L'INTERVISTA

I tanti talenti di Marcorè: «Io sono marchigiano, gli abruzzesi sono cugini» 

Il poliedrico attore, cantante, comico, imitatore, conduttore omaggia i cantautori italiani con “Le mie canzoni altrui”

PESCARA. È difficile trovare una definizione per Neri Marcorè. Con quel suo garbo d’altri tempi, quel filo di ironia sempre pronto a fare capolino tra una parola e l’altra, l’inconfondibile voce, lui è come uno di famiglia. Ma è anche bravissimo, poliedrico, sfacciatamente eclettico: uno che passa dal teatro alla musica, dalla televisione alla radio, dalla verve comica dell’imitatore all’introspezione attoriale con la naturalezza di un talento innato.
Un talento che Marcorè porterà domenica prossima ad Atri, per riempire di note la bellissima piazza Duomo per l’Atri Cup 2021. Con lo spettacolo “Le mie canzoni altrui”, quasi due ore di musica e parole, in cui Marcorè interpreta con amorevole cura e diletto le canzoni dei “suoi” cantautori del cuore, spaziando dalla generazione dei classici Lucio Dalla, Fabrizio De Andrè, Giorgio Gaber, Francesco De Gregori, Ivano Fossati, per arrivare a Luciano Ligabue, Capossela e Pacifico, con un incursione fuori confine con Gerry Rafferty, James Taylor.
Una carriera eccezionale, la sua, divisa tra teatro, musica, televisione, cinema. Quale di questi ruoli l’appassiona di più?
Mi è sempre piaciuto fare tutto, non ho mai sentito il bisogno di scegliere, mi interessa misurarmi con cose diverse. Sento poco la fatica del lavoro, lo faccio con passione. Mi piace la varietà e cerco di assecondare di volta in volta le mie curiosità. Non ho modelli, ma se devo scegliere un riferimento, direi Gigi Proietti, artista straordinario, da cui si poteva imparare molto, avendo il privilegio di lavorarci insieme. Mi sarebbe molto piaciuto. Ma ognuno ha la propria voce, le proprie caratteristiche e deve trovare la propria unicità.
Ad Atri porterà uno spettacolo incentrato sull’interpretazione del repertorio cantautoriale italiano, una cifra su cui ha lavorato molto, negli ultimi anni: De Andrè, Gaber, Guccini, Giammarco Testa. Che rapporto ha con la musica?
La musica è stata il mio primo amore, già da bambino mi piaceva cantare. A 14 anni, la prima chitarra. Poi, casualmente, sono arrivato a fare quest’altro mestiere. Ma da quando mi sono, diciamo così, “stabilizzato” con il lavoro principale, ho cercato di farvi confluire la musica. Ho iniziato con Gaber, in uno spettacolo fatto di monologhi e canzoni. Ora nelle serate porto prevalentemente la musica, meno parole, anche se mi piace sempre introdurre i brani in maniera personale. Vado sempre più verso questa direzione, anche perché mi rendo conto che il pubblico risponde bene, partecipa. Riesco a riportare sul palco la musica dei grandi. Questa che porto ad Atri è una delle quattro o cinque formazioni con cui lavoro: stavolta saremo in due, io voce e chitarra, Domenico Mariorenzi chitarra, pianoforte e bouzouki. È una versione intimista, ma c’è anche del rock, come per “Monna Lisa” di Ivan Graziani, che tra l’altro è abruzzese.
Nella nuova leva di cantanti italiani c’è qualcuno che l’appassiona, che ha le carte per diventare un futuro “mostro sacro”?
La musica è cambiata rispetto ai miei tempi. Canali diversi, supporti nuovi, diversa velocità. È tutto liquido, rapido. È difficile imporsi, anche le canzoni più belle hanno vita breve. Mi vengono in mente Niccolò Fabi, Dario Brunori, Samuele Bersani: ma sono anche loro della mia generazione. Tra i giovani, c’è molto fermento, dinamismo, trovano molte opportunità nei nuovi canali. I miei riferimenti sono più grandi, ma sono ben felice quando scopro cose nuove.
Probabilmente il grande successo di pubblico l’ha raggiunto all’inizio con le imitazioni, che forse sarebbe meglio definire autentiche “reinterpretazioni”: da Alberto Angela a Maurizio Gasparri, da Pier Ferdinando Casini al Conte amministratore di condomini e al Draghi “à Lagarde comme à Lagarde”. Ha nuovi personaggi in programma?
Le imitazioni sono state un momento importante della mia carriera, è vero. Le ho fatte per una ventina d’anni, ma ora preferisco altre cose. Ogni tanto torno a farle, un gioco per vedere se sono ancora capace o se mi sono arrugginito. In realtà non sono più molti i luoghi adatti e la televisione mi interessa meno rispetto ad altre cose che faccio.
Che rapporto ha con l’Abruzzo?
Siamo cugini! Io sono marchigiano, vivo a Roma, praticamente l’Abruzzo è in mezzo. È una terra che conosco bene: mia madre è molisana, ho tanti parenti intorno a Vasto, ci passavo l’estate, e uno zio a Pescara. Poi tanti amici. Ora preferisco la montagna, faccio molte escursioni. L’Abruzzo è una terra unica che non finisce mai di stupire e regalare sorprese. All’estero vado spesso per lavoro, ma per le vacanze preferisco conoscere meglio l’Italia. Con Risorgimarche (il Festival ideato da Marcoré per promuovere le terre ferite dal sisma del 2016, n.d.r.) ho scoperto tante zone bellissime che non conoscevo.
Lei è un appassionato tennista: ieri più Wembley o Wimbledon?
Ho visto e sofferto per entrambi gli eventi. Ho sofferto per Berrettini, quando ho capito che non ce la faceva. È prevalsa l’esperienza di Djokovic, lui è un muro, il più grande ribattitore. Ma Matteo sull’erba è fortissimo, gli auguro tutto il meglio, è giovane e ha grandi possibilità. L’Italia ci ha regalato grande gioia, ma anche qui “che sofferenza”! È una grande squadra che giocando si diverte e diverte. E che bello quell’abbraccio tra Vialli e Mancini.
Prossimi impegni?
Sto girando una serie tv a Roma, in onda l’anno prossimo. Poi concerti qua e là, con gli eventi arrivo fino a settembre. E approfitto per invitare tutti ad Atri a godersi questo spettacolo, vedrete sarà bellissimo!
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