Grandi rischi
L'Aquila, oltre mille in piazza contro la "sentenza vergogna"
Sit-in di associazioni e cittadini alla Villa comunale. I familiari delle vittime: «Vogliamo che la città esprima la sua indignazione per il colpo di spugna»
L’AQUILA. "Un tribunale vi ha assolto, la storia vi condannerà". Oltre mille nel buio delle strade cittadine per alzare forte il grido della città contro la sentenza di Appello del processo alla commissione Grandi rischi.
Sei assoluzioni e una condanna ridotta rispetto al primo grado di giudizio che suonano come una beffa. Come l'ennesimo schiaffo alle 309 vittime del sisma, alle loro famiglie, a tutti gli aquilani. La protesta, composta, ma decisa. è stata lanciata da associazioni, familiari delle vittime e semplici cittadini che si sono ritrovati alla Villa Comunale per ricordare chi non c'è più. Nel corteo campeggiano striscioni. Sono state riprodotte le intercettazioni telefoniche tra l'ex capo Dipartimento della Protezione civile Guido Bertolaso e l'ex assessore regionale Daniela Stati.
E chiedere, ancora una volta, giustizia. «Vogliamo che la città, nella sua interezza, esprima indignazione per quanto accaduto», dichiara Antonietta Centofanti, presidente del Comitato familiari vittime Casa dello studente, «perché i 309 morti del 6 aprile 2009 appartengono alla comunità aquilana. Compresi i 54 studenti fuori sede che erano in città per costruire il loro futuro e quella maledetta notte hanno trovato la morte». Centofanti definisce la sentenza di appello «uno schiaffo sulla pelle degli aquilani: dalle quasi mille pagine di istruttoria, in cui viene ricostruito quanto accaduto nei giorni precedenti il terremoto, si evince chiaramente come la Commissione Grandi rischi abbia lanciato messaggi rassicuranti che hanno fatto sì che gli aquilani sottovalutassero quanto stava accadendo.
Il fatto che, ancora oggi, si continui a mistificare, dicendo che è stato fatto un processo alla scienza, è assurdo e inverosimile. Al contrario, cè stata negligenza di chi non ha saputo valutare il rischio e comunicare la portata dell'evento». Una ferita che si riapre a più di 5 anni da quella tragica notte, un lutto che si rinnova. «I nostri morti», afferma Centofanti, «hanno bisogno di sepoltura, di verità e giustizia. Non è accettabile che quanto accaduto resti impunito, che chi rivestiva ruoli apicali non abbia avuto responsabilità. La sentenza di appello mi ha lasciata interdetta: mi aspettavo, forse, una rimodulazione della pena e delle responsabilità dei componenti della commissione, non la volontà di cancellare tutto con un colpo di spugna. Si è voluto individuare un capro espiatorio, assolvendo tutti gli altri», incalza Centofanti, «che erano presenti alla riunione e hanno firmato i verbali». Da tutta Italia continuano ad arrivare attestati di stima e solidarietà ai familiari delle vittime. «Sono curiosa di leggere le motivazioni della sentenza, che usciranno l'8 febbraio», dice Centofanti, «ricorreremo in Cassazione, sperando in un esito diverso».
Intanto, oggi la città sarà in piazza con quell'orgoglio che nasce dal dramma, da una tragedia che ha segnato per sempre il destino di tante famiglie sfortunate.
"E' ovvio che le vittime rappresentano la tragedia più grande», aggiunge, «un lutto indelebile, ma ogni singolo aquilano ha perso qualcosa, un familiare, un amico, la propria casa, i luoghi di una vita. Il terremoto ha spazzato via tutto in pochi attimi di terrore. Una disgregazione che regna, ancora oggi, sovrana, in una città che non esiste più. Ho ancora fiducia nella giustizia, sulla quale però deve vigilare una comunità intera. Ed è quello che proveremo a fare ancora, con il sit-in di protesta: insieme», conclude Centofanti, «per non gettare la spugna di fronte a questa nuova ferita inferta dalla giustizia. In tribunale, alla lettura, c'erano tanti aquilani commossi, molti giovani che non hanno avuto lutti in famiglia, ma che piangevano i nostri morti. I morti della città dell'Aquila".