Cavallito: a sparare è stato Nobile io e Albi nel mirino dei calabresi 

L’ex calciatore scampato all’agguato supertestimone in Corte d’Assise: «Mi sono finto morto per salvarmi» Gli affari di droga saltati: ho offerto la casa a Ursino per uscirne. La difesa del presunto killer: ricordi errati

PESCARA. «Non ho mai avuto nessun dubbio su chi ha sparato quel giorno: Mimmo Nobile». Dopo questa frase di Luca Cavallito, il sopravvissuto dell’agguato mortale del 1° agosto 2022 al bar del Parco a Pescara, che costò la vita all’architetto Walter Albi, il processo in corso davanti ai giudici della Corte d’Assise di Chieti sembra già virtualmente chiuso. Pacato, credibile anche nelle sue piccole sbavature, convincente, Cavallito regge all’urto del controesame delle difese del presunto killer, Mimmo Nobile, di quella del presunto mandante, il calabrese Natale Ursino, e del presunto fiancheggiatore di quest'ultimo, Maurizio Longo. Non perde mai la calma mentre invece Nobile, dopo aver assistito in silenzio per oltre tre ore a quei racconti a tutto campo, sbotta all’ultima risposta di Cavallito, si alza e con voce alterata dice: «È una cazzata, me ne voglio andare, m., figlio di p., andate tutti a...» e lascia l’aula scortato dalla polizia penitenziaria. È l’epilogo di una udienza incentrata quasi esclusivamente sulla deposizione del supertestimone Cavallito, scampato per miracolo alla morte sotto i colpi del killer.
In tutti i modi le difese avevano cercato di incrinare la sua credibilità in relazione a quanto poteva ricordare essendo stato in pericolo di vita, su alcuni passaggi della sua lunga deposizione, ma non c’è stato nulla da fare. E all’avvocato Massimo Galasso (che difende Nobile insieme a Luigi Paluso) che gli chiede conto di quella frase pronunciata dal killer durante la pioggia di colpi, e cioè «questo è per te e per gli infami come te che vi fate i c. vostri», risponde seccamente e con fermezza: «Ho sentito benissimo tutto, perché ero lucido, avevo piena percezione per ascoltare quella frase». Poi, dopo l’ultima domanda posta dal suo legale, Sara D’Incecco (che lo assiste insieme ad Ernesto Torino Rodriguez), sulla circostanza se dopo l’agguato avesse mai rivisto o risentito Ursino e Nobile, il superteste risponde: «Mai più visto Nobile e Ursino dopo l’agguato, forse stavano a qualche festa», ed è a questo punto che saltano i nervi a Nobile che abbandona l’aula lanciando insulti a tutti indiscriminatamente.
Sulla circostanza del riconoscimento del killer Cavallito era stato chiaro anche rispondendo alle domande del procuratore Giuseppe Bellelli e del sostituto Andrea Di Giovanni. «L’ho riconosciuto subito dalle movenze, dalla mano anche se aveva un guanto e quando venne illuminato da una luce del bar ho riconosciuto anche il suo viso». Ammette anche che dopo la visione del filmato «ho messo a punto alcuni tasselli, ma già prima di ricevere l’ultimo colpo volevo scrivere le iniziali M N di chi aveva sparato. In ospedale indicai subito Nobile come esecutore. Aveva anche sulle spalle lo zaino che porta sempre con sé quando fa certe operazioni. Quel ricordo principale l’ho sempre portato dietro, poi ho iniziato a riorganizzare le cose e mettere i tasselli al posto giusto».
Rispondendo alla pubblica accusa aveva già ricostruito la rete di rapporti tra Lui, Nobile, Albi e Ursino (il ruolo di Maurizio Longo lo ha lasciato sempre in secondo piano), parlando di tutto e senza discostarsi da quello che aveva detto nel corso dei vari interrogatori cui venne sottoposto dalla polizia e dai magistrati. Il peccato originale era stato quell’affare da 300 chili di cocaina dall’Ecuador andato male. Da lì iniziarono i problemi seri per Cavallito e per il suo amico Albi che definisce «un sognatore dalle mille idee. Ormai Walter non ragionava più, voleva prendere addirittura il brevetto per volare dopo il fallimento della traversata oceanica». Perché per risolvere il problema dell’affare di cocaina andato a vuoto, sponsorizzato da Ursino, ma anche da alcune famiglie calabresi che volevano rientrare della perdita di circa 500mila euro, Albi si era offerto di fare una traversata per conto di Ursino per trasportare forse un latitante e anche droga fino all’Australia. «Una famiglia calabrese di rispetto», riferisce Cavallito alla Corte, «vicina alla ’ndrangheta, e a loro importa non essere presi in giro e invece Albi ormai non faceva altro». E per spiegare alla sorella chi era Ursino, Cavallito le disse: «Lo vedi piccolino, ma è un personaggio impestato, che si fa rispettare». E per questo aveva deciso di uscire da quel tunnel: «Non ce la facevo più con quello stalking telefonico, anche cento telefonate al giorno per riavere i soldi ed allora decisi di offrirgli il mio appartamento da 400mila euro pur di uscire da quella storia».
Al pm che gli chiede il ricordo dell’agguato, Cavallito risponde così: «Certamente ricordo il primo colpo, perché subito dopo ho realizzato, mentre cadevo a terra. Poi gli altri colpi: sono stato io a chiamare i soccorsi. Cado a terra vedo questa figura entrare, fare il giro: ho cercato di proteggermi con la sedia e nonostante feci finta di essere morto presi altri due colpi. Immediatamente e con certezza ho riconosciuto Nobile: il livello di gestualità, la sagoma, i movimenti e visto anche il viso. Ci conosciamo da 15 anni».
Al termine dell’udienza l’avvocato Galasso è sintetico: «È successo quello che processualmente accade: è stato sentito Cavallito che ha ripetuto le sue certezze, non ci aspettavamo nulla di diverso. Io non metto in dubbio che Cavallito sia convinto di quello che dice, ma io credo che dica delle cose delle quali ha un ricordo errato. Nel momento in cui lui dice di aver percepito quella frase pronunciata dal killer, io non credo fosse nelle condizioni di poterlo fare». Prossima udienza il 31 ottobre per finire i testi dell’accusa.