"Ora non dimenticate Onna"
I familiari delle vittime incontrano Benedetto XVI nel paese distrutto
Gli occhi del Papa hanno visto il dolore di chi ha perso tutto. Ad attenderlo, all'ingresso della tendopoli di Onna, i familiari delle 40 vittime in un paese che contava 300 anime.
In qualche angolo della mia biblioteca semidistrutta, dovrebbe esserci ancora una cartella con sopra una scritta: Papa Ratzinger e l'Abruzzo. Dentro appunti e ritagli di stampa. L'idea era quella di raccogliere materiale per un libro, prosecuzione ideale di «Giovanni Paolo II e l'Abruzzo» in cui sono raccontate le visite ufficiali e private nella nostra regione di Karol Wojtyla. Mai avrei pensato che un capitolo di quel libro, ammesso che esca mai, dovrà essere dedicato alla visita del Pontefice a Onna un borgo che, fino al sei aprile, non conosceva quasi nessuno.
Una visita sotto la pioggia e nel fango. Una visita in un paese transennato, dove si entra solo con i vigili del fuoco. La mattinata alla tendopoli è di quelle «normali». Intorno alle 7, le stradine lastricate di ghiaia, cominciano ad animarsi.
Si va nel tendone grande a fare colazione. I volontari della protezione civile del Lazio sono di una efficienza che sbalordisce. Fuori la pioggia non dà un momento di tregua.
Scatta il cosiddetto piano B. Tutti nel tendone adibito a chiesa. E' lì che andrà il Santo Padre. Ci sono le suore e i sacerdoti. Si recita il rosario mentre gli uomini dell'organizzazione si danno da fare per rendere l'accoglienza il più dignitosa possibile.
Mi mettono in prima fila ma avrei preferito stare fuori, magari sotto la pioggia e senza ombrello, ad attendere il Papa insieme a Domenico e Maria Paola, i miei figli. Mi si avvicina una suora e mi dice: loro sono lo stesso qui con te. Non rispondo. All'improvviso mi mancano le parole.
Intorno alle 10 il piano B viene messo da parte. La pioggia sembra meno fitta. Bisogna uscire all'aperto. C'è chi protesta. Giustamente. I parenti delle vittime hanno ancora una volta l'impressione di essere solo parte di uno spettacolo. Macchine fotografiche e telecamere si affollano come sempre. Non sono certo io a meravigliarmi. Sono colleghi che lavorano. E il Papa non è un personaggio qualsiasi.
Quando l'uomo vestito di bianco scende dalla macchina la tensione degli uomini della scorta è al massimo. Garantire la sicurezza in quelle condizioni è una impresa. Ci scappa anche qualche spintone. Il Papa chiede di incontrare soprattutto gli sfollati e stringe mani, bacia i bambini, ha per tutti una parola di conforto. Poi tocca a me.
Il parroco di Onna, don Cesare Cardozo indica al Pontefice: questi due genitori hanno perso i loro figli. Benedetto XVI ha una espressione di sorpresa e dolore. Mi guarda fisso negli occhi e per un momento mi sento quasi rassicurato.
Se il Papa è qui con me, adesso, è il segno che in questa immensa tragedia non siamo stati abbandonati.
Chiede: come si chiamavano? Erano con voi quella notte? Ci dà parole di conforto. Lo ringraziamo. Più in là ci sono altri genitori col cuore squarciato. E' un altro rosario. Un rosario di morte.
Quando il pontefice risale in macchina e parte verso L'Aquila, i colleghi di giornali (anche stranieri) e tv si scatenano. C'è la caccia all'onnese da intervistare. Tutti a chiedere che effetto fa vedere il Papa a Onna. La risposta è, più o meno, sempre la stessa: un segno di speranza in un incubo senza fine. Ma sotto sotto un timore resta: che a riflettori spenti Onna sia dimenticata.
Sarebbe un altro terremoto. Più devastante del primo.