Devastati Poggio e Castelnuovo
Nei due borghi 10 vittime, madre e bimbo travolti dal muro di casa. Il pianto di un imprenditore «Ho perso mia figlia ma ho salvato gli altri ragazzi»
SAN PIO DELLE CAMERE. Pietre su pietre. Morti allineati alla base del monumento che commemora i caduti della Grande guerra. Un cane vaga fra le macerie. E’ ciò che resta del seicentesco borgo di Castelnuovo, frazione di San Pio con poco più di 250 anime. Qualche chilometro più in là, a Poggio Picenze, la distruzione si ripete, c’è l’identico dolore, si sommano i lutti. Una mamma morta, col suo bimbo accanto. Altre due ragazzine e una donna vittime di quei 20 secondi di terrore.
A Castelnuovo e Poggio Picenze, borghi fra i più martoriati, si incontrano le storie di chi è rimasto e di chi non ce l’ha fatta.
Come quella di Emanuele Sidoni, 61 anni, artigiano residente a Roma. Era tornato a Castelnuovo a trovare i genitori Emidio (77) e Maria Fina Nardone (76) e insieme a loro ha incontrato la morte. «L’avevo pregato di raggiungerli a Pasqua, ma non ha voluto sentire ragioni», racconta la moglie, arrivata in fretta da Roma. «Anche noi abbiamo sentito la scossa, sapevamo che nell’Aquilano ce n’erano state diverse nei giorni scorsi e così ci siamo preoccupati», prosegue la donna, «mia cognata ha telefonato verso le 4, dopo aver saputo che l’epicentro era stato individuato in zona. Nessuno rispondeva. Il terrore ha preso il sopravvento e quando sono arrivata mio marito era appena stato estratto dalle macerie. Non c’era più. Continuava a ripetere che quella casa era sicura. Invece l’ha ucciso».
Nei tre vicoli del borgo cancellato, tra le macerie della chiesa di San Giovanni - dove solo la statua della Madonna è rimasta miracolosamente in piedi - si aggirano i volontari della Misericordia di Scafa, i carabinieri arrivati anche dall’Alto Sangro, i vigili del fuoco di Pescara, gli agenti della polizia stradale di Chieti. Insieme alle tre salme della famiglia Sidoni, di fronte al monumento ai caduti, viene allineata quella di Refik Hasani, muratore macedone di 42 anni, come tanti suoi connazionali arrivato in Italia in cerca di fortuna. Il fratello Demal, 40 anni, viene dato per disperso. Le speranze di ritrovarlo in vita vengono spente poco dopo le 11, quando i soccorritori individuano il corpo. Salgono così a cinque le vittime a Castelnuovo. Amici e parenti piangono su una vicina panchina.
Nelle altre tre case devastate dalla scossa non ci sono famiglie. Una, di proprietà di turisti romani, era ripartita la sera prima. Così come erano partiti gli immigrati che abitano le altre due. Nel caso di Aziz la sorte è stata benevola. L’uomo è “scappato” in Germania insieme alla moglie per conoscere la nipotina nata tre giorni fa. «C’è crollato tutto addosso», racconta Jatan Uzeiri, moldavo da sei anni in Italia, che indossa ancora il pigiama. «In casa mi trovavo con mio padre», aggiunge, «siamo fortunati». Miracolati. Come Nicola Marchetti e la sua compagna, scampati alla devastazione perché la loro è l’unica antica abitazione rimasta in piedi. Nicola è riuscito a salvare uno dei suoi cani, Clint, mentre ha perso le tracce di Pasqua. «Abbiamo cercato di scappare e quando siamo usciti fuori ci siamo accorti che non c’erano più le case e la chiesa», commenta il giovane. «Abbiamo allertato subito i soccorsi perché avevamo capito che era successo un disastro», dichiara Plinio Aloisio, vigile urbano di San Pio delle Camere, «Castelnuovo è quasi completamente distrutto, contiamo circa 250 sfollati. Stiamo predisponendo una tendopoli per ospitarli in un’area pic-nic in periferia».
A Poggio Picenze chi è rimasto si trova riunito nel piazzale del bocciodromo. Mancano all’appello cinque residenti: Rosalba Franco, 39 anni casalinga, suo figlio Loris (10), Alena Ajrulai (11), Valbona Osmani (13) e Abdia Nuria (41). I loro corpi senza vita erano nelle quattro abitazioni sbriciolate dal terremoto nella centralissima piazza Castello. «Madre e figlio erano uno accanto all’altro», ricorda Lucio Perinetti, consigliere comunale, improvvisato soccorritore come tanti altri suoi concittadini, «sono stati travolti dal muro della loro abitazione e probabilmente neanche si sono resi conto di quanto accaduto. La mamma era seduta su una poltrona, il piccolo su una sdraio e con le manine teneva stretti i braccioli. Una scena che non dimenticherò mai. Abbiamo scavato a mani nude prima di richiedere l’arrivo di due piccole ruspe. Ma non c’è stato niente da fare. Le persone sono scese in strada e si sono radunate in piazza Rosa. Poi in molti hanno cercato di prestare i primi aiuti».
A Poggio Picenze le case distrutte sono una trentina, circa duecento quelle lesionate in profondità. E’ seriamente danneggiato anche il campanile della chiesa di San Felice Martire. «Ci dispiace per quelli che non ci sono più, meno fortunati di noi», sottolinea un’anziana, «le case si muovevano come impazzite. Ho pensato: è la fine. In tutta la mia vita non avevo mai sentito una scossa di terremoto tanto forte. Un incubo». Nell’improvvisato centro di accoglienza si incontra anche Medi Osmani, imprenditore da 18 anni in Italia. Le sue braccia sono fasciate. La maglietta è sporca di sangue. Scoppia a piangere.
«Ero il papà di Valbona», racconta, «una ragazzina bellissima, che frequentava la scuola media di Barisciano. Io, mia moglie e gli altri miei due figli siamo salvi per miracolo. Quando è venuta giù la casa sono riuscito a uscire da una finestra, rompendo i vetri con le mani. Poi ho scavato, scavato fino a spezzarmi le unghie e fino a quando non sono riusciuto a tirare fuori i miei cari. Valbona l’ho estratta che era già morta. La mia piccola stella».
A Castelnuovo e Poggio Picenze, borghi fra i più martoriati, si incontrano le storie di chi è rimasto e di chi non ce l’ha fatta.
Come quella di Emanuele Sidoni, 61 anni, artigiano residente a Roma. Era tornato a Castelnuovo a trovare i genitori Emidio (77) e Maria Fina Nardone (76) e insieme a loro ha incontrato la morte. «L’avevo pregato di raggiungerli a Pasqua, ma non ha voluto sentire ragioni», racconta la moglie, arrivata in fretta da Roma. «Anche noi abbiamo sentito la scossa, sapevamo che nell’Aquilano ce n’erano state diverse nei giorni scorsi e così ci siamo preoccupati», prosegue la donna, «mia cognata ha telefonato verso le 4, dopo aver saputo che l’epicentro era stato individuato in zona. Nessuno rispondeva. Il terrore ha preso il sopravvento e quando sono arrivata mio marito era appena stato estratto dalle macerie. Non c’era più. Continuava a ripetere che quella casa era sicura. Invece l’ha ucciso».
Nei tre vicoli del borgo cancellato, tra le macerie della chiesa di San Giovanni - dove solo la statua della Madonna è rimasta miracolosamente in piedi - si aggirano i volontari della Misericordia di Scafa, i carabinieri arrivati anche dall’Alto Sangro, i vigili del fuoco di Pescara, gli agenti della polizia stradale di Chieti. Insieme alle tre salme della famiglia Sidoni, di fronte al monumento ai caduti, viene allineata quella di Refik Hasani, muratore macedone di 42 anni, come tanti suoi connazionali arrivato in Italia in cerca di fortuna. Il fratello Demal, 40 anni, viene dato per disperso. Le speranze di ritrovarlo in vita vengono spente poco dopo le 11, quando i soccorritori individuano il corpo. Salgono così a cinque le vittime a Castelnuovo. Amici e parenti piangono su una vicina panchina.
Nelle altre tre case devastate dalla scossa non ci sono famiglie. Una, di proprietà di turisti romani, era ripartita la sera prima. Così come erano partiti gli immigrati che abitano le altre due. Nel caso di Aziz la sorte è stata benevola. L’uomo è “scappato” in Germania insieme alla moglie per conoscere la nipotina nata tre giorni fa. «C’è crollato tutto addosso», racconta Jatan Uzeiri, moldavo da sei anni in Italia, che indossa ancora il pigiama. «In casa mi trovavo con mio padre», aggiunge, «siamo fortunati». Miracolati. Come Nicola Marchetti e la sua compagna, scampati alla devastazione perché la loro è l’unica antica abitazione rimasta in piedi. Nicola è riuscito a salvare uno dei suoi cani, Clint, mentre ha perso le tracce di Pasqua. «Abbiamo cercato di scappare e quando siamo usciti fuori ci siamo accorti che non c’erano più le case e la chiesa», commenta il giovane. «Abbiamo allertato subito i soccorsi perché avevamo capito che era successo un disastro», dichiara Plinio Aloisio, vigile urbano di San Pio delle Camere, «Castelnuovo è quasi completamente distrutto, contiamo circa 250 sfollati. Stiamo predisponendo una tendopoli per ospitarli in un’area pic-nic in periferia».
A Poggio Picenze chi è rimasto si trova riunito nel piazzale del bocciodromo. Mancano all’appello cinque residenti: Rosalba Franco, 39 anni casalinga, suo figlio Loris (10), Alena Ajrulai (11), Valbona Osmani (13) e Abdia Nuria (41). I loro corpi senza vita erano nelle quattro abitazioni sbriciolate dal terremoto nella centralissima piazza Castello. «Madre e figlio erano uno accanto all’altro», ricorda Lucio Perinetti, consigliere comunale, improvvisato soccorritore come tanti altri suoi concittadini, «sono stati travolti dal muro della loro abitazione e probabilmente neanche si sono resi conto di quanto accaduto. La mamma era seduta su una poltrona, il piccolo su una sdraio e con le manine teneva stretti i braccioli. Una scena che non dimenticherò mai. Abbiamo scavato a mani nude prima di richiedere l’arrivo di due piccole ruspe. Ma non c’è stato niente da fare. Le persone sono scese in strada e si sono radunate in piazza Rosa. Poi in molti hanno cercato di prestare i primi aiuti».
A Poggio Picenze le case distrutte sono una trentina, circa duecento quelle lesionate in profondità. E’ seriamente danneggiato anche il campanile della chiesa di San Felice Martire. «Ci dispiace per quelli che non ci sono più, meno fortunati di noi», sottolinea un’anziana, «le case si muovevano come impazzite. Ho pensato: è la fine. In tutta la mia vita non avevo mai sentito una scossa di terremoto tanto forte. Un incubo». Nell’improvvisato centro di accoglienza si incontra anche Medi Osmani, imprenditore da 18 anni in Italia. Le sue braccia sono fasciate. La maglietta è sporca di sangue. Scoppia a piangere.
«Ero il papà di Valbona», racconta, «una ragazzina bellissima, che frequentava la scuola media di Barisciano. Io, mia moglie e gli altri miei due figli siamo salvi per miracolo. Quando è venuta giù la casa sono riuscito a uscire da una finestra, rompendo i vetri con le mani. Poi ho scavato, scavato fino a spezzarmi le unghie e fino a quando non sono riusciuto a tirare fuori i miei cari. Valbona l’ho estratta che era già morta. La mia piccola stella».