Il professore rapinato in casa: «I banditi mi hanno devastato»

Parla Stoppa, docente della d’Annunzio: «C’erano i ladri nella villa, io e mio figlio abbiamo telefonato al 112 ma siamo entrati subito perché stavano portando via le nostre cose. Forse erano dell’Est Europa»
CHIETI. L’antifurto lo avvisa via telefono della presenza di ladri in casa, lui chiama i carabinieri ma non aspetta il loro arrivo. A quasi settant’anni compiuti, Francesco Stoppa, noto docente dell’università d’Annunzio, dimentica remore e paura e si lancia contro i rapinatori. «Non ho pensato alla paura», racconta, «ho pensato che mi stavano portando via le mie cose, come è successo in passato». Il professore tenta di sbarrare la strada ai due rapinatori, ne nasce anche una colluttazione. I due scappano con un magro bottino. I danni veri sono per l’abitazione, una dimora storica ai confini con Torrevecchia Teatina, tutelata a livello di beni architettonici, per cui anche risistemare una porta significa doverlo fare utilizzando materiali adatti e tutte le accortezze del caso.
Sia il professore che suo figlio Fiorenzo, che era con lui, se la sono cavata con ferite lievi. Vista la situazione, poteva andare molto peggio. Sono le 14,30 di venerdì santo, Stoppa – docente di petrologia e petografia alla d'Annunzio, direttore del Cata (Centro di antropologia territoriale degli Abruzzi per il Turismo della d’Annunzio), noto anche per la consulenza di parte civile in favore delle famiglie delle vittime di Rigopiano e animatore di numerose iniziative culturali – è andato eccezionalmente a pranzo fuori, quando scatta l’allarme sul telefonino.
«Ero andato a pranzo a Chieti Scalo con mio figlio Fiorenzo», racconta, «stavamo risalendo lungo la Colonnetta quando è arrivato l’allarme. Dalle immagini della telecamera interna abbiamo scoperto che c’erano delle persone in casa. Abbiamo avvertito subito le forze dell’ordine ma non abbiamo atteso. Sarei andato anche da solo, ma ero con mio figlio, per fortuna». E insomma, il professore si rende conto di aver fatto qualcosa di azzardato. Ma il furto subito a giugno scorso, quando ladri sono entrati a casa e hanno preso una collezione di gioielli borbonici, di grande valore per il professore, è rimasto indelebile nella memoria.
«Ho immaginato subito che i due sarebbero usciti dall'ingresso posteriore e quindi mi sono diretto là», ricostruisce il professore, «ho incrociato subito il primo rapinatore che stava uscendo da una finestra che avevano rotto. Era sul ballatoio: come mi ha visto si è precipitato giù e io l’ho affrontato alla fine delle scale. Lui ha tentato di fermarmi spruzzandomi dello spray al peperoncino, ma non mi ha colpito. E lì abbiamo avuto una colluttazione. Nel frattempo c’era mio figlio che ha visto il complice che con una mazza scendeva le scale per picchiarmi. Mio figlio gli si è buttato addosso per fermarlo, quasi un placcaggio». Volano pugni, gomitate e spintoni ma i due riescono a fuggire lungo la vallata incolta dietro la casa del professore.
«Io mi sono fatto male a una gamba, forse un muscolo strappato», riferisce il docente, «mio figlio è invece andato al pronto soccorso, riportando fortunatamente solo escoriazioni e ferite superficiali. La casa è stata messa a soqquadro. Finestre sfondate, mobili gettati a terra e rotti. Più che le cose rubate, che questa volta sono state poche, il danno grande è quello che riguarda la casa. Hanno lasciato una devastazione. Io stesso mi sento devastato». I due rapinatori sono entrati con cappelli calati sul volto e sciarpe per mascherare i connotati. Secondo il professore avevano sui quarant’anni ma, «a giudicare dai salti fatti nella fuga, erano straordinariamente atletici. Uno ha chiamato l'altro con un nome italiano, ma l’accento mi è parso dell’Est Europa».
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