Non solo edifici crollati hanno diritto al bonus

1 Dicembre 2016

L’istruttoria per il passaggio dal privato al Comune è complessa e ha tempi lunghi In molti casi il cittadino è temporaneamente proprietario di vecchia e nuova casa

L’AQUILA. L’istruttoria per cedere la propria abitazione al Comune e ricomprarla altrove coi soldi pubblici – come previsto dal decreto 39 e successive modificazioni e integrazioni – è piuttosto complessa, anche perché la procedura richiede una serie di controlli sulla filiera.

TEMPI LUNGHI. Da quando si inoltra la richiesta al Comune a quando il contributo viene effettivamente accreditato passano all’incirca un anno e mezzo, due anni al massimo. Il Mario Rossi che decida di non voler tornare nella sua abitazione di proprietà gravemente danneggiata dal sisma ha facoltà di aderire a una scelta di cambiamento della residenza resa possibile dal meccanismo dell’abitazione equivalente. Questa opzione è stata introdotta per la prima volta dal cosiddetto “decreto Abruzzo”, il 39/2009, poi convertito nella legge 77. Il governo si impegnava a pagare una casa tutta nuova al posto di quella che era crollata in tutto o in parte (almeno il 25 per cento). Non solo: poco tempo dopo fu stabilito che per chiedere l’abitazione equivalente non era necessario che la casa fosse crollata, bastava decidere che demolire e ricostruire un palazzo costava meno che ristrutturarlo.

PIOGGIA DI RICHIESTE. «Da quel momento in poi», ricorda l’assessore alla Ricostruzione Pietro Di Stefano, «oltre 600 pratiche sono state istruite con un meccanismo che di fatto agevola lo spopolamento dei centri storici, specialmente nelle frazioni». Mettiamo infatti che il cittadino decida di restare a vivere all’Aquila: l’indennizzo per la ricostruzione di un edificio arriva al massimo a 1.270 euro al metro quadrato, appunto la metà dell’ipotesi migliore dell’abitazione equivalente. Per ottenere il contributo ci si rivolge all’Ufficio speciale della ricostruzione dell’Aquila e si istruisce la pratica presentando un progetto relativo alla richiesta di contributo. Il modulo di acquisto di abitazione sostitutiva prevede una “check list” di 26 voci, a partire dalla domanda di concessione di contributo per la ricostruzione. Tra la documentazione richiesta, gli atti notarili che attestino la reale proprietà dell’immobile distrutto o semi-distrutto, le documentazioni catastali. «La scelta di questo meccanismo», valuta l’assessore, «è legata a una serie di dinamiche in essere tra Fintecna e le banche. Di fatto, prima che il Comune diventi il proprietario delle nuove abitazioni, c’è una partita relativa ai mutui esistenti sulle abitazioni distrutte, su gran parte delle quali sussiste un’ipoteca».

LA MANO DI CHIODI. Nel 2011 è intervenuto un decreto dell’allora commissario del governo per la ricostruzione, Gianni Chiodi, il numero 43. È questo testo, in particolare, che prevede il “subentro del Comune nella proprietà delle unità immobiliari i cui proprietari si siano avvalsi della facoltà di acquisto di abitazione equivalente” nel solo caso in cui la ricostruzione avvenga con “sagoma identica”, quindi senza modifiche. Se si cambia il progetto, l’amministrazione non è obbligata ma può subentrare o meno, e, in base alla casistica, la tendenza sembra essere proprio quella di non intervenire. Naturalmente, uno dei momenti più delicati è legato al passaggio di proprietà da privato a pubblico. Nonostante l’obbligo di effettuare un rogito notarile entro 150 giorni, sono molti i casi in cui chi ha ottenuto l’abitazione equivalente si trova – seppur temporaneamente – proprietario di entrambe le abitazioni, quella vecchia e quella nuova. Uno status scomodo, specialmente quando ci sono da pagare, ad esempio, le spese di condominio relative proprio all’abitazione inagibile.

CHE NE SARÀ DELLE CASE. Altro dilemma, poi, è quello legato a cosa farà l’amministrazione comunale di tutte queste case di cui entrerà in possesso. «Si cercherà di metterle sul mercato», spiega Di Stefano, «anche se si è obbligati a far riferimento a un valore di vendita piuttosto alto, quello del 2009, come stabilito per legge. Sarebbe quindi opportuno incoraggiare accordi con organismi come l’Ater, al fine, magari, di rilanciare l’edilizia popolare proprio attraverso dei progetti mirati di riqualificazione».

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