La scuola, per ricominciare

Le famiglie sono preoccupate per lo stato di tensione dei figli. «Dobbiamo ricreare una vita simile a quella prima del sisma»

L’AQUILA. Il profumo degli arrosticini, i dolci della festa. E, poi, dottor clown e i simpaticissimi intrattenitori. Non mancano il pallone e la porta. La ruspa dell’esercito che sistema la ghiaia tra le tende offre un altro motivo di interesse per i tanti “quatrani e quatranitti” della tendopoli di piazza d’Armi. Il tutto, però, non è sufficiente per riportare ragazzi e ragazzini su uno standard di apprezzabile normalità, premettendo che la parola normalità stride con la realtà post-terremoto dell’Aquila. Ad aprile, esclusa la boccata d’aria di Pasqua, si va a scuola. A scuola, in qualche maniera e in breve tempo, dovranno tornare gli alunni aquilani.

Lo chiedono anche i genitori. «Mio figlio ha 10 anni e gira sul campo iperattivo: non mi piace che viva come uno da giostre», dice Roberta Papola. «E’ molto nervoso e lo capisco: si è visto crollare il soffitto addosso quando c’è stata la grande scossa. Ringrazio Dio per averlo ancora al mio fianco. C’è bisogno della scuola che lo inquadri. Non penso tanto alla cultura, ma all’importanza di ricostruire il più possibile la situazione precedente al 6 aprile. Quando c’è stato il terremoto, peraltro, il ragazzo era da mia sorella perché io mi trovavo in ospedale con sua sorella, che era stata sottoposta a un intervento chirurgico. I volontari sono eccezionali e non smetterò mai di ringraziarli per quello che stanno facendo per la città dell’Aquila. Adesso, però, è il caso che il mondo dell’istruzione si attivi per i nostri figlioli. La scuola ci aiuterà a riappropriarci di un po’ di normalità. Oggi, per la prima volta dopo il disastro, mi sono messa un filo di trucco. Lo so: vivo sotto una tenda. Ma voglio cercare di scacciare il demone del terremoto».

A piazza d’Armi ci sono i frati cappuccini pronti a confortare giovani, adulti e anziani. Frate Angelo, davanti alla tenda-cappella, mostra la croce di ferro battuto realizzata per l’occasione dai fedeli di Capistrello e la campana del convento crollato portata dai vigili del fuoco che l’hanno ritrovata tra le macerie. «Da qualche parte, una scuola va realizzata. Credo che chi di dovere ci stia già pensando. I criteri non li conosco e non voglio neppure pensarci. So solo che bisogna ricreare una vita il più possibile simile a quella precedente il terremoto. Ben venga la scuola. Credo che anche gli studenti la pensino in questa maniera. Lo studio è importante, ma nella fattispecie lo è in maniera relativa: conta la scuola in quanto istituzione. Ne hanno bisogno i ragazzi e i genitori. In questi giorni ho parlato con tanti padri disperati per aver perso, nella migliore delle circostanze, la casa o l’attività. Se potessero per qualche ora sgravarsi del compito di pensare ai figli, potrebbero ricominciare ad organizzarsi per ripartire».

Claudio Milani è un pezzo d’uomo che mal si addice alla non vita della tendopoli. «Sono un artigiano abituato a darmi da fare e non vedo l’ora di rimettermi in moto. Qui c’è la mia famiglia. Ho tre nipotine - Asia, Maila e Cristal - figlie delle mie figlie per le quali auspico l’immediato avvio dell’attività scolastica. Credo che abbiano bisogno di confrontarsi con i loro coetanei. Non sono come stiano messe le scuole del circondario, ma qualcosa andrà fatto per questi ragazzi. Qui abbiamo quanto ci serve per andare avanti. Anzi, grazie ai volontari giunti da tutta Italia abbiamo anche tantissime attenzioni. Il tutto precisando che siamo dei terremotati. Nelle tende non fa freddo perché le hanno dotate di termosifoni. Avevo necessità di calzini e me li hanno dati. Eccoli, ancora imbustati».

C’è aria di scampagnata di Pasquetta. Vino rosso, salsicce, arrosticini e pane con l’olio buono. «Abbiamo portato tremila arrosticini e tutto il resto», dice con orgoglio Settimio Colangelo dell’Unitalsi Charitas di San Benedetto dei Marsi, 16 anni appena e tanta voglia di essere utile. «Frequento l’Agrario di Avezzano e, da studente, ritengo che la scuola sia importantissima in genere e indispensabile in questo momento. La vita tra le tende, per quanto alleviata dalle istituzioni e dai volontari, deve essere terribile». Il concetto viene impreziosito da Mario Ferrone, altro cuore d’oro dell’Uniltalsi. «Prima si torna alla normalità e meglio è. Noi volontari non faremo mancare mai il nostro contributo. San Benedetto c’è». Colangelo conclude con una domanda nella quale incastra una preghiera di risposta. «Non sono riuscito ad avere notizie di due miei professori aquilani, Bernardi e D’Amico: stanno bene?».

A qualche chilometro da piazza d’Armi c’è la tendopoli di Pile-due, nel piazzale davanti all’ex Italtel. Cinzia Conti sta ramazzando davanti alla tenda e quando sente la parola scuola le si illuminano gli occhi. «Ne stavo parlando qualche istante fa con un’amica che si trova, come me, in questa condizione. Il ministero dovrà fare uno sforzo per andare incontro ai nostri figli. Io ne ho due alle medie e uno alle superiori: devono riprendere l’attività scolastica. So che il ministro Gelmini si è espresso in questo senso e resto in attesa di un riscontro. Non ci sentiamo lasciati soli e non lo sono neppure i nostri figli. Nel campo abbiamo degli psicologi davvero in gamba. Servono, certo che servono. Mia figlia ha chiesto espressamente di parlarci. Il terremoto ce lo abbiamo ancora negli occhi...».

I due psicologi del campo arrivano da Roma. Si chiamano Fabio Campetti e Tiziana Corsini. Volontari, come tanti. «Dopo l’attacco dell’11 settembre, si è cominciato a parlare diffusamente di post-trauma da stress», dice la Corsini. «Bene, non bisogna sottovalutare la sequela dei sintomi, soprattutto quando a manifestarli sono i bambini. La scuola sicuramente li aiuterebbe a rimettersi in sesto. Vedete, i bimbi parlano con il corpo e lo fanno con tempi che, spesso, sfuggono alla concezione degli adulti. Tra un po’, per esempio, potrebbero mostrare disturbi del sonno tipo incubi o insonnia, problemi gastrici, balbetii e via dicendo».