Uomo di Cerchio morto di polmonite, due denunce. Il figlio: papà si poteva salvare
I familiari presentano esposti alle Procure di Avezzano e Pescara, chiesta la riesumazione della salma: "Per due volte gli ospedali l’hanno rimandato a casa, poi trasferito a Popoli dopo una lunga attesa"
CERCHIO. Per tre volte ha chiesto di essere ricoverato a causa di una polmonite diagnosticata dal suo medico curante. Ma è stato rimandato sempre a casa. Poi, dopo l’ultimo tentativo, è morto nel giro di poche ore. Fernando, figlio 21enne di Giampaolo Pietroiusti, 52enne di Cerchio deceduto lo scorso 3 febbraio a causa delle complicazioni di una polmonite, accusa i medici degli ospedali. «Papà si poteva salvare» ripete.
Gli avvocati Berardino e Callisto Terra hanno presentato due denunce, la prima alla procura della Repubblica di Avezzano e l’altra a quella di Pescara, in quanto la morte è avvenuta all’ospedale di Popoli. Pietroiusti per 26 anni aveva lavorato alla Cartiera Burgo di Avezzano. Da un paio d’anni era in mobilità e per questo aveva ottenuto un lavoro di qualche ora al Comune di Cerchio, all’Ufficio anagrafe.
«Il 27 gennaio siamo andati all’ospedale di Pescina» è quanto riportato nella denuncia fatta dal figlio di Pietroiusti «insieme a me c’erano anche mia madre, mia zia e mia nonna. Eravamo preoccupati per le condizioni di mio padre, accertate dal nostro medico curante che ne chiedeva il ricovero per una polmonite. Arrivati al presidio di Pescina i sanitari gli hanno fatto una lastra al torace che hanno definito poco chiara. Quindi gli hanno prescritto dei farmaci e gli hanno detto che non si trattava di una polmonite ma di una semplice influenza e pertanto doveva curarsi a casa, con i farmaci prescritti».
Nonostante le rassicurazioni del personale di Pescina, però, Pietroiusti è peggiorato.
«È arrivata la febbre alta fino a 39» sottolinea Fernando Pietroiusti «con dolori al petto e tosse, così il 29 abbiamo chiesto di nuovo la visita del nostro medico. Il dottore ha subito prescritto un altro ricovero, di nuovo per polmonite. Così, insieme a mia madre e mia nonna, siamo andati al pronto soccorso di Avezzano».
Nemmeno questo secondo tentativo di ricoverò, però, è andato a buon fine. «I sanitari del pronto soccorso hanno sottoposto mio padre solamente a delle analisi», denuncia il 21enne, «hanno visto la lastra fatta a Pescina e hanno confermato che non era chiara, ma non ne hanno fatta un’altra. Abbiamo insistito per il ricovero ma ci hanno invitato a riportare mio padre a casa».
Da qui l’ultimo viaggio di Pietroiusti, verso la sua casa di Cerchio. Viste le condizioni sempre più gravi il medico curante, per la terza volta, il giorno seguente, ha chiesto un ricovero. Nella bocca del 52enne, infatti, aveva trovato sangue. Chiedeva quindi il ricovero per «polmonite resistente a trattamento» in un paziente con problemi cardiaci anche per via del suo peso.
«Siamo tornati in ospedale il 30 mattina» spiega il figlio, che ora chiede alle Procure di individuare eventuali responsabili per la morte del genitore, «mio padre è stato lasciato su uno sgabello in attesa del suo turno, con un codice verde. Nessuno lo ha visitato, nonostante la proposta del medico curante di ricovero urgente. Dopo un’ora il trasferimento nel reparto di malattie infettive. Alle 18, infine, la richiesta di trasferimento all’ospedale di Popoli. L’arrivo, inspiegabilmente, c’è stato alle 22».
Nell’esposto, Fernando Pietroiusti, tramite gli avvocati Terra, chiede dunque la riesumazione di suo padre per un esame che ne accerti le cause della morte. E soprattutto che stabilisca se in qualche modo la morte di suo padre poteva essere evitata.
«Chiedo giustizia» conclude il giovane «perché nonostante le indicazioni di ricovero del nostro medico mio padre non è stato accolto negli ospedali e non è stato fatto tutto il possibile per salvarlo».
La scomparsa di Pietroiusti, ricordato da tutti come un uomo molto buono, appassionato di auto di grossa cilindrata e devoto alla sua famiglia, ha lasciato nello sconforto l’intera comunità di Cerchio.
Magda Tirabassi
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