undici condanne
Inflitti con il rito abbreviato 40 anni di carcere complessivi: nei guai anche il capo ultrà. Due assoluzioni, in nove a processo
CHIETI. Il maxi giro di cocaina nei locali della movida costa quasi 40 anni di carcere complessivi a 11 protagonisti dell’inchiesta di polizia e finanza. Cinque condanne, sei patteggiamenti, due assoluzioni e nove rinvii a giudizio: si è chiusa così l’udienza preliminare davanti al giudice Andrea Di Berardino.
La sentenza conferma la tesi della procura sull’esistenza di un gruppo che vendeva droga nei luoghi simbolo del divertimento con la protezione di “vedette” che segnalavano l’arrivo delle forze dell’ordine, come emerso dalle indagini coordinate dal pm Giancarlo Ciani. Il quartier generale era a Chieti Scalo, dentro il pub The wanted e il ristorante Bulldozer. La banda risultava composta principalmente da ultrà degli 89 Mai domi, la tifoseria organizzata del Chieti calcio: le dosi venivano vendute persino allo stadio, durante le partite della domenica. Ma l’operazione “Tallone d’Achille” ha permesso di sgominare anche altri due gruppi: uno capeggiato da albanesi, con base operativa in una tenuta agricola di Bucchianico, e l’altro di stanza a Pescara (ma la competenza è passata alla procura adriatica). Le condanne sono arrivate con il rito abbreviato, che ha consentito agli imputati di avere lo sconto di un terzo della pena.
I NOMI Il tribunale ha inflitto 4 anni e 8 mesi di reclusione (22.100 euro di multa) al capo ultrà Francesco Salvatore, 3 anni e 8 mesi (18mila euro) a Mauro Paludi, 4 anni e 4 mesi (20mila euro) a Leonardo Pizzi, 2 anni e 4 mesi (6mila euro) a Ismail Bofe e un anno (2mila euro) a Fatmir Asllani. Sono stati assolti, invece, Gaetano D’Ercole («perché il fatto non è previsto dalla legge come reato») e Aldi Metushi («perché il fatto non sussiste»), entrambi difesi dall’avvocato Marco Femminella. Hanno patteggiato Valter Baro (5 anni e 4 mesi di reclusione e 8mila euro di multa), Andrea Di Muzio (5 anni e 22mila euro), Michele Montuori (3 anni e 10 mesi e 15.600 euro), Salvatore Ruggieri (2 anni e 6 mesi e 5mila euro), Isuf Metushi (5 anni e 8 mesi e 36 mila euro) e Fabio Cavallucci (un anno e 2mila euro). Il giudice ha respinto la richiesta di patteggiamento di Simone Di Muzio: la sua posizione è stata stralciata. Nove imputati, invece, sono finiti sotto processo: è in programma il prossimo 22 febbraio la prima udienza nei confronti di Savino Carnicella, Anna Lisa De Chellis, Ersilio De Chellis, Fabrizio Gigante, Giovanni Gigante, Denalt Likmeta, Tommaso Mastropasqua, Eviol Metani ed Elmir Metushi.
LE INTERCETTAZIONI «Sei la ragazza del pusher, ci puoi fare un libro». Così il cameriere Montuori, ritenuto lo «spacciatore di punta» del gruppo scalino, si vanta con la fidanzata. È la sera del 6 aprile del 2018. Ma non immagina che una microspia è piazzata nella sua Ford Fiesta: la squadra mobile del vice questore aggiunto Miriam D’Anastasio e le fiamme gialle del colonnello Serafino Fiore stanno ascoltando tutto. Qualche giorno dopo, Montuori e la fidanzata sono sempre in macchina. Ed entrambi «concordano sul fatto che lo stupefacente che Michele sta spacciando al momento è troppo forte», raccontano le carte dell’inchiesta. «Sto lotto mi fa smascellare troppo», dice l’imputato, «cioè mi viene troppo da mordere il piercing... è strano è!». Poi, paragona quella cocaina a potenti droghe sintetiche: «Io questo prodotto non lo voglio più fa’, perché fino a quando non lo cambia io non me lo voglio fa’... sa di anfetamina».
LA MOVIDA Durante le indagini, non a caso, è stata sequestrata cocaina con un grado di purezza di oltre il 90%. Dalle intercettazioni, sostiene sempre l’accusa, emerge che Montuori «ha ricevuto l’incarico da Andrea Di Muzio di esercitare l’attività di spaccio di sostanze stupefacenti in particolare nei giorni di venerdì e sabato, che rappresentano quelli in cui la movida ha il suo massimo fervore e i giovani riempiono locali e piazze». Ma quanto guadagnava Montuori? «Per ogni giorno in cui spaccia», chiariscono gli investigatori, «riceve 50 euro, ma incrementa il suo guadagno con piccole somme che “arrotonda” dal prezzo delle singole dosi».
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