Maria Luisa uccisa sulle strisce: tre anni e mezzo all’investitore. L’ira del marito: «La giustizia non è credibile»

Il romeno di 22 anni, fuggito dopo l’incidente, si era presentato il giorno dopo dai carabinieri. Il giudice ha accolto la richiesta di patteggiamento (patente sospesa) tra la rabbia dei familiari
PESCARA. Un patteggiamento a 3 anni e mezzo di reclusione, con tre anni di sospensione della patente a carico dell'imputato accusato di omicidio stradale, fa scattare la rabbia, le proteste e l'indignazione dei familiari della vittima che ieri mattina si erano presentati in gruppo per seguire il procedimento in tribunale, indossando delle magliette con le quali chiedevano giustizia e mostravano le foto della vittima. Sapevano che il romeno Ionut Laurentiu Costantinescu, 22 anni, accusato di aver falciato sulle strisce pedonali Maria Luisa Di Fiore, il 17 ottobre del 2024, avrebbe patteggiato la pena, ma speravano fino all’ultimo che il giudice non accettasse quella decisione concordata tra la difesa dell’imputato e il pm Paolo Pompa, ritenuta troppo lieve.
E invece la decisione del gup Francesco Marino è stata conforme alla richiesta e ha scatenato la protesta dei familiari originari e residenti in provincia di Isernia.
La vittima, 50 anni, madre di tre figli, quel giorno era arrivata a Pescara con il marito e il terzo figlio per far visita alle due figlie, studentesse universitarie a Pescara e Chieti. Avevano prenotato una cena in famiglia e mentre il marito parcheggiava l'auto vicino al ristorante, la moglie era scesa con il cagnolino e stava attraversando la strada all'altezza dello stabilimento Baia Papaya. Aveva atteso che passasse un’auto poi, mentre si avviava a concludere l’attraversamento, l’auto che veniva in senso contrario l’ha presa in pieno sbalzandola a circa 20 metri di distanza. La donna è morta cinque giorni dopo il ricovero in rianimazione. Poi i familiari, con un gesto di grande umanità, hanno autorizzato l’espianto degli organi.
Quanto all’automobilista, ha aspettato il giorno successivo per presentarsi dai carabinieri di Montesilvano dove ha dato la sua versione: i fari di un’auto che procedeva in senso contrario lo avevano abbagliato e quando ha ripreso la visuale si è reso conto dell’impatto con il pedone che non è riuscito a evitare. Ma poi, «preso dal panico mi allontanai dal luogo dell'incidente», come lui stesso dichiarò ai militari.
«Non c’è stata nessuna ricerca della verità da parte della procura», commenta il legale della famiglia, l’avvocato Sandro Cutone del foro di Isernia, «ci si è accontentati delle dichiarazioni dell’imputato». Per il legale si sarebbe potuto fare molto di più: «Per noi questa non è una pena congrua anche perché gli illeciti rilevati sono molteplici. Ci aspettavamo che l’istanza di patteggiamento venisse respinta e si proseguisse con il rinvio a giudizio e con un processo ordinario, e che alla fine venisse emessa una sentenza di condanna con una pena più giusta. La verità dei fatti è acclarata, la dinamica dell’incidente pure, le violazioni del codice della strada sono diverse, c’è la fuga del conducente, l’omissione di soccorso che neppure è stata contestata nel capo di imputazione. Non sono state riconosciute le aggravanti del caso, neppure quella della velocità che è risultata doppia del consentito in quel tratto di strada. Abbiamo anche depositato indagini difensive che non sono state neppure prese in considerazione: c’erano diversi testimoni che avrebbero potuto riferire sul fatto. E poi le indagini chiuse molto rapidamente: l’incidente è avvenuto il 17 ottobre, il decesso il 21 ottobre, il 5 novembre le indagini erano già chiuse. Basta dire che la polizia locale ha terminato l’istruttoria a dicembre depositando gli atti conclusivi dopo la chiusura delle indagini».
Adesso non resta che procedere civilmente, ma non è quello che volevano i familiari che chiedevano solo una pena adeguata.
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INTERVISTA AL MARITO DI MARIA LUISA
PESCARA. «I miei figli alla sentenza sono scoppiati in lacrime, io ho battuto le mani e ho gridato bravi bravi, questa è la giustizia italiana ».
Vincenzo Franciosa, il marito di Maria Luisa Di Fiore, investita e uccisa a 50 anni lo scorso 17 ottobre in viale della Riviera, ieri mattina è partito alle 6 da Scapoli, il piccolo paese della provincia di Isernia dove vive e lavora. Con lui, per assistere all’udienza del ragazzo che quella maledetta sera ha travolto sua moglie sulle strisce pedonali, c’è tutta la famiglia. Figli, cognati, fratelli: tutti presenti con la stessa maglietta: davanti la scritta “giustizia”, con la foto di Maria Luisa morente e i soccorritori intorno, e dietro il volto della donna con cui Vincenzo ha condiviso la vita per 35 anni.
Signor Franciosa come sta?
«Arrabbiato, deluso. Abbiamo raccolto 700 pagine di testimonianze e documenti e si sono letti solo la copertina. Volevamo andare al dibattimento, volevamo dire tutto quello che c’era da dire. Troppe cose non sono state considerate, dalla velocità alla fuga dell’automobilista. Senza parlare delle indagini chiuse in tutta fretta dal pm già il 5 novembre, un mese prima che i vigili urbani chiudessero il fascicolo. Non gli hanno fatto neanche il test per l’alcol e per la droga».
Quella sera stavate per entrare in pizzeria, ci racconta?
«Doveva essere una festa. Eravamo arrivati la mattina da Scapoli io, mia moglie e nostro figlio più piccolo per conoscere i fidanzati delle altre due figlie che studiano all’università di Pescara e Chieti. Dovevamo cenare insieme da Pipé, in viale della Riviera. Ma il cane non poteva entrare e allora sono andato a riprendere la macchina, parcheggiata nella strada dietro (viale Kennedy ndr). La volevo sistemare davanti al locale per lasciarci il cane e controllarlo».
È stata l’ultima volta che ha parlato con sua moglie?
«Sì. Le ho detto, “aspettatemi qui”. Il tempo di fare il giro dell’isolato (da viale Kennedy a via Solferino fino al lungomare in direzione sud ndr) e l’ho ritrovata a terra, che non si muoveva più. Non so perché ha attraversato, ma è andata così. Che poi aveva pure finito, il cane stava già sul marciapiede opposto quando quell’auto l’ha presa con lo spigolo destro e l’ha scaraventata. Erano in due, sono scappati».
Che si aspettava dalla Giustizia?
«Non mi aspettavo l’ergastolo, ma mia moglie è morta e il suo investitore è libero. Tre anni e mezzo di condanna, patente sospesa, ma libero. Non gli hanno dato neanche un aggravante. Almeno arrivare a 4-5 anni per far passare il messaggio che se ti metti in macchina e ammazzi una persona devi pagare. Quella strada era illuminata, era dritta, mia moglie era sulle strisce e aveva già un piede sul marciapiedi. Lui andava a 70 all’ora, oltre il limite, l’ha travolta ed è scappato. E io non mi do pace per non aver potuto sentire le ultime parole di mia moglie».
E adesso?
«Non finisce qui. Non mi fermo».
È più tornato sul luogo dell’incidente?
«Ci torno sempre, ogni volta che vengo a Pescara. Anche ora, è lì che sto andando».