Avezzano

Tentato omicidio al bar, 32enne in carcere: «È un miracolo che non sia morto nessuno»

20 Aprile 2025

Parla l’uomo che per primo ha soccorso i feriti: «Una strage. Sono andato in ospedale e ho pregato che Davide non morisse». Si indaga sui rapporti

AVEZZANO. «È stata una strage. Ci ripenso e mi sento ancora tremare le gambe. Ringrazio il cielo che gli amici feriti non siano in pericolo di vita. È un miracolo che nessuno sia morto». Uno dei presenti nel piazzale del bar Italia al momento del drammatico investimento di venerdì pomeriggio racconta, a fatica, lo choc subìto in quei pochi secondi. È stato il primo a soccorrere i feriti. Sempre lui a chiamare il 112, spiegando che un’auto impazzita aveva volontariamente travolto tre persone davanti al bar, all’interno dell’area di rifornimento Petrol Italia di via Pertini, ad Avezzano. Alla guida Angelo Alfidi, 32 anni.

Con il suo Fiat Doblò ha preso coraggio e velocità e ha investito lo zio, Pino Anselmi, «col quale cinque minuti prima aveva furiosamente discusso al telefono», aggiunge. Nella furia di un gesto folle, l’aggressore ha colpito altre due persone. Davide Marziale, 53 anni, noto carrozziere di Avezzano, e Carlos Jesus Gamarra Morales, 43enne di origini peruviane, da anni in città e dipendente del distributore di benzina all’interno del piazzale in cui è successo tutto. Alfidi è stato fermato, alcune ore dopo, in casa sua. Poi, nella notte, è stato rinchiuso nel carcere di Avezzano, dove resta in attesa di udienza di convalida. Attesa dopo le festività. La sua difesa è stata affidata all’avvocato Valentina Calvaresi.

IL RACCONTO

Per i presenti sono stati attimi di grande paura. «Lo zio, Pino Anselmi, aveva da poco chiuso una telefonata con lui. Dai toni accesi. Nemmeno cinque minuti dopo si è palesato il nipote alla guida del Doblò. Ha accelerato e investito chiunque fosse accanto al suo obiettivo. Io ero girato di spalle, poco più in là. Ho sentito un rumore fortissimo e, quando mi sono girato, le vittime erano letteralmente volate in aria. L’altro suo zio si è subito lanciato contro l’auto e con la mano ha sfondato il finestrino. Ha fatto di tutto per fermare il responsabile e farlo scendere, ma non c’è riuscito. Io ho subito raggiunto i feriti. Il mio amico fraterno, Davide Marziale, era quello ridotto peggio. Ho chiesto a tutti di non toccarlo e non spostarlo. Ho chiamato i soccorsi e atteso il loro arrivo. Poi sono andato in ospedale e ho aspettato notizie. Ho pregato che Davide non morisse. E che non restasse paralizzato. Solo verso la mezzanotte i medici ci hanno tranquillizzato e sono tornato a casa mia». La fine di un incubo, sebbene le conseguenze restino. Come la paura e i ricordi martellanti di quegli istanti. «Non sono riuscito a chiudere occhio. Continuo a pensare a cosa poteva succedere», conclude il testimone.

L’ARRESTO

Tre i capi d’imputazione formulati dal pm di turno Chiara Lunetti. Lesioni aggravate, danneggiamenti e, ovviamente, tentato omicidio. Reato che ha portato all’arresto immediato in carcere. Il 32enne era stato rintracciato in casa sua. Chi ha eseguito il fermo lo ha descritto come tranquillo. Non ha opposto resistenza. Del Doblò, però, non c’era traccia. È stato lui stesso a condurre gli agenti della locale in un capannone nel Nucleo industriale della città. All’interno l’auto usata per compiere il crimine, immediatamente posta sotto sequestro e repertata come fonte di prova.

«Quest’operazione dimostra l’altissimo livello di preparazione dei nostri agenti», ha dichiarato il comandante Luca Montanari, «e la capacità d’intervenire con efficacia in contesti di estrema gravità. È un risultato che testimonia il valore del lavoro quotidiano degli operatori e la fiducia che i cittadini possono riporre in loro. Con il validissimo supporto operativo del commissariato di polizia. È stato un efficace esempio di collaborazione istituzionale».

L’INVESTITORE

Una volta al comando della municipale, Alfidi è stato ascoltato per ore. Stando a quanto trapela da fonti investigative, avrebbe fornito una ricostruzione molto diversa da quello che raccontano le immagini riprese dalla telecamera presente all’esterno del bar, che hanno immortalato tutta la scena. Non poteva sapere che la struttura fosse dotata di videosorveglianza, né che gli inquirenti fossero già in possesso del video. Avrebbe quindi raccontato di non essersi reso conto di aver investito delle persone. Stando inoltre a una prima ricostruzione, il movente sarebbe legato a dissapori con lo zio. In buona parte in ambito lavorativo.

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