Paoloni: io, Matteo il “cattivo” ma sempre devoto alla causa

18 Ottobre 2024

Il giovane avezzanese veste i panni di Spadaro nella serie “Citadel: Diana” «A Matilda De Angelis viene tutto semplice sul set, mi ha fatto passare la paura»

AVEZZANO. C’è un attore abruzzese nel cast di Citadel: Diana, capitolo italiano del progetto internazionale prodotto dai fratelli Russo, uscito nei giorni scorsi su Prime Video. A vestire i panni di Matteo Spadaro, il “cattivo” di Manticore Italia, è l’attore avezzanese Daniele Paoloni. Al fianco di Matilda De Angelis, Filippo Nigro e Maurizio Lombardi, diretto da Arnaldo Catinari, Paoloni è tra i protagonisti della serie appena uscita e già record di ascolti anche all’estero. Ed è proprio lui a raccontare come si sia trovato catapultato nella Milano distopica in cui è ambientata la serie.
Com’è nata la passione per la recitazione?
I miei genitori, pur facendo altro nella vita, hanno sempre amato il teatro e in casa allestivano spettacoli, di cui scrivevano copioni e musiche. La prima esperienza, al liceo, l’ho avuta con Gabriele Ciaccia (Teatro dei Colori, ndc). Dopo il diploma, però, non ho avuto subito il coraggio e mi sono iscritto all’Università. Dopo la laurea triennale ho deciso di provarci. Avevo 26 anni e ho chiesto a Lino Guanciale (attore, amico e concittadino di Paoloni, ndc) qualche consiglio su scuole o laboratori da frequentare. E ho iniziato a costruire una rete di contatti.
Quando ha capito che ormai era un attore?
Nel 2013, mentre facevo uno spettacolo all’Aquila per i Cantieri dell’Immaginario, Aldo Allegrini, direttore di produzione di Khora Teatro, mi presentò un contratto per lo spettacolo Don Giovanni. Lì ho pensato di essere sulla strada giusta.
Tanto teatro, poi ha virato verso l’audiovisivo. Come mai?
È accaduto durante il Covid. Era un periodo molto difficile, con i teatri, prima chiusi e poi a ingresso contingentato. Mi sono spaventato e ho deciso di orientare gli sforzi verso il cinema.
Direi che ha funzionato.
Sì, ma non è stato tutto semplice. Proprio da un momento di difficoltà è nata l’opportunità in Citadel. Mi sono proposto come spalla nei casting di Laura Muccino e, dopo qualche mese, è iniziato quello di Citadel: Diana. Ho fatto da spalla a tutti i protagonisti. Poi mi hanno proposto un provino per il personaggio di Matteo e mi hanno scelto.
Cosa ci dice di Matteo?
Ha un passato nei servizi segreti dai quali è rimasto deluso e viene “raccolto” dal capo famiglia di Manticore Italia che lo mette a dirigere l’agenzia. In teoria, è un personaggio cattivo. Ma, come chiave interpretativa, ho lavorato soprattutto sulla sua devozione alla causa.
Com’è lavorare in un progetto di quel calibro?
All’inizio ero spaventato. Invece tutti mi hanno messo a mio agio. Sono umanamente e professionalmente straordinari. In particolare Matilda, è una professionista eccezionale. Le viene tutto semplice e non è mai autoreferenziale.
Ci saranno altre stagioni?
Intanto ci godiamo questi primi ottimi riscontri. Nel progetto Citadel c’è l’idea di proseguire, facendo incontrare storie e personaggi dei vari franchise. Ma sono sempre gli ascolti ad avere l’ultima parola.
A cosa sta lavorando ora?
A giorni inizierò le riprese di un nuovo film di Catinari sulla vicenda di Fiume. Proseguirò anche con l’impegno a teatro con la compagnia Remuda Teatro che ho fondando con Federico Malvaldi e Veronica Rivolta. E l’anno prossimo uscirà M. il figlio del secolo, un altro progetto incredibile con Luca Marinelli come protagonista, per la regia del gigante Joe Wright, in cui interpreto un commissario che indaga sull’omicidio Matteotti.
Salto temporale: 1998, liceo scientifico Pollione di Avezzano, lei era tra gli organizzatori dei cineforum insieme all’attore Guanciale e ai musicisti Carlo e Matteo Di Francesco. Coincidenza o una sorta di “cenacolo” amplificatore di talenti?
Me lo sono chiesto spesso. Non può essere un caso. Sicuramente c’è stata influenza reciproca. Per me, la determinazione di Carlo, Matteo o Lino è stata un forte stimolo. Più in generale, credo che la nostra sia una generazione cresciuta in un periodo di grande vivacità artistica e culturale. I nostri genitori hanno vissuto il ’68 e siamo cresciuti in un ambiente ricco di ideali e sensibilità. Eravamo liceali ma ci confrontavamo su temi profondi, ad alti livelli. Avevamo rispetto dell’autorità ma non ci siamo mai fatti soverchiare.
Oggi che rapporto ha con Avezzano?
Avezzano rappresenta le mie radici, è un pezzo di cuore, ma è un rapporto di odi et amo, perché non offre grandi possibilità. Continuo ad avere anche rapporti lavorativi sul territorio, perché con Alessandro Businaro e Dario Del Fante organizziamo a Rocca di Mezzo il festival Teatro in quota.
Crede che l’Abruzzo Film Commission aiuterà?
Mi chiedo più che altro come sia possibile che, con tutti gli artisti, autori, tecnici, registi e location che abbiamo, si faccia ancora fatica ad avviare un progetto che aiuterebbe tantissimo.