L'AQUILA
Addio ad Alfonso Prete, vecchia gloria dei rossoblù
Originario di Castel di Sangro, capitano e bandiera dell’Aquila calcio, esordì nel 1950, giocò la Coppa Libertadores in Sudamerica e allenò la squadra di Raimondo Vianello
L'AQUILA. Lo sport abruzzese piange la scomparsa di Alfonso Prete. Sale in cielo all’età di 89 anni una delle storiche bandiere dell’Aquila calcio negli anni Cinquanta, di cui fu capitano per diverse stagioni. Originario di Castel di Sangro, Prete viene ricordato per essere stato un modello da seguire sia dentro che fuori dal campo. Difensore carismatico dal fisico possente, Fofò, come veniva chiamato dagli amici e dai compagni di squadra, fu un punto di riferimento per la squadra del capoluogo, all’epoca presieduta prima da Ubaldo Lopardi e successivamente da Antonio Cicchetti. Crebbe nel settore giovanile dell’Oratoriana per poi esordire con L’Aquila appena diciottenne nella stagione 1950/1951 sotto la guida tecnica di Pietro Piselli, consacrandosi definitivamente in prima squadra durante le gestioni degli allenatori Walter Corsanini e Marino Bon.
Serio e professionale, Prete, con addosso la sua inseparabile maglia numero 5, trasmetteva sicurezza all’intero reparto arretrato e fu un punto di riferimento per tutti i giovani calciatori che si affacciavano ai colori rossoblù. Tra gli aneddoti interessanti, la sua amicizia con il pugile aquilano Alfredo Vivio, con cui amava allenarsi, e il lusso di aver disputato incontri di Coppa Libertadores (massima competizione calcistica sudamericana), in forza con la Shell di Caracas quando si trasferì per un breve periodo in Venezuela. Rientrato in Italia, giocò anche con il Foggia e con il Giulianova, ma rimase fortemente legato all’Aquila, tant’è che dopo il pensionamento vi ritornò.
Era nel capoluogo abruzzese quando la notte del 6 aprile del 2009 (giorno del suo settantasettesimo compleanno), fu costretto a mettersi in salvo assieme alla moglie Lea a causa delle scosse. Ieri alle 12 si sono tenuti i funerali a Castel di Sangro, luogo dove è stato sepolto.
"Il calcio per lui era gioco, divertimento e lo praticò sempre", lo ricorda affettuosamente il giornalista Antonio Andreucci, "anche come allenatore con il Tor di Quinto e del Cinthia o con la Nazionali cantanti e quella femminile. Una passione che divideva con Raimondo Vianello, del quale allenava la sua squadra, la Sa.Mo.. Al calcio dedicava tutto il tempo libero dopo il lavoro in una multinazionale americana. A proposito di Usa: lo avevano chiamato ad allenare una squadra nel Minnesota, ma rifiutò. Ciò che lo ha fatto amare di più è stato l’insieme di gentilezza, disponibilità, simpatia, ottimismo nonostante da fanciullo avesse visto il padre saltargli in aria davanti, dilaniato da una bomba tedesca a Castel di Sangro. Un signore d’altri tempi, con il volto di un attore di Hollywood. Addio capitano".
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