Lanciano, i testimoni: «Don Andrè decideva delle nostre vite»

18 Novembre 2016

Ex parroco a processo. C’è chi conferma violenze e minacce e chi lo difende: dava regole come un buon padre di famiglia

LANCIANO. Uno lo descrive come un padre di famiglia, l’altro come un manipolatore delle vite altrui. Sono le testimonianze di M.D.N., 23 anni, e G.G., 25, entrambi di Lanciano, rese in aula nel processo contro don Andrè Luiz Facchini, ex parroco di Sant’Agostino, ora in Brasile, accusato per violenza privata aggravata, lesioni personali, violazione di domicilio, ingiurie, minacce e molestie telefoniche. Per l’accusa avrebbe «fatto credere ai giovani della Legio Sacrorum Cordium, associazione da lui fondata, di avere un filo diretto con la Madonna e gli angeli custodi che tramite lui inviavano disposizioni su come gestire la loro vita», facendo subire ai ragazzi penitenze di tipo corporale quando questi “violavano” le regole che lui imponeva.

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«Erano regole di vita come quelle che poteva impartire un buon padre di famiglia», sostiene M.D.N., che è entrato nella Legio a soli 10 anni assieme ai genitori e ne è uscito nel 2012 quando il prete è tornato in Brasile, «erano raccomandazioni paterne. Io ricordo positivamente gli anni nella Legio, anche se negli ultimi ho avvertito che qualcosa di strano stava accadendo». Anche le penitenze, che secondo l’accusa e altri testimoni finora ascoltati consistevano nello strisciare in ginocchio sul pavimento della chiesa, leccarlo facendo il segno della croce, inginocchiarsi con le nocche delle mani rivolte sul pavimento, per M.D.N. erano normali atti, volontari. «Ero scettico solo quando diceva di parlare direttamente con Dio», dice al giudice il ragazzo, «non abboccavo facilmente rispetto ad altri più ingenui». Il 23enne giustifica anche le frustate date dal parroco ad alcuni ragazzi sulla schiena nuda coi grani del rosario nel 2009 durante un ritiro a Vigolo, in provincia di Bergamo. «Ho ricevuto tre frustate ma in un clima di assoluta libertà e serenità», racconta M.D.N., «è una tipica penitenza della tradizione cattolica». Di tutt’altro avviso G.G., entrato nel 2007 nella Legio e uscito nel 2011 dopo aver litigato con don Andrè. «Ho ricevuto tre frustate sul torso nudo», racconta, «secondo lui era un atto di penitenza gradito alla Madonna e necessario per salvare un’anima defunta. Il dolore lo ricordo ancora. Era un manipolatore, condizionava le vite, secondo lui non dovevo neanche andare all’università». Poi parla delle regole da seguire, come rincasare prima delle 3, ora del demonio, non usare il cellulare, seguire la messa, reprimere le pulsioni sessuali se non sposati, non frequentare amici al di fuori della Legio: «“No alle amicizie del mondo” diceva don Andrè», ricorda G.G. che parla di rimproveri pubblici da parte del prete se non ubbidivi. «Mi sentivo umiliato», racconta il ragazzo, «mi ha vietato di usare motorino e cellulare, dovevo chiedere il permesso a lui per fare le cose. Poi sono entrato in conflitto con lui: ogni cosa che facevo era sbagliata e sono andato via. Sono stato male, ero seguito da uno psichiatra». La prossima udienza è aggiornata al 9 marzo.

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