Capossela: vengo in Abruzzo a cercare orsi e dialetti, vi amo
Il cantautore fa tappa a Pescara con il suo tour “Con i tasti che ci abbiamo”
PESCARA. Canzoni urgenti con cui girare i teatri della Penisola in risposta al controverso momento storico che stiamo vivendo. Un tour con cui Vinicio Capossela fa conoscere da vicino il suo album, vincitore della prestigiosa Targa Tenco 2023. “Tredici canzoni urgenti”, appunto, è il titolo del suo ultimo lavoro per Warner Music Italy. Tredici nuovi brani scritti fra febbraio e giugno del 2022 e registrati nei mesi seguenti.
Un disco musicalmente polimorfo e collettivo, che contiene molti strumenti, musicisti e ospiti e che alterna diverse forme musicali, dalla folìa cinquecentesca al reggae & dub anni ‘90. Ballate, waltz, jive e un cha cha cha costituiscono l’universo musicale di canzoni che provano a dare voce a un campionario di problematiche che abbiamo quotidianamente davanti ai nostri occhi ma che – schiacciati dall’incessante berciare della società dello spettacolo (che è sempre più la società dell’algoritmo) – non riusciamo più a vedere, a sentire, a capire. Tutto questo, oltre alle ballate di sempre, Capossela porterà anche a Pescara, nella tappa di sabato 4 novembre al Teatro Massimo, per un’iniziativa organizzata da Best Eventi. Il tour si intitola Con i tasti che ci abbiamo - come la canzone che chiude il nuovo album. «I tasti del pianoforte», spiega il musicista 57enne di origine irpina, «smontati sembrano spazzolini da denti per elefanti, o metri di legno da muratore. Privati del loro compito, e del complesso dello strumento per il quale sono costruiti, diventano lunghe dita inarticolate, smaltate in punta, a volte di bianco a volte di nero. Schegge di qualcosa che si è rotto, di un mondo fatto a pezzi come da un congegno che ti è esploso tra le mani. Con i tasti che ci abbiamo, ci siamo fatti infilzare senza che nessuna beatitudine ne sia venuta. Ma sono venute tredici canzoni, fastidiose e urgenti». Tra queste, La cattiva educazione, cantata insieme a Margherita Vicario, una traccia in cui Capossela affronta la violenza di genere.
Capossela, perché tutta questa urgenza?
Quando si cerca di acquisire consapevolezza delle cose tristi, dolorose, queste poi vanno in qualche modo anche denunciate, innanzitutto dalla propria coscienza. E non è soltanto per il gusto di demolire. Ma è anche, soprattutto, per indicare dove sta l’errore, per cercare di migliorare, di andare avanti. Spesso i problemi non vengono affatto affrontati.
Si è trovato a parlare di guerra.
La prima vittima di ogni guerra è l’innocenza. Perché quando è in atto un conflitto immediatamente scompaiono tutte le ragioni.
Nello spettacolo appaiono simboli, come il divano e la luna, qual è il significato?
Su questo divano siamo un po’ tutti seduti, rappresenta un totem della nostra condizione. Da lì ci rialziamo e affrontiamo una lunga carrellata di canzoni che ci mettono in contatto anche con quello che abbiamo dentro. Perché spesso il nemico lo si pensa sempre fuori, ignorando però che le cose sbagliate, le conseguenze della nostra cattiva educazione, sono dentro di noi. La grande luna ricorda un po’ quella che si era immaginato Ariosto in quella straordinaria metafora per cui il senno è andato lì a rifugiarsi. Ma sulla luna ci sono andate anche tutte le cose per cui gli uomini perdono il senno sulla terra: le vanità, il potere, la seduzione. Ecco, abbiamo tutti una bella luna gonfiabile che alla fine facciamo scoppiare per tornare sulla terra, dove si sa che non è rimasto altro che la follia.
Per lei un ritorno in Abruzzo.
Ho tante cose che mi legano all’Abruzzo, sono moltissimi i motivi di affetto: dalle gite con Sandro Veronesi negli anni Novanta sulle tracce di John Fante fino ai giri nel parco cercare di vedere gli orsi. E poi un’esibizione in particolare pochi mesi dopo il terremoto dell’Aquila (al Campo Volo di Fossa ndc). Questa regione è un grande patrimonio, è uno di quei luoghi dove la natura si impone sull’uomo. Personalmente, adoro il dialetto locale, è una parlata che mi conquista sempre. Si dice gli Abruzzi perché in realtà sono tanti, c’è tanta diversità tra le varie zone di questa regione. Ci sono posti che sembrano davvero fuori dalla contemporaneità, come Campo Imperatore o Santo Stefano di Sessanio. Ho sempre avuto modo di praticare l’Italia delle aree interne e anche linguisticamente si sente un legame molto forte tra Molise, Abruzzo, Irpinia, Sannio, Pollino. È come se la transumanza avesse portato con sé tutto un lessico e un carattere con cui sento molta familiarità.
Un disco musicalmente polimorfo e collettivo, che contiene molti strumenti, musicisti e ospiti e che alterna diverse forme musicali, dalla folìa cinquecentesca al reggae & dub anni ‘90. Ballate, waltz, jive e un cha cha cha costituiscono l’universo musicale di canzoni che provano a dare voce a un campionario di problematiche che abbiamo quotidianamente davanti ai nostri occhi ma che – schiacciati dall’incessante berciare della società dello spettacolo (che è sempre più la società dell’algoritmo) – non riusciamo più a vedere, a sentire, a capire. Tutto questo, oltre alle ballate di sempre, Capossela porterà anche a Pescara, nella tappa di sabato 4 novembre al Teatro Massimo, per un’iniziativa organizzata da Best Eventi. Il tour si intitola Con i tasti che ci abbiamo - come la canzone che chiude il nuovo album. «I tasti del pianoforte», spiega il musicista 57enne di origine irpina, «smontati sembrano spazzolini da denti per elefanti, o metri di legno da muratore. Privati del loro compito, e del complesso dello strumento per il quale sono costruiti, diventano lunghe dita inarticolate, smaltate in punta, a volte di bianco a volte di nero. Schegge di qualcosa che si è rotto, di un mondo fatto a pezzi come da un congegno che ti è esploso tra le mani. Con i tasti che ci abbiamo, ci siamo fatti infilzare senza che nessuna beatitudine ne sia venuta. Ma sono venute tredici canzoni, fastidiose e urgenti». Tra queste, La cattiva educazione, cantata insieme a Margherita Vicario, una traccia in cui Capossela affronta la violenza di genere.
Capossela, perché tutta questa urgenza?
Quando si cerca di acquisire consapevolezza delle cose tristi, dolorose, queste poi vanno in qualche modo anche denunciate, innanzitutto dalla propria coscienza. E non è soltanto per il gusto di demolire. Ma è anche, soprattutto, per indicare dove sta l’errore, per cercare di migliorare, di andare avanti. Spesso i problemi non vengono affatto affrontati.
Si è trovato a parlare di guerra.
La prima vittima di ogni guerra è l’innocenza. Perché quando è in atto un conflitto immediatamente scompaiono tutte le ragioni.
Nello spettacolo appaiono simboli, come il divano e la luna, qual è il significato?
Su questo divano siamo un po’ tutti seduti, rappresenta un totem della nostra condizione. Da lì ci rialziamo e affrontiamo una lunga carrellata di canzoni che ci mettono in contatto anche con quello che abbiamo dentro. Perché spesso il nemico lo si pensa sempre fuori, ignorando però che le cose sbagliate, le conseguenze della nostra cattiva educazione, sono dentro di noi. La grande luna ricorda un po’ quella che si era immaginato Ariosto in quella straordinaria metafora per cui il senno è andato lì a rifugiarsi. Ma sulla luna ci sono andate anche tutte le cose per cui gli uomini perdono il senno sulla terra: le vanità, il potere, la seduzione. Ecco, abbiamo tutti una bella luna gonfiabile che alla fine facciamo scoppiare per tornare sulla terra, dove si sa che non è rimasto altro che la follia.
Per lei un ritorno in Abruzzo.
Ho tante cose che mi legano all’Abruzzo, sono moltissimi i motivi di affetto: dalle gite con Sandro Veronesi negli anni Novanta sulle tracce di John Fante fino ai giri nel parco cercare di vedere gli orsi. E poi un’esibizione in particolare pochi mesi dopo il terremoto dell’Aquila (al Campo Volo di Fossa ndc). Questa regione è un grande patrimonio, è uno di quei luoghi dove la natura si impone sull’uomo. Personalmente, adoro il dialetto locale, è una parlata che mi conquista sempre. Si dice gli Abruzzi perché in realtà sono tanti, c’è tanta diversità tra le varie zone di questa regione. Ci sono posti che sembrano davvero fuori dalla contemporaneità, come Campo Imperatore o Santo Stefano di Sessanio. Ho sempre avuto modo di praticare l’Italia delle aree interne e anche linguisticamente si sente un legame molto forte tra Molise, Abruzzo, Irpinia, Sannio, Pollino. È come se la transumanza avesse portato con sé tutto un lessico e un carattere con cui sento molta familiarità.