Una madre protesta: non posso pagare bollette per gli altri
Lettera al Centro: un’impresa campare con 630 euro la storia di una residente negli alloggi del Progetto Case
L’AQUILA. Non si placano le proteste per le bollette forfettarie che il Comune ha inviato ai cittadini che vivono negli alloggi del Progetto Case. E tra loro c’è chi afferma di non poter neppure pagare le prime rate in attesa, così come disposto dal Comune, delle verifiche sui consumi reali. È il caso di una donna, madre di due figli, che ha deciso di spiegare in una lettera aperta, inviata al sindaco Mas simo Cialente, le ragioni per le quali non pagherà nessun acconto.
«In famiglia siamo in tre: io e due figli. Lavoro part-time e ho uno stipendio mensile di 630 euro. Campare con 630 euro al mese è una sfida terribile, ma con sacrifici e determinazione riesco a sbarcare il mense. Certo è un’impresa ardua e sono orgogliosa di riuscirci».
«A casa», prosegue la donna, «abbiamo determinate regole che nessuno può violare. Non si spreca niente, si ricicla tutto e non solo per quanto riguarda l’alimentazione e il vestire, ma per ogni cosa. La nostra spazzatura», continua la donna, che si firma Rita, «è una bustina di roba e quando vedo persone con diverse buste stracolme mi viene il voltastomaco. I vestiti si rammentano, le scarpe si portano al calzolaio in riparazione, gli acquisti spesso li facciamo al mercatino dell’usato dove portiamo anche quello che non utilizziamo più. La spesa la si fa esclusivamente nei discount e prendiamo solo prodotti in offerta. Tutto quello che è possibile preparare a casa, anche se si risparmiano pochi cent, lo facciamo. A cena fuori si va una volta al mese da Mc Donald. La luce si accende in una sola camera e nel periodo invernale, quando le giornate sono più corte e la temperatura più fredda, siamo tutti in cucina: i figli studiano sullo stesso tavolo io provvedo alle faccende domestiche. La tv è una e sta in cucina per le stesse motivazioni».
«I piatti e i panni si lavano a mano per non consumare corrente. Il riscaldamento, quando stavamo nell’altra casa, si apriva in una sola stanza e per pochissime ore al giorno, mentre i letti sono stracolmi di coperte. La doccia è contingentata. C’è un massimo di spesa per ogni cosa e se un mese si sballa bisogna recuperare il mese successivo, così come i chilometri con l’utilitaria e la spesa giornaliera. Certo è duro, molto duro, a volte mi sembra di stare, come mi raccontava mio padre, a fine guerra e con le tessere per “accaparrarsi” la merce. Ma con il mio stipendio non possiamo fare diversamente».
«Accetto tutto con dignità e cerco di non lamentarmi mai.Sono nel Progetto Case e proprio per le mie ristrettezze economiche anche qui abbiamo rispettato le regole della mia casa in tutto e per tutto. Il riscaldamento lo abbiamo acceso il minimo indispensabile, a casa siamo tutti e tre con la tuta di felpa e l’inverno con molte coperte al letto. Questi sacrifici, e garantisco che sono grandi sacrifici, li abbiamo fatti perché le nostre disponibilità economiche sono ridotte al lumicino. Non lo abbiamo fatto per altri motivi. Ora mi si dice che devo pagare non per il consumato, ma per la superficie occupata: quindi, o stavo con i termosifoni accesi giorno e notte con la casa a 30 gradi, o a “battere le brocchette” come lo siamo stati noi, avrei pagato la stessa cifra. A questo proprio non ci sto e non solo per non passare per stupida, ma perché non ho lapossibilità di farlo. Con il mio stipendio non riuscirei mai a pagare quelle rate, e dato che questo lo so molto bene, i sacrifici di cui sopra non li faccio per sport ma perché non ho alternativa».
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