Enzo La Vipera si racconta Così è nato il mio "freeechet"

15 Marzo 2015

«Tante ragazze mi volevano, ma io tenevo stu’ fatt, ero cuscì». Enzo la Vipera, gay dichiarato della prima ora, sorride beffardo mentre si mette in posa con chi lo riconosce seduto ai tavolini del Caffè Excelsior

PESCARA. «Tante ragazze mi volevano, ma io tenevo stu’ fatt, ero cuscì». Enzo la Vipera, gay dichiarato della prima ora, sorride beffardo mentre si mette in posa con chi lo riconosce seduto ai tavolini del bar Excelsior di corso Umberto e gli chiede una foto insieme: «Enzo? Freeechet, un’istituzione». Immancabile cappello in testa e vipera tatuata sull’avambraccio destro da quando aveva poco meno di vent’anni, Enzo la Vipera è veramente un’istituzione non solo per il suo leggendario freeechet e gli anni che si rifiuta di rivelare, ma per il carisma e la modernità che ancora sa interpretare. Anche se al posto della pelliccia di lupo e dei pantaloni attillati degli anni Settanta adesso indossa pantaloni blu e un semplice piumino. Rinvigorito, quello sì, da uno sciarpone sgargiante e dai suoi intramontabili occhi azzurri.

Da chi li hai ripresi?

Da mia madre Emilia, bellissima. Era della provincia di Brescia, di Castel Mella, dove sono nato pure io, terzo di 7 fratelli, due maschi e cinque femmine. Ora siamo rimasti in quattro.

Come ci sei finito a Pescara?

Mio padre Giovanni, originario di Penne, guidava gli autobus, faceva l’autista per la ditta Bianchi di Pescara e conobbe mia madre durante un viaggio di lavoro. Si innamorò, se la sposò e la portò qui. Abitavamo in via Ravenna, allora via Ponte Rosso. Ma mio padre è morto presto, nella guerra d’Africa.

E a scuola dove sei andato?

In via Roma, le elementari alla Pascoli, fino alla quinta. Per quell’epoca ero un ingegnere, con la quinta elementare.

E poi?

Poi basta, mi so’ stufato, ho cominciato subito a lavorare. A quindici anni facevo il fornaio, al forno Mezzanotte di corso Manthonè, portavo il pane con la bicicletta tipo triciclo. Mi sono arrangiato sempre, ma il fornaio l’ho fatto fino al ’56 quando ha fatto tutta quella neve, faceva lu fredd’ e ho smesso.

Ma quand’è che ti sei accorto di essere gay?

Da bambino giocavo solo con le femmine ma che l’ho capito proprio, verso i 13-14 anni: vidi un ragazzo bellissimo aveva 18 anni. E chi se lo scorda.

A casa tua come la presero?

Mio padre e i miei fratelli mezz’ e mezz’ , non tanto gli piaceva. Ma mia madre no, non mi ha detto mai niente. Mi diceva solo “tu sei il più bello della casa”, perché l’aveva capito, lei era una persona che capiva.

Ti sei innamorato?

No, non conosco l’amore, ma tanto che ci fai, che ci fai dell’amore, poi ti viene la gelosia e finisce che vai pure in galera per l’amore. No no, e poi io la pasta e fagioli tutti i giorni non la mangio.

Quindi quanti fidanzati hai avuto?

Eh mo’, che mi metto a dare i numeri. Che ne so, lasciamo stare, questo lasciamo stare. L’unica cosa certa è che io non ho mai corteggiato nessuno, venivano loro. Io solo uno avrei corteggiato, Alain Delon.

E chi è che ti cercava?

Di tutti i tipi. C’era un giovanotto che portava a casa la fidanzata con la 500 e poi veniva da me, come qualcun altro. Poi c’era chi si voleva fidanzare, e quanti... Ma io no. Ogni tanto li rivedo passare quei giovani, perché allora chi era gay si sposava lo stesso e rovinava le famiglie. Quante volte mi sarei potuto sposare, tante ragazze mi volevano, ma ero cuscì.

Cuscì come, com’eri?

Bello, carismatico, facevo le cose che nessuno aveva il coraggio di fare.

Tipo?

Una volta stavo a casa e alle dieci di sera mi venne la voglia del caffè di Berardo. Così come mi trovavo, con le ciabatte e la vestaglia blè a righe verdi, lunga fino ai piedi, ho chiamato il taxi e mi sono fatto portare da Berardo, quando c’era ancora Attilio, il vero Berardo. In mezzo a tutta la gente sono sceso dal taxi proprio davanti al locale e mi sono andato a prendere il caffè. Un’altra volta ero ubriaco, mi ero scolato una bottiglia di Porto e mi buttai in mare, vennero i vigili del fuoco a salvarmi. Era settembre e i giornali titolarono “La Vipera si fa l’ultimo bagno”. Un’altra volta ero ubriaco, perché un periodo mi ubriacavo sempre col vino e col Martini e non mangiavo niente, mo’ so’ venti anni che ho smesso, e con la bicicletta mi sono mezzo in mezzo alla strada a bloccare gli autobus.

Come ti vestivi?

Il cappello sempre, perché mi sta bene. Poi mi piacevano i cappotti lunghi, alla Napoleone, ma sono stato il primo a portare la pelliccia di lupo, l’avevo comprata a Roma, ma portavo pure il collo di pelliccia, i giubbetti di renna, gli stivaletti con i tacchetti e i pantaloni stretti ma a zampa di elefante, alla Celentano. Me li faceva il sarto, Dino Ciofani, perché venivano meglio.

Che anni erano?

Gli anni Sessanta, quando andavo a Roma in via Veneto, ai tempi della Dolce vita. Andavo a mangiare sempre alla Parolaccia, ho visto pure Anna Magnani, era un giro di gay che stavamo tra via Cavour e via Nazionale. Quante cose, sono stati gli anni più belli. Poi mi sono iniziato a calmare e sono andato a Berlino.

A fare che a Berlino?

A lavorare. Ero uno che si dava da fare, non ho mai avuto problemi con la giustizia io, la legge mi conosceva come amico, non come delinquente. Ci andai ai primi anni Settanta, mi chiamò l’ufficio di collocamento e accettai. Ma mi credevo di andare a fare il cuoco e invece mi ritrovai a fare l’operaio, quelli che aggiustano le strade. Non era per me, andai al consolato e mi misero in una fabbrica di calzette per donne, la Belinda. Poi sono tornato a Pescara e ho fatto il cuoco al nuovo hotel Holiday, sul lungomare sud.

Chi ti ha insegnato a cucinare?

Nessuno, da solo.

Il tuo piatto preferito?

Le pennette alla vodka.

La ricetta di Enzo la Vipera.

No no, ma che? So’ geloso, se uno chef lo legge poi se l’impara, non è un piatto facile.

Torniamo alla tua storia. A Pescara dove andavi, chi frequentavi?

Stavo sempre qua, sul corso, all’Excelsior quando stava più avanti e c’era pure il cinema, al bar D’Amico quando stava sotto al cinema San Marco, alla fine di corso Umberto, poi al bar Massimo. E poi andavo a ballare alla Silvanella, al Blu notte, al Barracuda. Non ho mai guidato, ci andavo col taxi. E per girare la bicicletta, come adesso.

Com’è cambiata Pescara?

Su questo corso ho visto cambiare tre volte le mattonelle, ecco com’è cambiata. Pescara è un paesone, la gente è solo un po’ più arrogante, si sono dimenticati da dove vengono. Per il resto i pescaresi sono allegri, lo sono sempre stati, e un po’ gelosi degli altri forse sì.

Il dolore più grande.

Quand’è morta mia madre, nel 1992. L’ho seguita per tutti i dieci anni che è stata allettata perché ho vissuto sempre con lei. Da quando non c’è più lei sono solo veramente, e il più brutto sono le feste, Natale, quei giorni lì. Mi sveglio e vorrei che passasse subito.

Non vuoi dire gli anni, ma almeno dicci la ricetta della tua eterna giovinezza.

Dormire tanto e non incazzarsi, bisogna ridere sempre.

Eppure, tanti faticano ad accettare o a rivelare la propria omossessualità. Che consiglio gli dai?

State bene, perché è una bella vita, e ditelo subito, sennò la gente vi prende in giro. Svegliatevi perché siamo una bella razza, il cervello meglio degli altri, svelti, sappiamo parlare, vestire, capire. Io li riconosco subito.

Da che cosa?

Dallo sguardo, dal movimento delle mani, da come camminano. A tutti gli voglio dire ciao e poi, scusa: ti piace la brioche? E mangiati la brioche! Ma non permettete a nessuno di chiamarvi frocio, la odio ’sta parola, è una parolaccia. Una volta davanti a Sideri moglie e marito passano e lei mi vede e fa’ al marito, ess’ lu froch’ di la vipera. L’ho presa per i capelli e l’ho buttata per terra, sono arrivati i vigili. E poi un’altra volta stavo attraversando davanti alla stazione e un rappresentante di vestiti dalla macchina mi ha urlato frocio. Ho preso la targa e l’ho denunciato per diffamazione e alla fine ho vinto la causa e mi ha dato 800 mila lire.

L’ultima cosa. Il soprannome la Vipera: chi te l’ha dato?

All’inizio, da ragazzo, eravamo un gruppo di gay e ci mettemmo a scegliere i soprannomi. E a me mi dissero zitto tu che sei una vipera, per la lingua svelta che avevo. E da lì mi hanno chiamato sempre così.

Te la sei pure tatuata la vipera, ce l’hai ancora?

Freeechet! Me lo sono fatto nei primi tempi, alla tavernetta sotto all’università, a piazza Primo maggio, c’ha più di cinquant’anni.

E freeechet com’è uscito, lo sai che lo dice pure Pedicini, il doppiatore pescarese, quando doppia Austin Powers in Goldenmember?

Sì me l’ha detto lui stesso. Com’è nato.. Una volta ho visto nu bell uaglion e gli ho detto freechet quant ’ si bbone!, e poi l’hanno detto tutti.

Ma che avresti voluto fare?

L’attore comico, mi è sempre piaciuto, so rifare Tina Pica alla perfezione: «Gesù Gesù...».

E credi in Dio?

Certo, guarda qua, ce l’ho nel portafoglio, Padre Pio e la Madonna.

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