“Amputato dopo il vaccino, ho visto in faccia la morte ma non sarò mai No-vax”

Il direttore della Cna Abruzzo racconta la storia (incredibile) della sua rinascita: “Troppa gente fa chiacchiere da bar, i medici e mia moglie mi hanno salvato”. “ Mi sono ritrovato a terra nudo, bagnato, con una gamba che non c’era più ma che pensavo di avere ancora”
PESCARA. Mentre parliamo Silvio ride: «Lo sa che questa gamba costa più di una Tesla e non potevo permettermela? Quando le racconterò la storia si divertirà». Sgombriamo il campo: questa è la storia di uomo a cui è stata amputata una gamba dopo un vaccino contro il Coronavirus. L’uomo è Silvio Calice: 52 anni, chietino, laureato in Economia e Commercio, quattro Master nel curriculum e una carriera in Cna Abruzzo puntellata di successi fino al ruolo di Direttore regionale. Delle molte cose dette nel corso di questa lunga intervista, quella che forse si noterà di più sarà la sua posizione su questo vaccino della discordia: favorevole, nonostante tutto e contro le lusinghe di una parte di mondo. Ma forse qualcuno rimarrà colpito da come alcune immagini si legano tra loro. Proviamo a immaginarle come se fossero scene di un brevissimo cortometraggio: un giro in bicicletta fiancheggiando la spiaggia in una giornata di sole, come ce ne sono molte; i sintomi di una trombosi e la paura di non farcela; un’amputazione e poi una protesi, la possibilità di tornare a muoversi e… un giro in bicicletta fiancheggiando la spiaggia in una giornata di sole, come ce ne sono molte. E il lettore vedrà allora come la vita di Calice somigli a una rosa di Paracelso, incenerita e ricostruita fuori dallo sguardo e dal giudizio degli altri, e come una storia dagli sviluppi così crudi possa sembrare una piccola sosta tra due giri di bicicletta.
Che ruolo aveva in Cna nel 2020, all’arrivo del covid?
«Mi occupavo di servizi e attività sindacali in rappresentanza soprattutto del settore degli impianti e delle costruzioni, oltre a coordinare il raggruppamento giovani. Come tutti i settori, anche il mio è stato danneggiato dal Covid»
In che modo?
«Per via di tutti i protocolli che dovettero adottare i settori delle costruzioni ma anche attività come parrucchieri ed estetisti, ci sono state molte difficoltà. L’emergenza ha davvero toccato tutti i settori».
Ma ha terremotato anche la sua vita privata.
«Prima devo fare una premessa. Il 24 maggio mi sono sottoposto alla prima dose di vaccino. L’ho fatto anche con una certa urgenza, perché consideravo e considero ancora il vaccino una risposta giusta per ridurre l’emergenza. Spesso dimentichiamo che in un solo giorno, in Italia, ci sono stati circa mille morti»
Cosa è successo dopo la prima dose?
«Il 1° giugno ho avuto una reazione avversa che si è tradotta in un trombo, come ho scoperto dopo. Il giorno successivo era festa e nel primo ospedale c’è stata una certa leggerezza nell’affrontare il mio problema, invitandomi a tornare qualche giorno più avanti»
Dietrofront?
«No, ma è merito di mia moglie. Lei mi ha davvero salvato la vita, perché ha intuito subito la gravità del problema e ha chiamato un medico per un ecodoppler. Succede questo: da San Salvo, dove vivo, trovo un medico a Montesilvano che mi fa una diagnosi che rileva la formazione di un trombo sulla caviglia sinistra. Corro in un secondo ospedale, mi operano e penso che sia tutto risolto».
Invece?
«Il vaccino aveva aggredito pesantemente il sistema immunitario e le piastrine continuavano a creare continui trombi: erano scese da 200mila a 10mila, pensi che ero un donatore regolare oltre che uno sportivo»
Quali sport praticava? Non mi dica il calcetto con gli amici.
«Ciclismo, nuoto, escursionismo e soprattutto lo sci, che mi ha sempre accompagnato nei mesi invernali»
Non si è fatto mancare niente.
«Ogni tanto lavoro anche (ride, ndr). In realtà lo sport è solo una scusa per mettermi a tavola con meno sensi di colpa»
Qual è l’ultima attività sportiva che ha fatto prima dei sintomi?
Ho fatto un giro con la bici come mia abitudine. Le ho anche fatto una foto (me la fa vedere, ndr) e non saprei nemmeno dire il perché. Mi piaceva molto.
Torniamo alla diagnosi. Cosa succede dopo?
«Vengo di nuovo operato, sempre a Chieti. Dopo il primo intervento sentivo che qualcosa continuava a non andare. C’è stato un confronto con il primario, in realtà credo di aver capito di più da certi sguardi che dalle cose dette»
Che sguardo era?
«Lo sguardo di quando le cose non vanno bene. E infatti mi fanno un altro ecodoppler, c’è ancora un’esplosione di trombi tutti localizzati nella caviglia sinistra. Osservo la necrosi salire, sono giorni in cui si inizia a parlare di amputazione, i trombi con così poche piastrine potevano esplodere all’improvviso, era diventata una situazione critica»
Però non ho ancora capito: che c’entra il vaccino?
«La percentuale di reazione avversa era dello 0,02% e il 54% di queste reazioni avverse erano concentrate sulle vene cerebrali, quindi posso dire di essere rientrato in una percentuale davvero bassa ma almeno in questo di essere stato fortunato perché nel mio caso era tutto localizzato in un punto»
Di che vaccino parliamo?
«AstraZeneca»
Qual è stato il primo pensiero quando ha sentito parlare di amputazione?
«Ho vissuto tutto con la mia tipica serenità, perché da subito mi sono chiesto cosa potessi fare per migliorare e agevolare la situazione. In quel contesto nulla era in mano mia, potevo solo provare a creare una condizione ambientale favorevole, perché anche nei medici, in un momento così particolare, c’era incertezza negli esiti delle cure»
Ricorda un’immagine di quei giorni?
«Facevo continuamente trasfusioni, avevo le braccia piene di buchi fino a quando non è stato più possibile trovare le vene con facilità. Quindi hanno iniziato a bucarmi il dorso della mano, dove l’ago ti impedisce quasi completamente il movimento e ti costringe a dipendere dagli altri»
Quanto è durata questa situazione di semi-immobilismo?
«Poco, tre giorni. Si doveva arrivare alla soglia minima di 50mila piastrine perché fosse possibile l’amputazione e grazie a un ematologo dell’ospedale di Chieti che è riuscito a trovare la corretta combinazione ematica, il 5 giugno hanno potuto amputarmi la gamba sinistra»
Un incubo.
«Macché. I trombi rischiavano di condannarmi a morte, l’amputazione paradossalmente è stata una grande rinascita»
E quando si è visto senza una gamba cosa ha pensato?
«Avevo voglia di ricominciare a vivere. Non potevo fare nulla per farla ricrescere o per tornare indietro, quindi dovevo e potevo pensare solo ad andare avanti. La mia condizione era quella e non c’era alternativa. Il 9 giugno sono tornato a casa».
Nemmeno un po’ di rabbia per quello che è successo?
«Fuori è pieno di gente colma di rabbia che scarica odio e critiche chiacchierando nei bar. Io invece con i miei occhi ho visto la scienza, uomini e donne al servizio degli altri, medici con le loro incertezze, sì, ma pronti a intervenire con ogni mezzo»
Non è diventato no-vax?
«No, mai. E ogni volta che mi hanno proposto un’intervista ho avuto il terrore di diventare un simbolo per loro»
Quindi qualcuno, da quelle parti, l’ha corteggiata…
«Più di qualcuno. Era molto forte il rischio che utilizzassero me e la mia storia come scusa per parlare di altre cose, di altri problemi e giustificare certe posizioni. Una volta ho pensato di accettare, ero in macchina che andavo a fare l’intervista, poi…»
Poi?
«…non ce l’ho fatta, ho pensato che poteva diventare una cosa contro di me, contro quello in cui credo»
Cosa le hanno detto i medici quando è stato dimesso?
«Ah, di fare attenzione all’arto fantasma»
Un nome poco scientifico.
«Proprio per questo avevo completamente sottovalutato la cosa. Voglio dire: “Arto fantasma”. Non può mica essere una cosa seria. In realtà già il giorno dopo, risvegliatomi a casa, avevo lo stesso dolore acutissimo su un arto che però non avevo più»
Non c’è modo migliore per spiegarlo.
«È una sindrome vera e propria, senti in modo concreto, reale qualcosa che non c’è»
Quanto è durata questa sensazione?
«Fino a quando non sono caduto dalla doccia, il momento sicuramente più buio di tutta questa storia. L’immagine: nudo, bagnato, esco dalla doccia, cado e l’istinto mi illude, come se avessi ancora la gamba. Risultato: cado in modo pesante sul pavimento»
Quindi si ritrova nudo, bagnato, a terra, con una gamba che non ha più ma che una parte di lei crede ancora di avere. Neanche lì ha provato un po’ di rabbia?
«Mai. Fatica sì, molta, ma rabbia mai. Non ho mai imprecato contro niente e nessuno, so che la vita è un fatto probabilistico e che la nostra è una società del rischio»
Allora formulo diversamente la domanda: la fatica è stata più fisica o mentale?
«Sicuramente fisica. Anche la riabilitazione è molto lunga, richiede tempo e dedizione. Guardo le immagini di quei giorni e mi commuovo molto»
Cosa la commuove?
«All’inizio ero pieno di paure, non conoscevo il mio nuovo corpo, non sapevo più quali fossero i suoi limiti, fino a dove avrei potuto spingere. E invece, alla fine, quella bici sono riuscito a riprenderla»
Così l’amputazione sembra quasi una parentesi tra due giri di bicicletta.
«Ma dovevo riprendere, lentamente, a fare tutto. E l’ho fatto davvero, ho anche nuotato (mi mostra una foto in piscina)»
Gli altri attorno come hanno reagito?
«C’è molta tutela ma in pochi capiscono che da parte tua c’è voglia di vita, voglia di tornare a fare tutto e più di quello che facevi prima»
Quando ha ripreso a fare tutto, c’è stato un momento preciso in cui ha sentito di esserti riappropriato della sua vita?
«Direi che è più una conquista quotidiana. All’inizio guardavo i miei attrezzi sportivi e mi chiedevo a chi avrei potuto venderli. Quando ho scelto di tornare a sciare, la sfida principale è stata capire se fosse possibile rimettersi in pista con una protesi del genere. Capire quali scarponi usare, come posizionarsi, come tenersi in equilibrio.
Partiamo dal fatto stesso che un negoziante le abbia venduto degli scii…
«(Ride, ndr) non me li ha fatti pagare infatti, convinto che sarei tornato indietro e che glieli avrei restituiti. Certo, se la vita mi avesse mostrato che non si poteva fare, non l’avrei fatto, non sono un incosciente»
E infatti si è messo a sciare… nel soggiorno?!
«Ho fatto delle prove in sala con le assi degli scii, per testare la resistenza della gamba, come reagivo all’inclinazione e cose così. Mia moglie quando mi vedeva così rideva, pensava fossi impazzito ma non mi ha mai impedito di provare, di crederci»
Ha fatto anche la box.
«Per capire la reattività del mio corpo. Sono cose irrazionali, se stai schivando un colpo agisci senza pensare e questo mi ha fatto capire quando era attivo il mio cervello in relazione alla protesi»
Dopo questo training alla Rocky è tornato sugli sci…
«Ed è andata malissimo, la prima volta. Finché ero in pianura, tutto bene. Quando ho visto la prima discesa, è successo un disastro. Qui bisogna dire che lo sci è uno sport controintuitivo, se tu hai paura vai indietro e scarichi male il peso, perdi il controllo delle tavole. Il secondo tentativo è stato quello vincente, ho saputo aggiustare il tiro e capire dove sbagliato. Voglio dire che non mi sono arreso al primo fallimento, sono andato avanti»
Anche in barba a chi diceva che non poteva.
«Ai medici non ho mai chiesto se potevo fare qualcosa, ma come potevo farla. Tutto si può fare, bisogna capire qual è la nuova modalità per farla»
Un “non puoi” che l’ha buttata giù?
«Quando ho ripreso con le escursioni. Mentre salgo vedo un signore che mi guarda in modo un po’ pietoso. Quando trova coraggio mi dice: “In queste condizioni dovresti tornare indietro, da qui in avanti è pericoloso per te”. Gli chiedo se fosse un medico, mi dice di no e scelgo di ignorarlo. Però mi ero rattristato»
E non ha detto nulla?
«È successa una cosa particolare. Mentre continuo a salire, a un certo punto, vedo questo signore caduto a terra»
Gliel’ha tirata.
«(Sorride, ndr) No, mi è dispiaciuto tantissimo quando l’ho visto. Mi sono avvicinato e l’ho aiutato a rialzarsi. A quel punto gli ho detto: “La tua caduta non è più dignitosa di una mia caduta ipotetica”. Lui è sbiancato»
Qual è la cosa migliore che può fare chi si trova accanto a chi vive questo tipo di situazione?
«Non limitare il senso di sfida di chi vuole ricominciare a vivere, perché aumenta l’insicurezza e il senso di disagio. Non dobbiamo raccontare chi riesce nella disabilità come qualcosa di eroico e straordinario, dobbiamo invece iniziare a dire che può e deve essere ordinario. Tutti possono cadere e tutti possono rialzarsi»
È fuggito dai no-vax ma si è avvicinato a qualche altro gruppo?
«Sono entrato nell’associazione “Bionic People” di Alessandro Ossola, che mi ha voluto per perseguire l’obiettivo di far percepire la disabilità in maniera diversa. E inoltre abbiamo un circuito di Padel»
Uno sport nuovo per lei.
«Infatti, facendone già molti, non mi ci ero mai avvicinato. Ma con il nostro circuito, che si chiama “Inclusive Padel Tour”, abbiamo trovato il modo di divertirci facendo passare un messaggio importante, cioè quello che dicevo anche prima: la disabilità non è un ostacolo che non si può valicare. Nei tornei si sfidano disabili e normodotati da tutto il mondo, non c’è barriera. L’unica regola per noi bionici è il secondo rimbalzo»
E com’è la sua posizione nel ranking?
«Tredicesimo su cento, non male dai»
A chi si rivolge il vostro messaggio?
«Noi andiamo nelle scuole e nelle imprese per raccontare un percorso che io chiamo di antifragilità, concetto per me molto importante, e spiego come mi sono riappropriato di quei valori, di quelle sensazioni, di quell’apprendimento, perché oggi io conosco più di ieri»
E i ragazzi come reagiscono a queste storie?
«Divertiti e un po’ stupiti, ma perché con loro gioco: mostro improvvisamente la protesi, loro non se l’aspettano, oppure mostro delle foto di me mentre vado in bici o nuoto, e loro non immaginano che io abbia una gamba bionica»
A proposito: quanto costa una gamba come questa?
«Nella sanità ci sono due circuiti: il costo della protesi che indosso può arrivare a 100mila euro, e dura circa 6 anni dopo i quali, se si rompe, la devi ricomprare.
E se non voglio una protesi bionica?
«Ne compri altre che però non sono altrettanto performanti, ma non può funzionare così»
Qual è il punto?
«Se avessi avuto un infortunio sul lavoro, assistito dall’INAIL, il costo della mia protesi sarebbe stato coperto al 100%. Quelli come me sono invece assistiti dalle ASL. In questo caso ci si basa su dei nomenclatori e per le protesi bioniche non c’è copertura. C’è questo doppio canale odioso per chi vive questo disagio. Con l’associazione cerchiamo anche di denunciare questo aspetto»
Qual è la ricaduta che ha sul disabile?
«Una protesi bionica, oltre ad essere molto sicura, mi permette di fare tutto quello che ho detto finora, altre protesi no. C’è una riabilitazione che la tecnologia, una certa tecnologia, ti permette. Non avere accesso a questa tecnologia è un’ingiustizia sociale, crea disparità»
Ma non c’è stato solo lo sport nella sua nuova vita. È diventato direttore regionale della CNA.
«Una lezione, come a dire che si può fare davvero tutto. Dopo aver visto la morte in faccia, dopo aver scoperto che esiste davvero, capisci che la vita è un trattino tra la data d’inizio e la data di fine, come dice un film»
Dopo quello che è successo, sua moglie si è vaccinata lo stesso?
«C’abbiamo riflettuto a lungo e alla fine l’ho accompagnata personalmente a fare la seconda dose, ho pensato che fosse la cosa più giusta e in coerenza con tutto quello che abbiamo sempre pensato e detto»
Bene, l’intervista finita. Cosa farà adesso?
«Raggiungo un paio di amici con cui suono, abbiamo una band»
Non è possibile, suona anche.
«Facciamo pezzi nostri, principalmente. Io suono la chitarra, da sempre. Ti mando qualche pezzo, mi saprai dire»
©RIPRODUZIONE RISERVATA