L'INTERVISTA / CRISTIANO DE ANDRE'
«Il disco anarchico di mio padre oggi è attualissimo»
L’artista porta a Pescara “Storia di un impiegato”: «L’ho riarrangiato fino a farne un’opera rock». Il tour approda oggi al Teatro Massimo
PESCARA. “Lottavano così come si gioca / i cuccioli del maggio / era normale / loro avevano il tempo anche per la galera / ad aspettarli fuori rimaneva / la stessa rabbia, la stessa primavera”. L’introduzione dell’album del 1973 di Fabrizio De André Storia di un impiegato” puntava dritta al cuore della memoria e conserva intatta la sua potenza – tra versi, note e un video in bianco e nero di proteste e cortei parigini e poi ancora, in stacchi velocissimi, cento fotogrammi di ragazzi e ragazze di quel ribelle Sessantotto – trasportando in quegli anni in un vortice temporale e in un percorso subliminale fino ai recenti, entrambi così vivi. L’opera rock dal sound elettronico e progressive nella visione e negli arrangiamenti di Cristiano De André di quel disco spartiacque dell’importante padre approda oggi, sabato 14 dicembre, al teatro Massimo di Pescara, ore 21, penultima tappa del tour denso di sold out in tutta Italia della storia del grigio impiegato e della sua ribellione che, immaginata nel sangue, diventa altrettanto grigia fino a portarlo a capire che «non esistono poteri buoni», tournée prodotta e da Intersuoni Srl e in questa tappa organizzata da Alhena e Ventidieci.
Il concerto è diviso in due parti: la prima affronta lo storico disco, la seconda comprende altri celebri brani di repertorio di Faber come “Fiume Sand Creek” e “Don Raffaè”, che pure affrontano il tema della lotta per i diritti, alcune perle, come “Il pescatore”, contenute nei progetti discografici di grande successo di Cristiano: “De André canta De André – Vol. 1 (2009), Vol. 2 (2010) e Vol. 3” (2017)” .
Cristiano De André e Stefano Melone (alla produzione artistica) hanno dato una nuova vita musicale alle canzoni del disco, un suono rock-elettronico, calibrato sui moti dell’animo del protagonista della storia, dall’iniziale clima di sfida al fallito attentato e al carcere. La regia dello spettacolo, curata da Roberta Lena, è piena di sorprese come accennato, dai visual, alle luci. Cristiano De André sul palco è accompagnato da Osvaldo Di Dio, Davide Pezzin, Davide Devito e Riccardo Di Paola.
Cristiano, la decisione di rileggere e portare nei teatri “Storia di un impiegato” è legata al cinquantenario del ’68 e alla visione così speciale che ne diede in questo disco Fabrizio o c’è anche altro di più vicino e attuale?
Io credo che – cinquantenario a parte ma che pure ha un suo senso – spiri oggi un’aria di ribellione che riporta lì con la mente. Ho la sensazione che si stia ripetendo quel vento, che ci sia la voglia di cambiare le cose. Lo vedo nei giovani che vengono ai miei concerti, hanno forza, voglia di cambiare il mondo, di svegliarci da un oscurantismo che ci domina da oltre venti anni. La contrapposizione con quello che accadde allora adesso sta svanendo. Ma dopo i “medioevi” c’è sempre un rinascimento, il desiderio di tornare all’arte lo guida.
Lei non è di quella generazione, era un bimbetto di più o meno dieci anni quando suo padre scriveva e componeva questo album. Che ricordo ne ha?
Ma certo che me lo ricordo, io gli giravo sempre intorno e me lo ricordo bene. Ma adesso questo disco è quanto mai attuale, è il trattato di pace più grande di mio padre, anarchico e pieno di speranza che cresce attraverso la disaffezione al potere.
Insomma è il suo album più amato e tra quelli di Faber?
È un disco di mio padre che in un periodo come questo è ancora più importante. È forse il più completo e complesso. Ho lavorato molto alla rivisitazione e ci sono completi cambiamenti musicali. Ci sono arrangiamenti da opera rock, ma ci sono vari stili che si ritrovano, non uno stile solo, a intersecare anche i miei passaggi musicali per una visione più ampia: classici e rock che legano una canzone con altra creando una idea del progetto piu vasta. Poi ci sono le riprese video di Roberta (Lena ndr) che si incrociano con la musica. È un viaggio musicale, poetico e di effetti, in un contesto di grande cambiamento della società, di un ’68 che si ripete.
Dove coglie questa volontà di cambiamento?
Dalle Sardine al Cile ai Gilet gialli... C’è un risveglio.
Portare sul palco album mitici di cantautori o gruppi internazionali fondamentali per la musica pop e rock del Novecento oggi è un po’ come fare concerti su musiche di Bach, Mozart. Tra i suoi colleghi oggi pensa che ci siano personalità artistiche tali, che, cover band a parte, qualcuno rileggerà e proporrà in un futuro?
Ci sono un sacco di ragazzi che hanno voglia di fare, troppi sono vittime dei talent altri fanno buona musica e speriamo che vengano ascoltati. Ci sono persone interessanti che scrivono, colte e in controtendenza, e altri che lo fanno per fare business e soldi. Io preferisco le prime, fare arte paga e ripaga, dopo tanto magari, ma è così.
Ha nel cassetto qualcosa di suo dopo questo progetto?
Un disco di inediti, con un dvd delle ultime date dei concerti, registreremo dal vivo già a Pescara, vedrete.
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