Il patriota che guidava sfollati e internati

Una croce nel bosco della Strazza fa scoprire la storia di Antonino D’Angelo: per 16 volte passò su un campo minato
GUARDIAGRELE. La vecchia croce nel bosco della Strazza, ha svolazzi e ricami montati sulle traversine in ferro battuto che le conferiscono le sembianze di un papavero, fiore povero ma completo e puro. Il simbolo della salvezza cristiana qui si stringe, in un orpello stilistico di fede e di valori, a quello che è l’emblema della libertà riconquistata dal giogo nazifascista e mille e mille volte consacrato nella morte sul campo di battaglia. È sotto una quercia che Antonino D’Angelo, primo di otto figli di Costantino e Maria di Crescenzo, il 23 maggio 1944 chiuse gli occhi per sempre. Aveva 34 anni. Dove c’è la croce, tra le fronde battute dal vento, morì dissanguato dopo una notte di atroci sofferenze per una mina antiuomo che gli spappolò una gamba, ma implorando l’amico al suo fianco, anche lui ferito malamente, di mettersi in salvo, di cercare di chiedere soccorsi e lasciarlo solo nel bosco. «Mi disse: “vieni che mi debbo tagliare il piede“», raccontò in una testimonianza Saturnino Di Prinzio, l’altro ferito di quella notte. «Nel sentire queste parole», proseguì Di Prinzio, «mi resi conto che la ferita che aveva era grave. Infatti per dieci centimetri sopra la sua caviglia la mina gli aveva asportato la carne e le ossa, erano rimasti due nervetti e un poco di pelle. Lo aiutai. Antonino prese il coltello che portava nella tasca dei pantaloni e si tagliò quei pochi resti».
Antonino D’Angelo, volontario dei Patrioti della Maiella, aveva una missione da portate a termine: portare gli ordini agli inglesi dietro le linee tedesche e ritornare portando le informazioni. Quella notte di maggio, il mese dei papaveri, cercò di attraversare il fronte, sotto Guardiagrele, per far mettere in salvo Di Prinzio. Il paese, dopo la liberazione di Ortona avvenuta il 28 dicembre 1943, era stato trasformato in un caposaldo tedesco con la cosiddetta “Linea d’inverno”. Quasi tutti i residenti furono costretti ad abbandonare le loro case. Molti cercarono di attraversare il fronte con l’aiuto di quei pochissimi che conoscevano i varchi giusti. E D’Angelo, il patriota, era uno di questi: in qualità di militante del XII plotone della Brigata Maiella, passava il fronte svariate volte per dare informazioni agli alleati e guidare gli sfollati. Nel dicembre del 43 il patriota D’Angelo fu sfollato anche lui insieme alla famiglia in località Caprafico. Agli inizi del 1944, dopo un primo tentativo a vuoto, riuscì a far passare il fronte anche alla madre, a una sorella e a un conoscente. Più tardi riuscirà a concludere la stessa impresa con il padre, facendolo ricongiungere ai suoi. Ad aprile il patriota ottenne un permesso per indossare scarpe alte militari inglesi “per uso personale: per nessun motivo questi stivali devono essere tolti”, scrisse su un foglietto il sergente Oscar G. Callas per conto del maggiore Robb. Per la sua ultima missione ebbe un permesso “per affari” emesso il 17 maggio che lo autorizzava a spostarsi da Casoli a Caprafico e viceversa e valido fino a tutto il 24 maggio. Una data beffarda: il giorno seguente quello della sua morte.
Sarebbe stato l’ultimo passaggio infatti si rivelò quello fatale. Il racconto di quella terribile, ultima notte del patriota D’Angelo, lo fece proprio Saturnino Di Prinzio, anche lui come D’Angelo classe 1910, in un atto notorio sottoscritto il 26 luglio 1980 e portato alla luce in questi giorni.
Andò così. Il 22 maggio, dopo essere fuggito da un reparto tedesco che lo avrebbe portato a scavare le trincee nella pineta di Pescara, Di Prinzio fu rintracciato vicino Fara Filiorum Petri dal patriota D’Angelo che tornava da una pericolosa missione oltre le linee nemiche nella zona di Serramonacesca. Era stata la famiglia di Di Prinzio, che risiedeva nelle immediate vicinanze del comando alleato inglese e partigiano, a chiedere a D’Angelo, con numerosi e disperati appelli, di rintracciare il familiare e riportarlo a casa, nonostante i pericoli dell’attraversamento delle linee tedesche nella zona di Guardiagrele. Avvicinandosi al fronte, D’Angelo fece cambiare a Di Prinzio le scarpe con un paio di chiochie, così da non produrre rumori. Dopo avere evitato due pattuglie tedesche a Rapino e una scarica di cannonate inglesi dirette alle postazioni tedesche di Guardiagrele, restava un solo ostacolo per raggiungere la salvezza: un campo minato che, per la configurazione del terreno, avrebbero dovuto attraversare per forza. Per missioni simili il patriota quel campo minato lo aveva oltrepassato ben 16 volte. D’Angelo spiegò a Di Prinzio di mettere i piedi dove li metteva lui o dove il grano fosse più alto. Ce l’avevano quasi fatta, quando, all’improvviso, lo scoppio di una mina li fece saltare entrambi in aria. Solo dopo alcuni minuti si accorsero di essere feriti gravemente alle gambe. Nonostante le atroci sofferenze, aspettarono in silenzio l’eventuale arrivo dei tedeschi poiché si trovavano vicinissimi alle loro postazioni. Dopo diversi minuti, D’Angelo incitò l’amico a ripartire ma si rese conto di avere un piede penzolante. Anche Di Prinzio era gravemente ferito a una gamba, tant’è che raggiunse D’Angelo strisciando sul terreno. Fu in quel momento che D’Angelo si tagliò il moncone penzolante di un piede. Per evitare l’emorragia, Di Prinzio gli legò la coscia con lo spago-laccio delle chiochie. Dopo quel gesto, il patriota invitò l’amico ferito a fuggire, prima che arrivassero i tedeschi, affinché informasse il comando partigiano e alleato di quanto era accaduto. Era il mattino dopo quando Di Prinzio, con forzi immani, strisciando e sfinito, riuscì a raggiungere la casa di un contadino a Caprafico e Piano La Roma per attivare i soccorsi per se e per il patriota. Erano trascorse almeno sei ore dall’esplosione letale. Di Prinzio fu trasportato al pronto soccorso di Casoli. Il patriota D’Angelo, invece, fu trovato morto: sotto la quercia c’era il suo cappello, il corpo cinque metri più giù. Lasciò la moglie, Concetta Ranieri, 39 anni, e due figlie: Maria, 7 anni, e Iolanda, 5, «affranti dal dolore e dalla miseria», concluse Di Prinzio nella sua testimonianza. Oggi quella vecchia croce nel bosco della Strazza rivive come quel papavero della battaglia: icone entrambe della semplicità e di chi ha dato la vita per redimere gli uomini.
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