Guido Cristini, il fascista spietato venuto dall'Abruzzo

Nel libro di Pablo Dell’Osa che verrà presentato venerdì alla Feltrinelli la vita controversa del presidente del Tribunale speciale originario di Guardiagrele

“Il tribunale speciale e la presidenza di Guido Cristini 1928-1932” è il titolo del libro del giornalista e scrittore abruzzese, Pablo Dell’Osa, che sarà presentato venerdì prossimo alle 18 alla Feltrinelli di Pescara. Il libro racconta la storia di un abruzzese, Guido Cristini, nato a Guardiagrele e morto a Chieti nel 1979 all’età di 84 anni. Cristini fu presidente del Tribunale speciale dal 1928 al 1932, è stato uno dei nomi più temuti dagli oppositori del fascismo: sotto la sua presidenza le condanne sono state 1725, gli anni di prigione comminati 8806, le condanne a morte 9. Tutte eseguite. Abruzzese, combattente, avvocato, deputato, faccendiere, è stato una meteora nell’universo fascista e nel giudizio contro i gerarchi, dopo la caduta del regime, riuscì a passare indenne. La storia di Guido Cristini viene raccontata per la prima volta in questo libro, ricco di documenti e di fotografie che fanno luce su una delle figure più controverse del Ventennio fascista. Ecco l’incipit del primo capitolo.
di PABLO DELL’OSA
«Le migliaia di antifascisti gettati in carcere da Guido Cristini, non possono credere che venga fatta alla democrazia italiana l’offesa di concedere l’amnistia alla jena del Tribunale speciale». C’era scritto proprio così sulla prima pagina de «l’Unità» del 27 settembre 1946. E come si seppe in giro che nel calderone dei gerarchissimi di regime prossimi all’amnistia fosse stato infilato anche Cristini, scoccarono fulmini e saette. Inizialmente, infatti, la sua richiesta era stata respinta. Per giorni non si parlò d’altro. Segno che i quattordici anni trascorsi dalla clamorosa uscita di scena dal Tribunale speciale non erano bastati.
Così, il 31 ottobre 1946, proprio nei giorni dell’amnistia Togliatti, «il caso che destò maggiore sensazione e scalpore fu quello di Guido Cristini, il famigerato ex presidente del Tribunale speciale, rimesso inopinatamente in libertà grazie a una sentenza pronunciata alla fine di ottobre dalla Cassazione, che dai giornali legati al PSIUP [Partito socialista italiano di unità proletaria, N.d.A.] venne definita con indignazione uno “scandalo” per l’Italia democratica, un “disonore” per la magistratura, un atto “di suprema ingiustizia”, un’“offesa alla giustizia”». Per gli antifascisti il nome di Cristini aveva rappresentato e continuava a simboleggiare il peggio del peggio. Essere «un Cristini» era icasticamente entrato a far parte dei dispregiativi popolari. A molti torna- 33 vano in mente, con amara ironia, le parole che la rivista «L’Eloquenza» aveva pubblicato nel 1931: «Come la storia del fascismo non potrà trascurare l’opera del Tribunale speciale – se non altro per opporla, esempio di serena e civile giustizia a quella degli altri tribunali delle rivoluzioni passate e presenti – così la letteratura giudiziaria non potrà non rievocare la figura del suo presidente, onorevole Guido Cristini, che più di ogni altro a quest’opera ha legato il suo nome ». Nonostante fosse sparito dalla vita politica fin dal 1940, i più continuavano a porsi sempre la stessa domanda. Come avesse fatto il figlio del farmacista di Guardiagrele a salire così in alto in un baleno. Una carriera napoleonica che lo aveva portato non solo a primeggiare in Abruzzo, ma a diventare la quarta carica dello Stato. Basta immaginare, per un attimo, la scena da colossal descritta da Riccardo Cristini: «Ho una fotografia di papà a cavallo, in uniforme da luogotenente generale della Milizia, tutto impettito. Veniva prima il re, poi il presidente del Senato, poi il presidente della Camera, poi papà, che era equiparato al presidente della Corte di Cassazione, e quindi Mussolini che era dietro papà, nelle gerarchie ufficiali, come Capo del Governo. Dietro, infine, gli altri gerarchi».
Eppure, in quei giorni in cui le parate erano ormai un ricordo e si doveva fare i conti con la giustizia, Cristini s’era volatilizzato. Consapevole che l’ira del popolo gli avrebbe fatto fare una fine anche peggiore di quella toccata a Donato Carretta. Il direttore del carcere Regina Coeli di Roma che, il 18 settembre 1944, fu linciato dalla folla desiderosa di vendetta.
Ma andiamo con ordine. Cominciamo dall’assoluzione. Sulla prima pagina de «l’Unità» del 1o novembre 1946 campeggiava un titolo inequivocabile: «L’amnistia non deve servire ai Cristini». E di seguito, nel taglio basso: «Cristini, il criminale che ha condannato a morte decine e decine di patrioti, il responsabile dei più feroci delitti commessi dal fascismo è stato amnistiato. Nessun giornale monarchico, qualunquista, liberale ha protestato contro questa palese e sfacciata violazione della legge». E lo stesso giorno l’«Avanti!», sempre in prima pagina, spiegava ai suoi lettori che «la scandalosa sentenza della Seconda Sezione Penale della Cassazione che accorda il beneficio dell’amnistia all’ex presidente del Tribunale speciale Cristini e ai suoi tirapiedi Francesco Dessy, Enea Noseda e Vincenzo Balzano, ha avuto una pronta eco in seno al Consiglio dei ministri nella seduta antimeridiana di oggi. Ne ha fatto oggetto di una ferma e precisa richiesta di provvedimenti il compagno Nenni. «Se qualcuno ci avesse detto, quando votammo la legge sull’amnistia che essa avrebbe liberato dal carcere i Cristini, colpevoli di aver mandato in galera per decine di anni i migliori antifascisti, non io solo, ma il presidente del Consiglio, ma il ministro Cattani avremmo protestato con indignazione. Invece siamo a questo punto, contro lo spirito e il testo della legge. Ora noi non possiamo più oltre tollerare un tale stato di cose». Ma la notizia era stata anticipata da «l’Unità», il giorno prima, con un occhiello che non lasciava dubbi: «Scandalo!». Il giorno dopo, invece, sempre sulle colonne dell’«Avanti!», si rafforzò lo sdegno dei socialisti. Così: «La scarcerazione del famigerato Cristini in base alla recente amnistia fa più che mai apparire giusto ed evidente il nostro intervento alla Costituente contro questa insensata amnistia, che non è stato un atto di giustizia, bensì di suprema ingiustizia. Ed è stolto attribuire oggi la colpa ai giudici, la colpa rimane esclusivamente di chi ha emanato il decreto. L’equivoca dizione di questo decreto, le condizioni e le ipotesi in esso prospettate, in modo che sembra fatto apposta per offrire le più ampie e soggettive interpretazioni, non potevano portare che alle conseguenze che tutti adesso deprecano, come le scarcerazioni di Cristini, di Tamburini, di Asvero Gravelli. Bisognava ascoltare il nostro suggerimento. Il Governo, che ha anche il potere legislativo – non con circolari che non possono essere prese in considerazione nell’interpretazione di una legge – ma con precise norme interpretative poteva e può tuttora impedire scarcerazioni che offendono ogni elementare senso di giustizia. Si faccia almeno oggi quel che non si è voluto fare ieri».
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