L'INTERVISTA / JACOPO SIPARI
«In compagnia della mia musica sogno il mare»
Il direttore d’orchestra aquilano si racconta: «L’isolamento ci insegna ad ascoltare noi stessi»
Jacopo Sipari di Pescasseroli ha 35 anni ma da almeno dieci è uno dei direttori d’orchestra più talentuosi d’Italia. Aquilano, direttore del Tagliacozzo Festival, è stato su alcuni dei podi più prestigiosi del mondo (si legga la scheda qui accanto) e in questi giorni è confinato dal coronavirus in casa, in compagnia soprattutto della sua passione più grande, la musica, come racconta in questa intervista al Centro.
Come passa questi giorni di clausura?
Per la prima volta dopo cinque sei anni passati continuamente in giro per lavoro mi ritrovo fermo a casa, ed è un’ esperienza molto strana. Il lato positivo di tutto questo è che finalmente sono tornato a studiare. Da mattina a sera studio come un pazzo.
Cosa studia?
L’integrale delle opere di Verdi. Insieme a questo studio dell’opera lirica sto cercando di portare avanti tutti i progetti che avevo, primo fra tutti quello del Tagliacozzo Festival, a cui sono molto legato, e poi il festival operistico in Azerbaijan e alcune grandi produzioni per l’Opera di Tirana. È un modo per non sentirsi un peso e per sperare nel futuro. Il coronavirus mi ha colpito due volte, nel senso che, al di là del trauma generale, mi ha tolto la musica, il mio respiro. Stare rinchiuso qui senza la musica è terrificante. Inoltre sono sempre andato in giro per tutto il mondo e adesso, invece, mi accorgo che non c’è un posto dove possa scappare.
Come sceglie la musica da ascoltare in casa e su quale supporto la ascolta?
La fortuna è che con iTunes ho libero accesso a tutti i dischi mai pubblicati. La musica, quindi, me la sparo, come direbbero a Roma, nella casse che ho qui in casa. Dalla mattina alla sera ascolto musica, soprattutto l’opera. Un lato positivo di questo periodo di clausura è che non ho mai visto così tante opere liriche trasmesse in televisione come in questi giorni.
Quali brani sta ascoltando con maggiore piacere?
Mah, per esempio, l’Andrea Chénier di Umberto Giordano, a parte l’amato Puccini che è la colonna sonora della mia vita. In particolare, a proposito dell’Andrea Chénier, studiando quest’opera, mi sono commosso con la famosa aria della mamma morta, quella che fa “La mamma morta m’hanno alla porta là della stanza mia”, la stessa della colonna sonora del film Philadelphia. Mi ci sono ritrovato tantissimo e mi sono commosso pensando a questa situazione in cui siamo tutti, che ci ha toccato negli affetti più cari, nel lavoro, in tutto. Quell’aria mi ha dato una botta di energia e di vita notevolissima.
Oltre ad ascoltare musica, legge anche, in questi giorni?
Sì. Faccio una cosa che non facevo da tantissimo tempo: leggo i classici greci e latini, le tragedie, le orazioni di Lisia, Cicerone. È un piacere che a lungo avevo negato a me stesso. Mi piace ritoccare i libri del liceo su cui ho studiato e quelli che ho comprato dopo.
Che cosa le manca della vita normale?
Mi manca di viaggiare. Poi mi mancano lo sport e la libertà, il sentimento della libertà, cioè la possibilità di andare dove si vuole, di incontrare amici.
Come si immagina la sua estate?
Me la immagino sopra un podio L’augurio più grande che faccio a me stesso è di tornare a fare il mio lavoro e, in particolare a fare il Tagliacozzo Festival in cui ho creduto e credo tantissimo.
Qual è la prima cosa che farà quando potrà uscire?
Spero di avere una certa intimità (ride, ndr). Spero di divertirmi e poi di andare al mare.
C’è una lezione che pensa di aver imparato da questi giorni di reclusione?
Sì: che, alla fine della fiera, la cosa più importate nella vita è di cercare di credere in se stessi. Questa esperienza che tutti stiamo facendo ci ha ricordato che viviamo tristemente da soli. L’isolamento forzato ci sta aiutando a capire cose che prima davamo per scontate. Ascoltare se stessi con sincerità è l’insegnamento più grande di questo isolamento.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Come passa questi giorni di clausura?
Per la prima volta dopo cinque sei anni passati continuamente in giro per lavoro mi ritrovo fermo a casa, ed è un’ esperienza molto strana. Il lato positivo di tutto questo è che finalmente sono tornato a studiare. Da mattina a sera studio come un pazzo.
Cosa studia?
L’integrale delle opere di Verdi. Insieme a questo studio dell’opera lirica sto cercando di portare avanti tutti i progetti che avevo, primo fra tutti quello del Tagliacozzo Festival, a cui sono molto legato, e poi il festival operistico in Azerbaijan e alcune grandi produzioni per l’Opera di Tirana. È un modo per non sentirsi un peso e per sperare nel futuro. Il coronavirus mi ha colpito due volte, nel senso che, al di là del trauma generale, mi ha tolto la musica, il mio respiro. Stare rinchiuso qui senza la musica è terrificante. Inoltre sono sempre andato in giro per tutto il mondo e adesso, invece, mi accorgo che non c’è un posto dove possa scappare.
Come sceglie la musica da ascoltare in casa e su quale supporto la ascolta?
La fortuna è che con iTunes ho libero accesso a tutti i dischi mai pubblicati. La musica, quindi, me la sparo, come direbbero a Roma, nella casse che ho qui in casa. Dalla mattina alla sera ascolto musica, soprattutto l’opera. Un lato positivo di questo periodo di clausura è che non ho mai visto così tante opere liriche trasmesse in televisione come in questi giorni.
Quali brani sta ascoltando con maggiore piacere?
Mah, per esempio, l’Andrea Chénier di Umberto Giordano, a parte l’amato Puccini che è la colonna sonora della mia vita. In particolare, a proposito dell’Andrea Chénier, studiando quest’opera, mi sono commosso con la famosa aria della mamma morta, quella che fa “La mamma morta m’hanno alla porta là della stanza mia”, la stessa della colonna sonora del film Philadelphia. Mi ci sono ritrovato tantissimo e mi sono commosso pensando a questa situazione in cui siamo tutti, che ci ha toccato negli affetti più cari, nel lavoro, in tutto. Quell’aria mi ha dato una botta di energia e di vita notevolissima.
Oltre ad ascoltare musica, legge anche, in questi giorni?
Sì. Faccio una cosa che non facevo da tantissimo tempo: leggo i classici greci e latini, le tragedie, le orazioni di Lisia, Cicerone. È un piacere che a lungo avevo negato a me stesso. Mi piace ritoccare i libri del liceo su cui ho studiato e quelli che ho comprato dopo.
Che cosa le manca della vita normale?
Mi manca di viaggiare. Poi mi mancano lo sport e la libertà, il sentimento della libertà, cioè la possibilità di andare dove si vuole, di incontrare amici.
Come si immagina la sua estate?
Me la immagino sopra un podio L’augurio più grande che faccio a me stesso è di tornare a fare il mio lavoro e, in particolare a fare il Tagliacozzo Festival in cui ho creduto e credo tantissimo.
Qual è la prima cosa che farà quando potrà uscire?
Spero di avere una certa intimità (ride, ndr). Spero di divertirmi e poi di andare al mare.
C’è una lezione che pensa di aver imparato da questi giorni di reclusione?
Sì: che, alla fine della fiera, la cosa più importate nella vita è di cercare di credere in se stessi. Questa esperienza che tutti stiamo facendo ci ha ricordato che viviamo tristemente da soli. L’isolamento forzato ci sta aiutando a capire cose che prima davamo per scontate. Ascoltare se stessi con sincerità è l’insegnamento più grande di questo isolamento.
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