Gianfranco guarda una casa mentre piange

Civitella del Tronto

Nel borgo fantasma, tra i dimenticati dalla politica / Video

Viaggio nella frazione di Ponzano, dove la terra ha travolto tutto. Lasciando solo paura

PONZANO. I vicini che litigavano per un metro di terra ora sono come fratelli. Incontri Gianfranco, l’idraulico, che piange davanti alla villa spaccata in due di Massimo il geometra. E’ una villa bianca che pare una torta sciolta al sole. Incontri anche Abramo che, con il bastone, indica la voragine profonda cinque metri che si è spalancata in via Carosi. I suoi 84 anni, Abramo Ottavianelli, li ha vissuti tutti in questo borgo che fino al 13 febbraio contava 230 anime, oggi alloggiate all’hotel Concorde o da parenti. Siamo a Ponzano, o di ciò che resta di Ponzano. Tra i fantasmi di una storia, dove tutto è perduto. Case, beni, affetti e forse anche la speranza di rinascere. Ponzano come Padula di Campli, Santa Maria di Atri, Castiglione Messer Raimondo o Santa Lucia di Ortona e Boinavia di Fossacesia. Le croci di un Abruzzo in frana. Decine di croci.

Frana di Ponzano, Abramo e la strada che non c'è più
Nella frazione di Civitella del Tronto la frana iniziata alla fine di ottobre scorso ha inghiottito anche la strada principale (video di Luciano Adriani)

Tutto è cominciato con il maledetto terremoto a fine ottobre. Poi la frana, uno tzunami di terra, che ha dato il colpo di grazia a più di trenta case scivolate a valle. Case nuove, con i tetti in cemento armato, che sembravano indistruttibili. Sembravano. Ma alle 14,30 in punto di quel maledetto giorno anche la vecchia strada, che da Ponzano sale a Civitella del Tronto, se n’è calata di quaranta metri, trascinando con sè pali e cavi della luce, la baracca di Stefano e la stalla di Giulio. Lui è riuscito almeno a salvare le sue pecore, le galline ed i vitelli.

Frana di Ponzano, la disperazione di Gianfranco
Gianfranco Di Donato è l'idraulico di Ponzano, frazione di Civitella del Tronto (Teramo). Dopo il terremoto di fine ottobre ha perso la casa, completamente inagibile, e lui ogni giorno torna in paese per vigilare sulle cose rimaste nell'abitazione inaccessibile (video di Luciano Adriani)

Adesso Ponzano è un borgo morto, per metà senza luce e gas, dove la gente sostiene di essere dimenticata dalla politica. E ogni giorno, torna a passeggiare lungo via Carosi. Vigila, non solo sulla roba rimasta nelle case inaccessibili, vigila anche sulla memoria che fa scendere le lacrime dagli occhi dell’idraulico Gianfranco Di Donato. «Alle 14,30 la terra ha cominciato a spostarsi sotto i nostri piedi. Si ribaltava come se fosse lava», racconta davanti alla villa distrutta del geometra Massimo Zenobi. «La gente fuggiva da casa urlando “è la fine del mondo”. I muri hanno cominciato a scricchiolare e ad aprirsi». Così in tre giorni la frana, che si estende per quattrocento metri ha cancellato anni di sacrifici. La frana, la grande frana è diversa dal terremoto perché dà il tempo di mettersi in salvo e di veder morire una parte della propria vita come è accaduto a Severino Tortù che per vent’anni ha lavorato in Svizzera.
Era la casa più bella di tutte quella dell’emigrante Severino. Ora è un cumulo di mattoni, tegole spezzate, termosifoni che spuntano tra grossi pezzi di muri, infissi contorti e vetri esplosi. Storie come quella di Severino si ripetono nel borgo senza anime, luce e gas. E ogni giorno, dal 13 febbraio, si ripete anche il viaggio nei ricordi. Che è lento e incessante. La gente supera il nastro bianco e rosso che vieta l’accesso, percorre via Carosi, oltrepassa la voragine e torna davanti a ciò che resta delle proprie cose. Lo fa per non dimenticare e non essere dimenticata, pensando a febbraio quando i riflettori della comunicazione e la politica che fa annunci, riempivano la frazione di Civitella travolta da una lava di terra. «Ma oggi nessuno ricorda e si stupisce più», dice Di Donato. E dicono anche gli altri. Così il Centro è tornato nel paese simbolo dell’Abruzzo che frana.

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L’uscita Teramo-Giulianova dell’A14 e il borgo fantasma distano 20-25 chilometri. E’ una mattina di sole e di violeacciocche fiorite. Il primo volto che incontri è quello di Maria Corradetti, la barista di Ponzano, che chiede: «Se non ricostruiscono le case che fine faranno le nostre attività?». Ma nel borgo distrutto, dove c’erano anche due negozi di alimentari, una tabaccheria e l’ufficio postale, rimane solo il bar di Maria. E’ una desolazione. Eppure sul volto di questa donna, alta ed energica, c’è il sorriso della speranza anche se ai tavolini del bar è seduto solo Arnaldo, che qui chiamano Arnano, a raccontare che gli asini, a differenza dei cavalli, partoriscono dopo tredici mesi. E anche se gli uomini della Protezione Civile hanno abbandonato Ponzano, dopo aver smantellato la centrale operativa aperta a 13 febbraio. E adesso la paura di essere dimenticati da tutti compare sui volti della gente. Come una premonizione. Come gli scricchiolii delle case prima della grande frana. Domenica scorsa, il comitato dei cittadini, presieduto da Enio Ottavi, è stato rassicurato dal Comune: «Ci ridaranno quello che abbiamo perso», dicono a Ponzano davanti al nastro colorato e al foglio dell’ordinanza del sindaco, Cristina Di Pietro, che separano il sorriso di Maria dal disastro. L’ottimismo dal silenzio assoluto. Le violeacciocche dai cumuli di macerie.
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