Addio a Quincy Jones l’uomo venuto dal jazz che inventò Jacko

5 Novembre 2024

Produttore dal carisma formidabile creò We Are The World Da Miles Davis a Sinatra tutti volevano il suo tocco magico

Se nella musica si dovesse scegliere definitivamente chi merita di essere ricordato con l’acronimo Goat, il più grande di tutti i tempi, non c’è dubbio che il titolo vada assegnato a Quincy Jones, che se n’è andato domenica notte a 91 anni a Los Angeles, dopo una vita intensissima e meravigliosa. Il jazz e la musica nera vivono di titoli, ci sono Re, Regine, Duchi, Conti, First Ladies, Professori ma “Q” è stato il più grande, l’unico capace di attraversare la musica tenendo insieme passato, presente e futuro in un’aura di inscalfibile infallibilità. Voleva fare il trombettista Quincy Jones quando mosse i primi passi nella musica e da Chicago si trasferì a Seattle dove incontrò un coetaneo, un pianista cieco che imitava Nat King Cole destinato a diventare The Genius: era Ray Charles che sarebbe rimasto per la vita uno dei suoi migliori amici. Paradossalmente il primo ingaggio importante gli fece capire che il suo futuro non sarebbe stato quello del trombettista: nell’orchestra di Lionel Hampton vicino a lui c’era Art Farmer e con il suo fiuto si rese conto che non sarebbe mai stato all’altezza. Il suo talento formidabile era nello scrivere partiture e arrangiamenti: se ne accorsero i grandi dopo un disco che è una perla dei jazzofili più raffinati, quello di Hellen Merril con Clifford Brown: vennero così gli ingaggi con Count Basie, Sarah Vaughan, Dinah Washington, Dizzy Gillespie. Ma la differenza la fa la decisione di andare a Parigi a studiare composizione con Nadine Boulanger che tra i suoi allievi aveva avuto Leonard Bernstein, Aaron Copland e Astor Piazzolla. Quando torna in America la strada è pronta per il mito di Q: lavora con tutti i grandi, scrive gli arrangiamenti dei dischi memorabili di Frank Sinatra e Count Basie (stupendo il suo ricordo di Sinatra che guardando la sua partitura gli disse: «troppe note»), a Miles Davis, da Barbra Streisand a Tony Bennet tutti chiedono il suo magic touch. Lavora per il cinema e per le serie tv, cogliendo sempre lo spirito del tempo, muovendosi con disinvoltura tra Blaxploitation e cinema d’autore come Il colore viola di Spielberg. Nel pop ha lavorato tanto ma è chiaro che, costretti a riassumere una carriera incredibilmente ricca, nella sua discografia spicca la magica trilogia di Michael Jackson: Off The Wall, Thriller, Bad: vuol dire 200 milioni di copie in tre dischi, i tre capitoli fondamentali di un mito del pop: quando il sodalizio con Quincy è terminato, è iniziata la discesa agli inferi di Jacko. «Nella black music ci sono dei giganti come Marvin Gaye o Al Green ma Michael is magic» diceva. Quando il Bad World Tour passò per l’Italia nel 1989 a parlare con i media erano lui e il manager di allora Frank Di Leo: durante un’intervista, Jones fermò il colloquio e mi chiese: «Puoi farmi un favore? Alzati e vai verso l’ascensore». Naturalmente mi alzai e andai verso l’ascensore. Con stupore mi resi conto che Quincy Jones mi camminava acquattato dietro per nascondersi da qualcuno. Mi disse dopo che non voleva farsi vedere da Tony Renis, che lo braccava da giorni in albergo: i due avevano collaborato negli anni ’60. Solo lui, come racconta il meraviglioso documentario “La notte che ha cambiato il pop”, poteva organizzare un progetto come We Are The World, solo lui aveva il carisma per tenere in ordine il caos e lo scontro di ego che regnava quella notte e trasformarlo in una canzone leggendaria. Con l’album Back On The Block, nel 1989, dove suona un cast formato da Miles Davis, Ella Fitzgerald, Sarah Vaughan e i rapper della prima ondata ha dimostrato il legame tra il jazz, la musica black e il rap. È Quincy Jones che ha riportato in studio Frank Sinatra con L.A. Is My Lady e addirittura Miles Davis a suonare sul palco i leggendari arrangiamenti dei dischi con Gil Evans in quel concerto a Montreux che è stato il passo d’addio di Miles alla musica. Era sopravvissuto a un aneurisma cerebrale e a un ictus che viene praticamente raccontato in diretta nel documentario sulla sua vita: il suo amico Herbie Hancock, il suo pianista preferito, lo rimproverava per il suo stile di vita poco adatto a un novantenne. Conosceva tutti, era corteggiatissimo dalle donne come dai Presidenti degli Stati Uniti, ha riassunto in una vita la grandezza e la magia della musica. Nemmeno la morte riuscirà a cancellare la leggenda di Q.