«L'Aquila, Biasini non consapevole di trattare con la cosca»
’Ndrangheta e appalti, le motivazioni dell’assoluzione dell’imprenditore. I giudici: comportamento forse frutto di limitate capacità e superficialità
L’AQUILA. La’ndrangheta si stava infiltrando nella ricostruzione, ma l’imprenditore aquilano Stefano Biasini, individuato dalla cosca come il “gancio” per entrare negli appalti, non ne era consapevole. Questa la sintesi della motivazione del tribunale che ha assolto il giovane aquilano dalla pesante accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, mentre il calabrese Francesco Ielo è stato condannato a otto anni e mezzo di carcere.
«Risulta evidente», si legge nella motivazione, «che alla luce delle plurime conversazioni captate e dalle dichiarazioni del collaboratore di giustizia, la’ndrangheta si stesse infiltrando tramite Biasini». «Il Biasini», si legge ancora nell’atto, «nella collaborazione con i calabresi giunti all’Aquila dopo il sisma, sembra perseguire unicamente i propri interessi economici, cercando di salvare le proprie ditte dal tracollo e tentando, al tempo stesso, di eseguire i lavori procacciati dal padre senza sfigurare. Non si è reso conto, probabilmente, che i calabresi con cui si era messo in affari, senza peraltro trarne sostanziali vantaggi, fossero mafiosi».
«Certo è strano», si legge in un’altra parte della motivazione, «che dopo aver scoperto la vicinanza di Caridi, Latella, Gattuso alla ’ndrangheta a seguito degli arresti degli stessi, non abbia reciso prontamente ogni rapporto con gli imprenditori calabresi e non abbia dubitato anche di Ielo scegliendo di continuare a fare affari con lo stesso anche nel settore del noleggio di vetture a lungo termine, ma tale anomalia comportamentale, forse frutto delle limitate capacità del Biasini e della palesata superficialità, non vale a superare i prospettati dubbi».
Con la stessa motivazione, «il fatto non costituisce reato», il tribunale (Riviezzo, Buccella, Luciani) ha assolto il calabrese di 51 anni Antonio Vincenzo Valenti, per il quale lo stesso pm Fabio Picuti, che voleva condannare Biasini a 6 anni e otto mesi, aveva chiesto l’assoluzione. Vediamo, inoltre, perché è stato ritenuto colpevole Ielo, la cui condanna è la prima, nel capoluogo di regione, per fatti connessi alle mafie. «Sussiste, inoltre», scrive l’estensore Guendalina Buccella, «piena prova anche della consapevolezza, in capo a Ielo, non solo dell’esistenza della cosca, degli obiettivi della stessa e dei collegamenti della medesima a Caridi Santo Giovanni, ma anche di contribuire, con la propria condotta, ad agevolare il sodalizio consentendo il raggiungimento degli scopi prefissati». «Nemmeno possono trascurarsi», si legge nell’atto, «le origini calabresi dello Ielo che escludono che lo stesso potesse essere all’oscuro dell’operatività di una cosca ’ndranghetista di tanto rilievo oltre alla conoscenza da lunga data, fin dall’infanzia, di Caridi Santo Giovanni, che depone per la piena consapevolezza del ruolo dello stesso nell’ambito del sodalizio». Ielo è stato condannato anche per possesso di banconote contraffatte.
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