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6 gennaio

Foto scattata da ©Franco Zecchin

6 Gennaio 2025

Oggi, ma nel 1980, a Palermo, in via della Libertà, nel giorno dell’Epifania, sicari di Cosa nostra, che non verranno mai realmente identificati -tra le ipotesi, ancora al vaglio della magistratura, ci saranno Antonino “Nino” Madonia, a premere il grilletto, e Giuseppe Lucchese “Lucchiseddu”, a fare da palo- assassinavano Piersanti Mattarella, presidente della Regione Sicilia, in carica dal 20 marzo 1978 con l’appoggio dei comunisti, avvocato, esponente di peso della Democrazia cristiana -non solo nell’isola grazie al sostegno avuto dal presidente del partito Aldo Moro fin dai tempi della Solidarietà autonomistica- fratello maggiore del futuro dodicesimo presidente della Repubblica italiana Sergio, nel ruolo dal 3 febbraio 2015.

Per l’omicidio, verosimilmente motivato dalla campagna di opposizione allo strapotere mafioso, verranno condannati quali mandanti i vertici della cupola, incluso Salvatore “Totò” Riina. Mentre la pista del delitto operato dai terroristi “neri” Giuseppe Valerio “Giusva” Fioravanti e Gilberto Cavallini, esponenti di spicco dei Nuclei armati rivoluzionari, verrà accantonata. La vittima (nella foto, particolare, il corpo agonizzante dell’onorevole subito dopo essere stato raggiunto dai proiettili calibro 38, nell’iconico scatto di Letizia Battaglia), di 45 anni, nativa di Castellammare del Golfo, in quel di Trapani, si stava recando in macchina, Fiat 132, a messa con la moglie Irma Piazzese, la figlia Maria e la suocera Franca Ballerini. Piersanti Mattarella aveva seguito il percorso politico del padre Bernardo, classe 1905, anche lui castellammarese, morto a Roma l’1 marzo 1971, già deputato della Balena bianca ininterrottamente dall’8 maggio 1948 al decesso, inclusa l’Assemblea costituente, e sette volte ministro scudocrociato tra il ’53 e il ’66 nei governi presieduti da notabili diccì come Alcide De Gasperi, Antonio Segni, Giuseppe Pella, Amintore Fanfani, Mario Scelba.

Nel suo secondo mandato alla guida del dicastero dei Trasporti, dal 21 febbraio 1962 al 21 giugno 1963, aveva preso il posto del vastese Giuseppe Spataro, riferimento abruzzese per l’elettorato d’ispirazione cattolica. Nel 1965 Mattarella senior era stato tacciato dall’attivista della non violenza Danilo Dolci di collusione mafiosa, ma poi l’accusatore, con tanto di dossier sui presunti legami con la malavita organizzata siciliana, era stato trascinato in tribunale e condannato per diffamazione, con sentenza di primo grado del 21 giugno 1967 del tribunale capitolino, poi confermata in appello e in Cassazione, che aveva ripristinato la liceità del comportamento di Bern.ardo Mattarella ribadendo anzi il suo atteggiamento di contrarietà ad ogni forma di collusione del potere con boss e padrini.